Thomas Stevens, il primo giro del mondo su un biciclo

thomas-stevens-giro-del-mondoSembrava Giulio Verne, mentre raccontava le sue fantastiche avventure […]. Abbiamo capito che questa moderna invenzione meccanica, invece di diminuire la magia dell’universo, aveva dato la possibilità di esplorarne le meraviglie più sicuramente. Invece di girare il mondo con un fucile, per uccidere qualcuno – o con libri, per convertire qualcun’altro – questo coraggioso giovane, più semplicemente, girava per il mondo per vedere le persone che lo abitano; e poiché aveva sempre da mostrare una cosa interessante almeno quanto quelle che i locali potevano mostrargli, ha potuto farsi strada fra tutte le nazioni

Nelle parole del politico statunitense T.W. Higginson, il novello Giulio Verne era Thomas Stevens, e la “moderna invenzione meccanica”, tanto interessante agli occhi di tutti, era il biciclo, che Stevens usò per fare il primo giro del mondo su due ruote, quasi 130 anni fa.

Thomas Stevens
Il protagonista di questa avventura era nato nell’Hertfordshire, una contea a nord-ovest di Londra, nel 1854, da una famiglia di umili origini. A 17 anni, con un fratello, emigrò negli Stati Uniti, come tanti altri giovani inglesi facevano all’epoca, finendo a San Francisco, in California. Per qualche anno si arrangiò con i più diversi lavori, dall’aiutare nella costruzione delle ferrovie, allora in grande espansione negli USA, a un duro lavoro in miniera. Nel tempo libero, Stevens imparò a pedalare su un biciclo.

Il biciclo
Questo strano e innovativo mezzo di locomozione era conosciuto all’epoca come “Ordinary” o, con una maggiore fantasia, penny-farthing: le sue due ruote infatti, con l’anteriore molto più grande della posteriore, ricordavano due monete, il “penny” e il “farthing” appunto, poste una accanto all’altra. Dai primi celeriferi, risalenti alla fine del 1700, il trasporto su due ruote si era andato evolvendo, seppure in modo irregolare. Intorno al 1860, l’ultima evoluzione tecnica era il biciclo: non essendo stato ancora inventato il moderno sistema di trasmissione della pedalata alle ruote, maggiore era il diametro della ruota anteriore, più lontano si poteva andare con una singola pedalata.

C’è da dire che la maggioranza delle persone che potevano permettersi questo tipo di mezzi di locomozione preferiva in realtà dei più sicuri e comodi tricicli o quadricicli. Il biciclo era riservato di norma a giovani avventurosi e un po’ scavezzacollo, e Thomas Stevens sicuramente era uno di questi. Data la posizione del ciclista, il suo baricentro era molto alto: bastava pochissimo quindi per fare delle rovinose cadute, soprattutto quando il fondo stradale non era perfetto. È anche a questo fattore che dobbiamo pensare, quando ripercorriamo con la memoria il suo viaggio intorno al mondo.

Il viaggio

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All’età di 30 anni, nel 1884, Stevens comprò un biciclo da 50 pollici. Lo attrezzò con una borsa da manubrio nella quale aveva messo solamente calzini, una camicia di ricambio, un poncho che serviva anche da tenda, e una pistola e partì da San Francisco alle 8 di mattina del 22 aprile, dirigendosi verso est. Un viaggio di 103 giorni, attraverso le montagne della Sierra Nevada, l’Utah e il Wyoming lo portò fino a Boston, sulla costa est degli Stati Uniti; solo 83 giorni furono di effettivo viaggio – durante gli altri 20 Stevens fu costretto a rimanere fermo dal maltempo; inoltre, il terreno era spesso così accidentato che circa un terzo della distanza fu da lui percorsa a piedi, spingendo il biciclo.

La sua intenzione originaria era quella di fermarsi sulla costa orientale: passò l’inverno 1884-85 a New York, raccontando il suo viaggio con discorsi, articoli e disegni. Il giornale per cui scriveva, Outing, decise di finanziarlo affinché continuasse il suo viaggio: nell’aprile dell’1885 quindi Stevens arrivò via nave a Liverpool, nella natìa Inghilterra, e a Londra organizzò il proseguimento del suo viaggio.

Preso un traghetto per Dieppe, in Francia, Stevens cominciò a pedalare, sempre verso est: attraversò la Francia, la Germania, l’Impero Austro-Ungarico e quello Ottomano, passando per Vienna, Costantinopoli e Teheran. Arrivato in Afghanistan fu però costretto a tornare indietro dalle autorità locali. Ma Stevens non si perse d’animo: attraversando il Mar Caspio in nave, e il Caucaso in treno, tornò a Costantinopoli da cui prese un’altra nave per Karachi, India, arrivando in biciclo all’altro lato del subcontinente indiano a Calcutta. Poiché a Londra gli era stato sconsigliato dall’ambasciata cinese di attraversare il sud-est asiatico via terra, viaggiò di nuovo in nave fino a Hong Kong, da cui raggiunse Shangai; in queste zone del mondo gli occidentali non erano all’epoca ben visti, e Stevens si trovò a volte in difficoltà a causa della rabbia delle popolazioni locali contro i francesi (poca differenza faceva il fatto che egli era statunitense).

Un breve attraversamento del Giappone fu l’ultimo tratto compiuto in biciclo, fino al ritorno sulla costa occidentale degli USA, il 17 dicembre 1886, due anni e mezzo e 13’500 miglia (effettivamente pedalate) dopo la sua partenza.
Durante il viaggio, Stevens scrisse continuamente delle lettere all’Harper’s Magazine; da queste lettere fu ottenuto un lungo libro (circa mille pagine), oggi liberamente scaricabile (vedi link in fondo).

E dopo il viaggio?
Tutte le avventure, quando sono affascinanti come quella di Stevens, lasciano sempre la voglia di scoprire cosa sia successo “dopo”: è continuata la vita avventurosa? O il protagonista si è ritirato in un tranquillo cottage di campagna?
Nel caso di Stevens, pur essendo così lontano nel tempo, ne sappiamo abbastanza da poter affermare che egli continuò a cercare nuove sfide. C’è da dire che quelli erano ancora gli anni delle grandi esplorazioni, soprattutto nel continente africano, e che quindi c’erano molte opportunità, per chi volesse coglierle.

Nel 1889 il nostro Stevens infatti partì alla ricerca dell’esploratore Henry Morton Stanley. Stanley era famoso soprattutto per essere partito a sua volta alla ricerca dell’ancora più famoso esploratore David Livingstone, di cui non si avevano notizie – secondo la leggenda, Stanley, una volta trovato Livingstone, lo apostrofò con le parole: “Dr. Livingstone, I presume?”.

All’epoca, lo stesso Stanley era scomparso. In seguito a delle ricerche nella regione dello Zanzibar e del monte Kilimangiaro, Stevens trovò Stanley, che tuttavia stava benone e non aveva bisogno di aiuto: semplicemente, non aveva più fornito notizie di sé. Stevens tornò negli USA nel febbraio 1890, e scrisse un altro libro di memorie su questa avventura.
Negli anni successivi, viaggiò ancora in Russia e in Europa, suscitando tuttavia sempre meno interesse per i suoi viaggi.
La curiosità e l’ammirazione suscitata dal suo giro del mondo in biciclo erano giustamente difficili da pareggiare.

Il libro di memorie di Stevens, in inglese: prima parteseconda parte.

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