I diari della bicicletta: da Luco dei Marsi a Villetta Barrea

Tratto dalla raccolta di viaggi: “Abbondanti dozzinali

Il titolo può sembrare strano, ed è volutamente grottesco, nasce da un gioco di amici che auto-ironizzava sulla nostra scarsa organizzazione dei primi viaggi, sulla scarsa preparazione fisica, su tutto-ciò-che-non-è-romanzato.
E questo è anche un po’ il taglio della narrazione dei miei diari: grottesco, surreale, ironico, con un occhio disincantato sempre teso al lato antropologico dei posti visitati…

montebove26/8/10
LUCO DEI MARSI – TRASACCO – LECCE NEI MARSI – GIOIA DEI MARSI – SS83 MARSICANA – GIOIA VECCHIO – PASSO DEL DIAVOLO (1400 m) – PESCASSEROLI – VILLETTA BARREA (66 km)

Cinque ore e mezza di sonno, poi un’alba rossa tuorlo ci sveglia dalla finestra lasciata aperta. Il tempo di una breve colazione e di un biglietto di ringraziamento lasciato sul tavolo, e ci ritroviamo a pedalare su uno sterrato in direzione di Trasacco. Costeggiamo una scoscesa parete di roccia, mentre dall’altro lato si distende tutta la tavola di campi del Fucino. Così nella foschia mattutina scorrono via Trasacco, Ortucchio e Lecce dei Marsi, dove ci fermiamo a fare spesa. Un vecchio con evidenti difficoltà di articolazione fonetica ci indica la strada per Gioia dei Marsi, e ci insegue col suo bastone tremolante per cercare quasi disperatamente di prolungare la conversazione nata in quel modo, tra suoni striduli che sembrano filastrocche.
Da Gioia dei Marsi cominciano le asperità della salita, per il bellissimo tratto di SS83 che attraverso tornanti e ombrosi drittolinei ci porta al valico di Gioia Vecchio, familiarmente detto Passo del Diavolo per i suoi 1400 m di altezza.

La salita scorre piuttosto agevolmente, rallentata solo da un paio di pause e dalla catena della mia bici che esce dal rocchetto. Ci sorpassano alcuni ciclisti con bici da corsa, tutti con la loro tenuta sgargiante, poi un ragazzo in mountain bike, che risorpassiamo dopo qualche curva, e infine un ciclista che rallenta per scambiare qualche parola con noi, per poi staccarci e allontanarsi: anche lui, ci dice, viaggia spesso in bici con bagagli, ed è appena tornato dalla Corsica. Proseguiamo guadagnando in quota altimetrica e perdendo in possibilità di eventuali future paternità, lasciando i nostri scroti a friggere tra sellino e sudore.

Arriviamo così al valico con agilità e senza troppe difficoltà, almeno apparentemente. Il tempo di consumare il frugale pasto (ceci, pomodori, pane, biscotti) e di sdraiarsi su una panca di legno, e crolliamo addormentati sotto l’ombra di un fitto bosco, cedendo alle fresche folate di vento, che durante il dormiveglia giungono a farsi fredde, costringendomi a indossare prima la maglietta, poi la felpa.
Veniamo svegliati dal sonno di una fisarmonica amplificata che esegue successi di dubbio gusto: da Gianni Morandi a Gigi D’Alessio, passando per la buona vecchia canzone italiana e napoletana di una volta. Dei gruppi di gitanti romani ballano e cantano e battono le mani fuori tempo: in particolare una coppia sulla quarantina, lei incinta, lui goffo, si distinguono per le loro movenze da pollaio. “Dai, su, che bello, così ci facciamo quattro salti!”, urlano.

Mentre li deridiamo con discrezione e da lontano, ci invitano a unirci a loro nel loro ballo kitsch, ma decliniamo adducendo come motivazione la stanchezza della pedalata, mentre cerchiamo di indovinare quale sia la hit successiva. Azzecchiamo dapprima i Watussi e prediciamo con sorprendente immediatezza le note di “Lo vedi, ecco Marino, la sagra c’è dell’uva”. Superando lo svacco della sosta, riusciamo a rimontare in sella e a salutarli allontanandoci trionfalmente sulle note della società dei magnaccioni.

Dopo qualche chilometro di discesa moderata entriamo a Pescasseroli, dove ci accoglie l’antica fontana di San Rocco, o fontana degli orsi, e come dei diligenti turisti apprendiamo sui pannelli informativi l’etimologia del fiume Sangro, che ha a che vedere col sangue versato in un’antica battaglia tra città rivali del luogo, in cui il fiume si tinse di rosso. Giriamo per le antiche viuzze del borgo evitando gli angoli più turistici, ci fermiamo a cogliere e mangiare prugnette da un albero maturo, incitati da vecchiette semicalve di passaggio, e giro qualche negozio a cercare invano un adesivo del Parco d’Abruzzo da attaccare sulla bici.

Usciamo da Pescasseroli seguendo il corso della SS83 Marsicana e del fiume Sangro, che ci taglia la strada più volte. Andando verso Opi, alla nostra destra la scoscesa rocca del paese, a sinistra pascoli, bovini e i monti di Forca D’Acero. Boschi su boschi, pettinati da rari impianti sciistici. Giriamo attorno ad Opi, sempre col Sangro a fianco, qualche cane ci invita a non avvicinarci troppo alle greggi, e inizia l’ombrosa discesa verso la Camosciara. Mentre già gli ultimi raggi di sole filtrano da dietro ai monti, entriamo in paese a Villetta Barrea; il tempo di fare un po’ di spesa e di chiedere consiglio agli amici incontrati lì (Claudia, Romeo, Maria) su dove accamparsi, e ci accampiamo con la tenda sulle rive del lago di Barrea, proprio di fronte a Civitella Alfedena, paese di duecento anime (fino alle trecento unità si parla sempre di anime, sopra di abitanti) aggrappato al costone dei monti, le casette bianche come freccette tirate su un enorme bersaglio verde. Una bottiglia di vino in due e una sola enorme stella cadente, che riga il cielo per più di un secondo, ci danno una buonanotte anticipata nell’umido dell’oscurità.

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