15 anni senza il Pirata

10-anni-senza-pantani

(articolo pubblicato originariamente il 14 febbraio 2014, ndr)
Dieci anni fa, in una stanza del residence “Le Rose” di Rimini, Marco Pantani moriva.
Dieci anni. Due lustri. Sembra un lasso di tempo lunghissimo, eppure quel 14 febbraio 2004 sembra ancora così vicino.
Tanti di noi che da ragazzi hanno ammirato “Il Pirata” inerpicarsi su quelle salite impossibili, oggi magari sono sposati, con figli, sono uomini, ma sono certo che ricordano bene quel giorno.

Non so cosa stessi facendo di preciso, ma non potrò mai dimenticare l’incredulità che si riversò nello stomaco quanto appresi la notizia. Già perché Marco, nel bene e nel male, per tutti noi era invincibile.
Nessuno di noi poteva pensare che un ragazzo di cinquanta chili che scalava montagne da duemila e passa metri, potesse cedere il passo davanti a una “montagna più grande di lui”.
A dieci anni dalla sua scomparsa, mi stupisco nel vedere quanti appassionati vi siano ancora, quanti documentari, speciali, notiziari, film, articoli, vi siano oggi per ricordarlo, anche se nessuno lo ha mai dimenticato.

La mia mente va indietro nel tempo e un brivido mi pervade la pelle ripensando al 1998. Non avevo neanche 20 anni ed ero all’ultimo anno di scuola superiore. Ben presto sarei stato un ragioniere, almeno sulla carta. Ero già appassionato di ciclismo e raccontando ai compagni di classe tutto quello che sapevo sul Giro d’Italia, finii per appassionare anche loro.
Nell’aria si sentiva già il profumo d’estate, la prima estate senza compiti e con la maturità in tasca. Liberi.
Ogni pomeriggio, finita la scuola, l’appuntamento era a casa dell’uno o dell’altro. Non per studiare ovviamente, ma per mettersi davanti alla tv e guardare il Giro, tifando Pantani.

Indelebile nella mia mente, e credo in quella di tantissimi appassionati, fu la tappa che da Cavalese portò la carovana rosa a Montecampione. Il Giro se lo giocavano ormai due corridori: Marco Pantani, già in maglia rosa e Pavel Tonkov, russo, di ferro, inespressivo. Vincitore o sconfitto aveva la stessa medesima indifferente espressione. Metteva timore. Il giorno prima Marco aveva provato a staccarlo senza successo sull’Alpe di Pampeago. Certo, Il Pirata aveva la maglia rosa, ma il vantaggio era troppo esiguo per poterla difendere e mantenere sulle sue spalle nell’ultima cronometro. Così doveva attaccare e staccare il Russo. Nell’ascesa verso Montecampione Pantani provò a scattare una, due, tre, enne volte, ma niente, il Russo maschera di pietra rimaneva lì, attaccato alla sua ruota. A ogni rasoiata che Marco tirava alzandosi sui pedali, noi ci alzavamo sul divano. A pochi chilometri dal traguardo però, il Russo inespressivo fece una smorfia e cedette. Marco si involò verso la vittoria del Giro. Il divano di casa necessitò la sostituzione dei cuscini.

Arrivò l’estate, calda, afosa e con lei quel pezzo di carta tanto sudato: il diploma. Partimmo per le vacanze tra noi amici divisi in due gruppi: uno nel Ravennate, uno in Grecia. Io finii a Ravenna. Ok il mare, ok le ragazze, ok le birre, ok il divertimento, ma c’era il Tour de France! Ricordo che avevamo fatto amicizia con un gruppo di ragazze, Polacche e Italiane. Ma come si dice? Tira di più un freno di bici che un carro di buoi… O forse non era proprio così, fatto sta che, Polacche o no, il pomeriggio sparivamo dalla circolazione e ci radunavamo al bar sulla spiaggia dove il proprietario faceva vedere il Tour in tv. C’era un problema: i soldi erano pochi e così avevamo fatto un preciso calcolo matematico che ci permettesse di scegliere la cosa più lunga da finire al minor prezzo possibile. Si, va beh, provate voi però a trovare qualcosa che duri tutta la tappa. Non so come ma ce l’abbiamo fatta per tutto il Tour, il tempo di vedere Marco trionfare in maglia gialla sui Campi Elisi.

La stessa situazione la vivevano gli amici in Grecia e così, ogni pomeriggio, ci mandavamo svariati sms per ragguagliarci a vicenda sull’andamento della Grande Boucle.
Ancora oggi Marco è l’ultimo corridore ad aver vinto nel medesimo anno Giro e Tour.
Ancora oggi Marco è l’ultimo italiano ad aver vinto il Tour.
Ricordo ancora l’emozione di uscire la mattina dopo il trionfo di Marco per comprare la Rosea.

Insomma è facile capire come io, come tanti altri, con “Il Pirata” sia cresciuto.
Quando nel 1999 Marco venne squalificato dal Giro, iniziando la sua inesorabile discesa verso gli inferi, decisi che non avrei più seguito il ciclismo e così feci. Ero deluso come tanti perché Marco non rappresentava per noi solo un ragazzo pelato con le orecchie a sventola su una bicicletta. Noi avevamo pedalato, sofferto e sognato con lui. Lui in piedi sulla bici. Noi in piedi sul divano.

Ma si sa, una passione non la si può accendere o spegnere come una lampadina. E’ un sentimento e un sentimento non puoi decidere di sentirlo o non sentirlo a tuo piacimento. Lo senti e basta.
Così, senza dare nell’occhio, ripresi a seguire il ciclismo professionistico e ad andare in bicicletta.

Oggi sono passati ormai quindici anni da quel 1999 e sia il ciclismo che la bicicletta sono rientrati appieno nella mia vita.
Vedo ancora oggi gente cercare di arrivare a capo di una verità che nessuno potrà mai confermare o negare. Chi ha sbagliato? Dove? Come? Ormai è tardi per chiederlo. E poi chiederlo a chi? Signori rassegnatevi perché la gente ha già scelto.

Ripensiamo per un attimo ai miti della musica, dello sport, della letteratura… Quanti personaggi troviamo che erano dei fenomeni nel loro campo, ma che come uomini erano tormentati e avevano le loro debolezze? Quasi tutti. E rifletteteci: sono tutti osannati dalla gente. Forse perché tutti noi, nel nostro piccolo, abbiamo i nostri momenti di debolezza e quando troviamo qualcuno con quegli stessi “passaggi bui” ma che fa cose straordinarie… Beh sogniamo di poterlo fare anche noi.

Viviamo in un momento in cui avremmo fortemente bisogno di idoli umani. Persone imperfette che sbagliano, ma che riescono dove altri falliscono, ammettendo i loro errori. Invece siamo attorniati da persone perfette, che non sbagliano o se sbagliano non è per colpa loro, ma di altri e che vivono in un Mondo che non è il nostro.
Abbiamo bisogno di qualcuno che ci faccia sognare e che ci faccia capire che a volte i sogni si realizzano, anche se non sei perfetto, anche se hai i tuoi momenti di sconforto e di debolezza.

Perciò rassegnatevi gente, non cercate verità dove non ve ne sono più e rassegnatevi all’idea che anche questa volta Marco ha staccato tutti.
E noi intanto continueremo a pedalare sui cavalcavia, alzandoci sui pedali, guardando l’anziano signore sulla graziella alle nostre spalle e pensando “L’ho staccato con uno scatto alla Pantani”.

Commenti

  1. Avatar amadio ha detto:

    Credo che dopo le ultime sconcertanti notizie sulla morte di Pantani non abbia senso, ammesso che prima lo avesse avuto, parlare di doping. Marco era unico, nessuno come lui sapeva infiammare i cuori!

  2. Avatar denis ha detto:

    Anch’io ho vissuto le stesse emozioni,condivido l’articolo anche se l’amarezza per il male che gli hanno fatto rimane,lui ha dato sogni e speranze a tanta gente e il suo modo di scattare sui pedali rimarrà unico,Grazie Marco!

  3. Avatar mike ha detto:

    sono un apassionato ciclista da molti anni, ormai decinni, e credo che chi ha utilizzato il dopping non deve avere luogo nella storia dello sport e del ciclismo, percio’ no vedo il senso di tanta celebrazione per pantani in questi pagine che dovrebbe rigorosamente promuovere un ciclismo assolutamente libero da doping.

    1. Avatar romeo ha detto:

      “chi è senza peccato scagli la prima pietra” dopping o non dopping Marco Pantani e sempre Marco Pantani … se sai leggere leggi in quegli occhi

  4. Paolo Volpato Paolo Volpato ha detto:

    Molto bello questo articolo, io ero (e sono!) un po’ più giovane ma ho vissuto le stesse emozioni.

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