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Vai in bici al lavoro? Un po’ te la sei cercata…

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In questi nostri tempi di fake news e di post-verità il video pubblicato dall’account Facebook della Polizia cantonale svizzera il 28 aprile non rende un buon servizio all’informazione e alla collettività: veicolare il messaggio che andare in bici al lavoro è pericoloso perché i ciclisti “pensano di poter fare quello che vogliono sulle strade” è devastante, perché conferma i pregiudizi e aumenta la conflittualità tra i diversi utenti della strada.

Oggi è il Primo Maggio, la Festa del Lavoro: tante volte abbiamo scritto di quanto faccia bene pedalare per recarsi al lavoro, numerose ricerche confermano i molteplici benefici di questa attività, utile per mantenere uno stile di vita sano e più allenante del camminare per il cuore, i polmoni e le articolazioni. Insomma: il bike to work è un vero toccasana sotto tutti i punti di vista: a patto, naturalmente, di non entrare in collisione con un mezzo a motore che pesa 100 volte più della bici su cui stai pedalando, un impatto da cui il ciclista ha sempre la peggio e nei casi più gravi non si rialza più.

In questo contesto in cui appare evidente che chi pedala dovrebbe essere messo nelle migliori condizioni per farlo perché rappresenta un utente fragile e dall’equilibrio precario, un essere umano esposto ai mille pericoli delle strade, che cosa fa la Polizia cantonale svizzera? Confeziona un video di sensibilizzazione sulla sicurezza stradale partendo dall’assunto che i ciclisti “talvolta con il loro comportamento, infrangono le regole della circolazione stradale mettendo in pericolo la loro sicurezza e quella degli altri utenti della strada”, come riporta il post che lancia il video su Facebook.

Un pressappochismo non suffragato da alcun dato statistico che fa davvero specie, soprattutto per la proverbiale precisione degli svizzeri: la voce fuori campo del video rincara la dose e pronuncia la frase “più della metà degli incidenti in bici sono causati dai ciclisti stessi” senza uno straccio di fonte né statistica ufficiale. In buona sostanza: se vai in bici al lavoro e ti mettono sotto vuol dire che in fondo un po’ te la sei cercata…

Peraltro il messaggio di questo tipo di comunicazione istituzionale – di cui fatico a cogliere il senso – viene portato avanti anche sul piano della contrapposizione tra ciclista e automobilista: il ciclista che pensa di essere più “furbo” del suo collega e vicino di casa automobilista perché esce dopo, arriva prima e pedala in mezzo al traffico anziché stare fermo in coda, salvo poi venire falciato da un’auto quando sta dicendo “in fondo 10 minuti di bici non hanno mai ammazzato nessuno”. Ma ancora più disturbante è il tono canzonatorio con cui il collega automobilista guarda la scrivania vuota del suo collega (che è appena stato investito, ndr) e dice “il ciclista non è ancora arrivato? Chissà se si farà vivo…”. Non so se si tratta di un humour nero-svizzero ma a me non fa affatto ridere.

Come non rido ogni volta che viene data la notizia di un ciclista investito, come provo rabbia per tutte le volte che quando pedalo vengo sfiorato da automobilisti che pensano di essere su un circuito di Formula1, come ho pianto alla notizia della tragica morte di Michele Scarponi che quella mattina non era salito in sella per andare a fare una gita fuori porta: stava lavorando per prepararsi al meglio al Giro d’Italia n. 100, il primo che l’avrebbe visto capitano dopo una vita da gregario. Per tutto questo trovo il messaggio della Polizia cantonale svizzera estremamente pericoloso, perché è frutto della stessa logica con cui vengono creati gruppi di odio sui social network nei confronti di chi pedala.

“Invitiamo quindi tutti i ciclisti a pedalare con maggior prudenza, a rispettare le regole della circolazione e a prestare la massima attenzione”, dicono nel post che accompagna il video. E la voce fuori campo aggiunge: “Quello che ti può ammazzare è guidare come un imbecille”, riferito al ciclista. In realtà quello che contribuisce a rendere chi pedala ancora più esposto ai pericoli sulle strade è di essere additato come un “criminale al manubrio” per il solo fatto di sfidare il traffico motorizzato in sella a una bicicletta. E questo è davvero inaccettabile: perché il senso di libertà che si assapora andando in bicicletta dovrebbe essere considerato patrimonio dell’umanità, non anticamera della morte su strade dove la mattanza dei ciclisti è ormai quotidiana.

Commenti

  1. Avatar francesco ha detto:

    Ci dovrebbe sempre essere rispetto da ambo le parti, ma questa è una cultura che in Italia ci metterà molto tempo per arrivare.

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