Bosnia in bicicletta

Non sappiamo bene cosa aspettarci dalla Bosnia Erzegovina. Non abbiamo amici che l’abbiano visitata e raramente ci è capitato di sentirne parlare dal punto di vista turistico. La guida la descrive come un paese dall’atmosfera sospesa tra Est e Ovest, la cui gente è molto calda e accogliente.

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Ne abbiamo subito una prova. Attraversato il ponte che costituisce la frontiera tra Croazia e Bosnia, a Kostajnica, ci troviamo davanti una piccola cittadina molto vivace e colorata. Svoltiamo a destra in una strada senza cartelli, su consiglio del navigatore, e subito dei signori iniziano a farci segno di no con la testa e con gesti. Ci disegnano su una cartina il percorso per raggiungere Prijedor e ci fanno intendere che la strada che abbiamo imboccato poi non sarà più asfaltata. Seguiamo il consiglio: proseguiamo per 8 km di pianura verso Kozarska Dubica, poi, come indica la loro cartina con una inconfondibile croce, alla chiesa svoltiamo a destra. Parte da qui un percorso straordinario, immerso in colline verdissime e tranquille, con qualche abitazione disseminata qua e là.

Pochissime le macchine che incrociamo, perché non stiamo seguendo la strada principale per Prijedor. Si sale di circa 300 m per un pò di chilometri di una bellezza incantevole e poi una dolce discesa porta a Knezica. Qui ci riforniamo di acqua e ci prepariamo al dislivello dei prossimi 17 km in direzione Prijedor. Le salite non sono ripide, però la strada diventa più trafficata della precedente, con parecchi mezzi pesanti. Vediamo da lontano Prijedor, città di circa 100 000 abitanti, con il minareto della sua moschea che svetta sul resto dei tetti: circa il 50% della popolazione bosniaca è di fede musulmana, il resto cristiano-ortodossa o cattolica. Nel centro della città una via pedonale piena di bar e negozi ci allieta nelle ore caldissime in cui sostiamo per il pranzo. Sulle 16:00 il caldo e l’umidità si fanno un pò meno intensi e sfidiamo i 50 km che restano per raggiungere Banja Luka.

Imbocchiamo la M-4, dove le auto e i camion vanno ben oltre il limite consentito dei 90 km/h. I gas di scarico delle auto, non tutte di ultima generazione, rendono l’aria poco piacevole. Nei pressi di Verici decidiamo di spostarci nella parallela che, 2 km più a nord, fa lo stesso percorso attraversando minuscoli villaggi di pastori e contadini, ignari dei suoi continui saliscendi. Qui un ragazzo in bicicletta, curiosissimo di fronte alle nostre bici cariche, ci affianca e orgoglioso ci racconta che fa parte della squadra ciclistica locale e ci racconta un pò della storia del posto. Ci avvisa di stare attenti ai furti a Banja Luka e ci consiglia di ritornare sulla strada principale se vogliamo arrivare entro sera! Attorno alle 20:00 entriamo esausti in città dopo aver superato una collinetta sulla M-4 (poco dopo Ivanjska la nostra parallela si ricongiunge alla M-4), l’ultima della giornata!

Questi primi 100 km in territorio bosniaco ci hanno regalato paesaggi e incontri singolari, che certo non scorderemo. Le persone si sono dimostrate molto disponibile e tra i giovani l’inglese ci è sembrato piuttosto diffuso. Le indicazioni stradali sono scritte sia in cirillico che nell’alfabeto latino, quindi non abbiamo problemi ad orientarci. Ottima l’impressione del primo giorno!
Il giorno successivo è il quattordicesimo dalla partenza. Siamo diretti a Sarajevo, ma ci separano più di 200 km, quindi divideremo il tragitto in tre tappe. La prima è Jajce, di cui abbiamo visto immagini che rappresentano una cascata di parecchi metri e sopra un castello diroccato.

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Ci sono due modi per raggiungerla da Banja Luka: o attraverso la M-16, piuttosto trafficata, lunga circa 70 km, che costeggia fedelmente il fiume Vrbas, oppure per 88 km di strade collinari passanti per Mrconjic Grad, decisamente meno trafficate.
Un po’ la stanchezza del giorno precedente e un pò il padrone dell’hotel ci spingono a scegliere l’opzione più breve e facile, la M-16. Non ne siamo da subito entusiasti, perché nei pressi di Banja Luka il traffico è davvero fitto e in Bosnia non abbiamo ancora incontrato né ciclabili, né carreggiate particolarmente larghe.
Dopo una decina di chilometri, però, il panorama ci convince assolutamente. Il fiume Vrbas, con le sue belle acque turchesi, ha scavato una valle profondissima tra vette alte parecchie centinaia di metri. I pendii sono selvaggi e ricoperti di foreste di un verde intenso, o talvolta rocciosi, a picco sulla nostra strada. Le condizioni dell’asfalto sono buone; purtroppo però macchine, camion e autobus sono frequenti.

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Sul percorso si trovano alcune aree attrezzate per il campeggio, ristoranti con vista mozzafiato e maialini a girare nelle griglie all’esterno. La specialità della zona è il cevapi, cioè polpette di forma allungata di solito servite su pane, con cipolla come contorno. Se ne può scegliere il numero è di solito non costano più di 3 o 4 €.
Il percorso è pianeggiante, se non per il tratto di Dabrac, ad una cinquantina di chilometri da Banja Luka, dove una salita di un paio di chilometri ci porta a 500 m di altezza. Da quassù è ancora più piacevole la vista della Vrbas e delle sue anse. Una volta scesi incontriamo cinque o sei gallerie e ci acconciamo a dovere con luci e giubbottini catarinfrangenti, ma sono tutte brevi (la più lunga misura 230m). Prima di Jajce un’altra piccola salita e poi si incontra il ponte che dà accesso alla città: da qui già si sentono e vedono in lontananza le sue maestose cascate.
Decidiamo di fermarci qui per due notti. Alloggiamo nel centro storico, nei pressi della moschea, incuriositi dai suoi rituali, con i cinque adhān (appelli alla preghiera), che scandisono le giornate.
Nel giorno di pausa visitiamo delle cascate su Kralja Stiepana Tomasevica, ad un paio di chilometri in direzione Jezero. Queste creano un paesaggio fiabesco, che, seppur a due passi dalla E761, catapulta verso scenari tropicali! Un ristorante cura l’intera area e fa dei buoni piatti a prezzi davvero bassi.

Il giorno seguente si riparte, siamo diretti a Travnik, ultima tappa prima di raggiungere l’ambita Sarajevo. Ci documentiamo su come sia meglio raggiungerla. Le possibilità sono due: continuare sulla M16 per Donji Vakuf, ancora lungo il corso della Vrbas (quindi in pianura), e di lì seguire la E-661 per Travnik, raggiungendo i 920 m slm. Questa è l’opzione più trafficata. Oppure godersi un bel panorama montano e raggiungere i 1200 m slm passando per Krezluk e Cesici, risparmiandoci una decina di chilometri. Crediamo di scegliere la seconda. Partiamo calando dalla salita fatta per raggiungere Jajce e imbocchiamo a ritroso la M16; dopo pochi chilometri voltiamo a destra, su indicazione del navigatore, nella R-413B. Una salita spacca gambe ci dà il buongiorno e sembra davvero non finire mai. Dopo qualche chilometro così, ad un bivio, decidiamo di chiedere indicazioni, giusto per stare tranquilli. Un anziano signore ci dice che dobbiamo ritornare a Jajce e di lì andare verso Donji Vakuf. Lo ignoriamo e chiediamo a dei giovani camionisti. Stessa storia: “not available for bykes this road”. E ci piazzano davanti un braccio inclinato di buoni 50°. Capiamo di non essere dove avremmo voluto: abbiamo impostato male il navigatore e ci ha portati su una strada che, si arriva a Travnik, ma nessuno ci ha mai menzionato, col senno di poi sappiamo perché. Decidiamo che, di tornare a Jajce dopo quella sudata, non se ne parla e procediamo comunque, verso Kupresani e poi Dobretici: ci aspettano oltre 20 km di salita ininterrotta, all’inizio cosparsa di casette qua e là e civiltà, poi sempre più remota. Il paesaggio è incredibilmente verde, disseminato di boschi di conifere e prati.

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Non si trova acqua se non una sorgente freschissima poco prima di raggiungere la vetta, a 1293 m. Tanto meno il cibo, da Kupresani in poi. A Dobretici c’è solo un bar con qualche snack. Di qui, ancora a nostra insaputa, la strada per Travnik diventa sterrata per quasi una decina di chilometri e si insinua in un bosco selvaggio: stupendo, se non fosse che i tuoni in lontananza ci mettono fretta.
Qui il dislivello è minimo e tratti in lieve pendenza si alternano a brevi salite. Incrociamo qualche macchina a cui chiediamo conferme! Anche se non parlano inglese i bosniaci fanno di tutto per farsi capire; qualcuno scende dalla macchina per gesticolare meglio. Sbuchiamo all’altro capo del bosco sulla R-413 e l’asfalto ci conduce giù per 20 km fino alla meta, a 500 m di altitudine.

Travnik conta circa 50000 abitanti, ma ci stupisce per la vitalità delle sue vie, per l’altissimo numero di moschee e per i forni (pekara) disseminati veramente in ogni angolo del centro.
Fremiamo per visitare Sarajevo e partiamo la mattina presto per affrontare i circa 90 km che la separano da Travnik. Questa volta studiamo accuratamente la rotta: imbocchiamo la E-661, è piuttosto trafficata, anche perché stiamo viaggiando presto di lunedì mattina. Ne percorriamo 27 km, alcuni dei quali anche gradevoli perché costeggiano il fiume Lasva. Ai lati della strada si trovano motel, ristoranti e ogni tipo di rifornimento necessario (anche meccanici e negozi di biciclette). Qualche centinaio di metri prima della svolta per la A1, ci infiliamo in una viuzza sulla destra che porta alla minuscola cittadina di Lasva. La strada, da dissestata, diventa presto un sentiero inghiaiato e deserto che in insinua tra il fiume Bosna e le rotaie per circa 5 km. Farfalle e libellule ci tengono compagnia.

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All’altezza di Biljesevo attraversiamo il fiume ed iniziamo a seguire la R-445 che ci condurrà, dopo altri 60 km, a Sarajevo. Attraversiamo Visoko, la cittadina più grande sul percorso, e diamo un’occhiata al suo colorato centro in cerca di una pekara!
Lungo la strada troviamo alcuni branchi di cani randagi (non è la prima volta dall’ingresso in Bosnia), alcuni tranquilli, altri più aggressivi nei confronti dei ciclisti, forse perché non abituati a vederne.
Il percorso è generalmente pianeggiante, tranne per gli ultimi 9 km di ingresso a Sarajevo, la quale si adagia in una valle a circa 500 m di altezza, circondata da ripidi pendii su cui si arrampicano alcuni dei suoi quartieri. La vita qui, ed in tutta la Bosnia attraversata finora, è decisamente economica per gli standard occidentali: si può mangiare al ristorante con meno di 10 € ed alloggiare in due spendendo da un minimo di 20 € a più di 80, in base alla collocazione e alle stelle.
Parlando con un giornalista del posto, scopriamo che il salario medio è di 450 KM (marchi bosniaci), cioè attorno ai 230 €.

La Bascarsija, il vero e proprio centro di Sarajevo, originariamente zona del mercato, ospita nei suoi vicoletti una marea di caffè e negozi in stile turco e ci stupisce il susseguirsi di moschee, chiese ortodosse e cattoliche.
Dopo due giorni di pausa, sufficienti per scoprire Sarajevo e imparare qualcosa dalle sue recentissime e tristi vicende storiche, ci muoviamo in direzione est. Ci informano che sarà una zona più rurale e povera e che uscendo da Sarajevo lasceremo la Federazione di Bosnia Erzegovina, in cui siamo entrati a Jajce, e faremo nuovamente ingresso nella Repubblica Serba di Bosnia Erzegovina. È complicatissima e tesa la situazione politico-amministrativa di questo paese.

I cartelli stradali iniziano ad essere scritti prevalentemente in cirillico e anche per le vie delle città ci perdiamo facilmente, non sapendo leggere le loro iscrizioni. Vogliamo raggiungere Visegrad, città famosa per il ponte sulla Drina a cui Ivo Andrevic, premio Nobel per la letteratura nel 1961, ha dedicato un romanzo.
La città dista però 115 km e dividiamo in due la tappa, con sosta per la notte a Rogatica, l’unica cittadina dove sia possibile alloggiare (anche se sul percorso si incontra qualche motel).
Una buona metà della prima tappa sale costantemente, come potevamo già immaginare guardandoci attorno dal centro di Sarajevo, incastonata tra un profilo continuo di vette. Imbocchiamo la E-761, che presenta qualche tunnel e un discreto traffico, soprattutto di mezzi pesanti. Noteremo più avanti che sono molte le segherie nella zona ad est di Sarajevo e di qui molti camion partono o arrivano carichi di legname. Con calma, dopo una trentina di chilometri, raggiungiamo i 1300 m e in cima ci riforniamo d’acqua nella fontanella sulla strada di un ristorante. La discesa non è lunga, perché arriviamo ad un alpeggio all’altezza di 800 m. Il panorama qui è davvero piacevole e la vista si allunga fino a parecchi chilometri di distanza: la vegetazione e le poche architetture che incontriamo sono quelle tipiche di montagna.

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Ultimo strappo di salita che ci riporta ai 1000 m e poi 15 km di discesa ci conducono fino a Rogatica. La cittadina è piccola, con nessuna particolare attrazione.
Abbiamo percorso una settantina di chilometri e la tappa è stata piuttosto dura a causa del suo dislivello.
Ora solo 45 km abbastanza pianeggianti ci separano da Visegrad, la nostra ultima tappa bosniaca, ma di questi ben 9,6 sono di tunnel, divisi tra 28 gallerie circa. Giubbottini catarinfrangenti, luci accese, torce da testa, siamo pronti. Se non che, al terzo tunnel, lungo 316 m (lo ricordiamo con precisione!), il buio pesto e la velocità delle auto ci terrorizzano! Cambiamo tecnica: prima di ogni tunnel di cui dall’ingresso non vediamo la fine, ci appostiamo e chiediamo ad un auto, a un furgone o a un camion (più voluminoso è il mezzo meglio è), se può gentilmente illuminarci la via da dietro e soprattutto segnalare agli altri mezzi la nostra presenza con le quattro frecce. Troviamo grande disponibilità da parte di tutti, ma comunque dentro ai tunnel pedaliamo all’impazzata per poterci passare meno possibili di quegli interminabili secondi!
Intanto, tra una galleria e l’altra lo scenario è mozzafiato perché seguiamo il corso della Drina, che si è scavata una gola tra il verde e le pareti rocciose dei monti bosniaci.

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Nonostante il fascino indiscutibile di questo territorio, ci sentiamo di sconsigliare di percorrere la nostra stessa strada, se non davvero coscienti del possibile pericolo e preparati ad esso.
Lasciamo così la Bosnia come ci siamo entrati: costeggiando le acque blu di un fiume in cui si specchiano i verdi pendii circostanti. Questa è l’immagine più vivida che ci ha lasciato di sé.


piece_of_cake_thumb-1-699x366Siamo Chiara e Riccardo; abbiamo lasciato Cesena venerdì 10 giugno, direzione Singapore! Il nostro progetto si chiama ‘For a piece of cake’, perché la torta, per Chiara, diabetica di tipo 1 dall’età di 11 anni, è un piacere da conquistare con dosi extra di insulina o attraverso l’esercizio fisico, l’ingrediente principale di questa lunga avventura.

È possibile seguire la nostra avventura anche su:
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