Il paradosso del ciclismo

Chiunque approcci il ciclismo come sport, sia con desideri di agonismo che semplicemente per stare in forma o divertirsi, parte con la convinzione che il fulcro di tutto siano le gambe. Questa credenza è talmente radicata che il solo proporre esercizi di potenziamento che coinvolgano distretti diversi dalle gambe è stato spesso visto come inutile o come un vezzo da professionisti.
La realtà è molto diversa e abbiamo cercato di scoprirla attraverso dei test mirati, con sensori di potenza, EMG e rendering cinematico della pedalata.

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Il ciclista che pedala descrive con i vari segmenti corporei degli angoli che variano continuamente e che devono cadere all’interno di una precisa finestra biomeccanica. A ogni angolo corrisponde una diversa attivazione da parte di tutti i muscoli. Fisiologicamente possiamo racchiudere i muscoli del ciclista in due grandi distretti: la parte inferiore, deputata alla potenza, e la parte superiore, che ha il compito della stabilizzazione.

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I muscoli della gamba (rappresentati nel grafico di colore verde), nel ciclo della pedalata, descrivono dei movimenti ciclici di flessione ed estensione. Il retto femorale e i vasti, che formano il quadricipite, sono gli estensori del ginocchio mentre il bicipite femorale è il flessore. I primi lavorano nella fase di spinta mentre i secondi durante la fase di risalita del pedale dopo che questi ha passato il punto morto inferiore. Il polpaccio, formato dal gastrocnemio e dal soleo, e il tibiale anteriore hanno invece il compito di gestire la potenza espressa dalla coscia, mantenendo in posizione la caviglia, affinché non collassi sotto la spinta verticale. La continua inclinazione del pedale durante la circonferenza di pedalata costringe il piede a un continuo movimento di flessione plantare e dorsale, che deve essere gestito sempre dai muscoli del polpaccio. I cicli di contrazione muscolare, fatta di attivazione e rilascio, tendono ad accorciare i muscoli, rendendoli poco flessibili.

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La parte superiore del corpo (come indicato nello schema azzurro), che dal bacino arriva fino alle mani, ha invece il compito di stabilizzare e mantenere l’equilibrio. Il bacino, vero e proprio punto di giunzione dei due distretti, non deve muoversi sotto i colpi potenti dei muscoli della coscia. Ciò avviene grazie alla contrazione dei muscoli del quadrato dei lombi e dei dorsali, che mantengono in posizione bacino e rachide. Lo stesso avviene per le braccia, il petto e le spalle, che devono sostenere il peso della parte superiore del corpo e mantenere fermo lo sterzo. Infine i muscoli del collo devono sostenere il peso della testa, che quando si tiene lo sguardo in avanti obbliga le vertebre cervicali ad assumere una curva più accentuta. Iperlordosi che viene sostenuta dalla contrazione dei muscoli del collo. Quindi che tutto il blocco superiore del corpo lavora in contrazione isometrica, un tipo di lavoro che tende naturalmente ad accorciare la lunghezza muscolare.

Da qui si capisce come andare in bicicletta tenda ad accorciare le leve muscolari e ridurre la flessibilità. Eppure, per una pedalata efficiente, è necessario che i muscoli siano flessibili, sia per muoversi al meglio all’interno del ROM (Range of movement) articolare sia per sostenere i lunghi carichi di lavoro isometrico ai quali sono sottoposti.

E’ il paradosso del ciclismo: per andare in bici bisogna essere flessibili ma pedalare tende a ridurre la flessibilità dei muscoli.
Come risolvere il problema? Solo con un piano di allenamento mirato a potenziare i muscoli, sia con lavori di forza eccentrica che isometrica (valido per i muscoli del distretto superiore al fine di simulare il lavoro in bici), sia con un’attività di stretching o ginnastica posturale pianificata e quotidiana.

Allenarsi pensando che basti pedalare e al massimo potenziare le gambe è in realtà controproducente. Per ottenere risultati in bicicletta si deve lavorare sul corpo nella sua globalità, coinvolgendo tutti i muscoli e cercando di battere il paradosso del ciclismo.

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