Ucraina in bici: la costa del sud

In Romania siamo stati tentennanti in merito alla scelta del porto da cui prendere il traghetto per attraversare il Mar Nero, volendo evitare la Turchia, ma anche i conflitti nella parte orientale dell’Ucraina. Le opzioni possibili erano Costanza (Romania) o Illichivsk, vicino ad Odessa (Ucraina).
Non ci siamo messi a valutare le due ipotesi con cartine alla mano o guide turistiche. Ha semplicemente avuto la meglio la curiosità sulla prudenza: così abbiamo deciso di fare qualche chilometro in più e aggiungere due paesi (Moldavia e Ucraina) alla lista di quelli pedalati.

Mappa

Traccia gps | Mappa kml

Alla frontiera, senza confessarlo, ci pentiamo entrambi di non aver studiato meglio la situazione: il confine è sempre un luogo freddo e la faccia serissima del doganiere ci pare rappresentare il paese teso in cui stiamo entrando.

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Percorriamo i 10 km che ci portano a Bolhrad con strane emozioni in circolo. Lasciamo le cose in albergo (non ci rendiamo conto di quanto siamo fortunati ad incontrarne già uno) e partiamo, sempre in bici, per esplorare la città prima del buio: poche casette sparse, qualche negozio e due chiese dall’aspetto maestoso. Facciamo subito un incontro provvidenziale con il notaio del paese, amante del cicloturismo, ed i suoi amici, che, oltre ad un’accoglienza strepitosa, ci danno preziose dritte per i giorni successivi e cartine stradali.
L’ansia si scioglie immediatamente durante la cena con queste persone, che sono sinceramente felici di averci incontrati e di scoprire cosa stiamo facendo. Utilizzando i figli come traduttori in inglese per noi, ci spiegano che, nonostante il paese sia in guerra, la situazione in questa regione è tranquilla. I padri non hanno imparato l’inglese perché, ai tempi della loro istruzione, quando l’Ucraina apparteneva ancora alla Russia, il governo lo disincentivava.

Seguendo le indicazioni del notaio, che addirittura ci accompagna per 20 km, ci muoviamo verso Shevchenkove, la prima cittadina in direzione mare in cui trovare una sistemazione. Le condizioni delle strade che percorriamo sono le peggiori dall’inizio del viaggio, ma questo in realtà gioca a nostro favore: pochissime macchine e basse velocità. Per la prima volta, in alcuni tratti, procediamo più spediti delle auto, perché le nostre ruote sottili trovano una traiettoria tra le buche molto più facilmente delle macchine, costrette spesso a viaggiare nello sterrato a margine della carreggiata. Scopriamo che l’Ucraina è il paese delle strade parallele: a volte ce ne sono fino a tre, che corrono una a fianco all’altra. La prima di solito è asfaltata in maniera indecente, tutta una buca.

asfalto distrutto

La seconda è uno sterrato che il passaggio delle auto, esasperate dall’asfalto rovinato, ha trasformato in un’opzione migliore della prima. Se poi ce n’è anche una terza è perché il primo sterrato, tra la pioggia e il passaggio di camion, è diventato anch’esso difficile da percorrere.
Da Bolhrad, tra una salita e una discesa, seguiamo la M15 per 20 km fino a Vasylivka, dopo la quale la nostra guida ci saluta e ci dice di svoltare a destra. Inizia da qui un piacevole viale alberato tra campagne coltivate, che ci porta a Kamianka. Poi facciamo un breve tratto di E-87 per Izmailskyi Raion, anche questa con una bellissima chiesa dalla copertura brillante. Alla fine del paese teniamo la sinistra e imbocchiamo una lunga strada dissestata praticamente deserta;

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Prima di Chervonyi Yar la via attraversa il lago Kytai, in un paesaggio stupendo. Alcuni bambini fanno i tuffi dal ponte, in un’atmosfera che ci porta indietro nel tempo. Altri 15 km e raggiungiamo Shevchenkove, piccolo e placido villaggio, con al suo centro un parco fiorito meraviglioso.
Qui, nei piccoli market (‘magazin’ in russo) di periferia, capita ancora che il resto di un pagamento, se di poco conto, venga dato in caramelle, anche perché la maggior parte dei clienti sono bambini, mandati dalle famiglie a fare la spesa su biciclette sovradimensionate. I calcoli vengono fatti attraverso grossi abaci con anelli in legno, su quali le dita si muovono con una velocità impressionante. Solo alla fine dell’operazione i commercianti usano la calcolatrice, ma per farci capire quanto spendiamo.

Il giorno seguente ripartiamo per il mare, da cui ci separano solo una trentina di chilometri, ma di strada in cattive condizioni. Raggiungiamo prestissimo Prymorske (la prima di tre città che incroceremo con lo stesso nome), sperando di goderci un pò di ore in spiaggia. Scopriamo che le strutture ricettive hanno un livello di qualità molto basso (così come i relativi prezzi) e che la costa è davvero affollatissima. L’acqua non è molto pulita, ma la spiaggia è comunque piacevole. La via della città è animata da giostre, reti elastiche e zucchero filato, come in un vecchio film. 
Poi ci muoviamo verso nord lungo il corridoio tra Mar Nero e lago Sasik, in un tratto di terra deserto. La via principale è costituita da una serie di lastroni di cemento prefabbricati, le cui fughe e tondini scoperti minano seriamente la tenuta delle nostre gomme. In alternativa uno o due sterrati gli corrono a fianco quasi per tutta la lunghezza.

sterrato

Arriviamo a Lyman e poi continuiamo per il secondo Prymorske e la sua spiaggia, sei chilometri più a sud. Troviamo un paesino squallido, con un’urbanistica per niente adatta ad accogliere il turismo che invece vi si riversa in massa. L’unica nota positiva è che la spiaggia si trova oltre un tratto paludoso e delle passerelle di legno la congiungono alla terraferma, tenendo lontano così traffico e confusione. Per continuare verso nord da Prymorske imbocchiamo uno sterrato impervio di 20 km, con forte vento contrario. Dopo Vyshneve la strada diventa asfaltata e poi svoltiamo a destra sulla T1610, tra continui dislivelli e buche. La via ‘asfaltata’ è ormai diventata la nostra pista ciclabile, perché le macchine preferiscono gli sterrati al suo lato, coprendoci di sabbia e polvere ad ogni passaggio. A Vesele deviamo per pochi chilometri dalla strada principale superando da nord il lago Solone. Dopo un piccola salita, prima di tornare sulla T1610, ci si spalanca davanti un inatteso paesaggio paludoso tranciato dalla strada, con un basso strato di acqua che prende colore dalla vegetazione sottostante: verde, rosso, giallo.

palude

A Bazarianka troviamo un piccolo supermercato e facciamo rifornimento, visto che la strada aveva fin qui offerto poca civiltà, e poi proseguiamo fino a Kurortne, altra località di mare assalita dai turisti ucraini. Apprezziamo molto la sua spiaggia, sotto ad una parete strapiombante che rende lontani i rumori della città.
Dalle mappe di Google ci sembra che sia possibile percorrere la lingua di terra che procede a nord, tra lago e mare, e quindi scendiamo nella parte settentrionale della spiaggia di Kurortne per qualche chilometro, fino a che un cancello ci sbarra la strada.

Proviamo a supplicare un uomo perché ci lasci proseguire nella proprietà privata, ma lui fa segno che oltre ci saranno grossi cani feroci. Questa volta non protestiamo, invertiamo le biciclette, risaliamo fino al paese e imbocchiamo di nuovo la T1610 fino a Bilenke. Alla fine di questo piccolo paesino svoltiamo a destra in un vicoletto sterrato e poi a sinistra in Vysoka Vulytsia, di nuovo asfaltata. La qualità delle strade, avvicinando Odessa, aumenta decisamente, e con essa anche il numero di auto e la loro velocità. Giunti alla T1604 svoltiamo a destra per Zatoka, cittadina di mare più adeguatamente attrezzata delle precedenti. Se possibile, è però ancora più affollata e trafficata: scopriremo poi che era in corso un festival e che una tromba d’aria, la sera precedente al nostro passaggio, ha causato una vittima e molto scompiglio. La strada procede verso nord in uno stretto corridoio tra mare e lago, ma non se ne ha la percezione a causa dell’edificazione senza criterio di entrambi i lati.

camioncino frutta

La cittadina seguente, Karolino-Buhaz, a dispetto del nome simpatico, si rivela niente più di un garbuglio complicato di vicoli sterrati disseminati di ristoranti e alberghi in maniera disordinata.
Ci fermiamo qui per il pranzo, che non è, in Ucraina, un rituale semplicissimo: i menù sono per noi incomprensibili e, al di fuori di Odessa, non li troviamo mai tradotti in inglese. Le figure a volte ci aiutano, qualche altra volta è un giovane studente mandato dalla famiglia del tavolo a fianco a tradurci per i camerieri. Altre volte ancora pensiamo di saper interpretare qualche parola e ordiniamo invece pasti improbabili.
A Karolino-Buhaz la fortuna non ci sorride e Riccardo, forse per un piatto sbagliato, si becca un’intossicazione alimentare, con tanto di febbre a 39°C. Abbiamo però prenotato l’alloggio per il giorno seguente ad Odessa, dove dobbiamo assolutamente sbrigare l’acquisto dei biglietti del traghetto (internet non è ancora arrivato fino a questo punto in Ucraina).

Il giorno successivo ci mettiamo dunque in strada, ma presto il caldo e le condizioni di Riccardo ci spingono a cercare un treno per Odessa. Siamo dispiaciuti perché, per la prima volta in questo viaggio, non saranno le ruote delle nostre bici a mangiarsi chilometri, ma ci lasceremo trasportare passivi da un punto al successivo, per 30 km, arrendendoci ad una serie di circostanze sfortunate.
La prima stazione che incrociamo è quella di Dalnyk e capitiamo casualmente in coincidenza del treno. Ci dicono che il biglietto si fa a bordo e costa un terzo di euro per Odessa, ma il bigliettaio non passerà. Le carrozze sono stipate di persone, sedute e in piedi; molti tornano dalle vacanze con l’ombrellone tra i bagagli. Occupiamo, ciascuno con una bici, due scomparti tra le carrozze e per un’ora e mezzo ci barcameniamo per intralciare il meno possibile il transito dei passeggeri. La febbre di Riccardo intanto sale e, una volta raggiunta Odessa, si passa i tre giorni di riposo previsti nel letto tra antibiotici e tachipirina.

La città è ricchissima di monumenti e attrazioni e le vie sono un susseguirsi di bar e ristoranti alla moda, frequentati da persone altrettanto alla moda. Ci pare di tornare in una grande città europea, isola anacronistica in un paese fermo a sett’anni prima.
Ad Odessa ci rivogliamo alla compagnia UKR Ferry per acquistare i biglietti del traghetto per Batumi, Georgia: una cabina ci costa 2700 hrivna (100€) a testa, con tre pasti al giorno inclusi, più 300 hrivna (11€) per il servizio. Le operazioni non si svolgono via internet ma per due volte dobbiamo recarci nei loro uffici, nei pressi del porto di Odessa.

L’organizzazione lascia un pò a desiderare e, anche a causa delle condizioni del mare, nessuno ci dice con precisione l’ora di partenza, né tanto mano la durata del viaggio; sul sito della compagnia leggiamo che la durata media della tratta è di 48h.
Il porto d’imbarco si trova ad una ventina di chilometri a sud di Odessa, ad Illichivsk. La UKR Ferry ci dice di presentarci alle 19:30 in un ufficio a Burlacha Balka (di cui ci forniscono foto!), dove dovremmo ricevere le carte di imbarco. Lì però ci dicono che ci verranno consegnate alle 20:00 al porto, che si trova un chilometro oltre. Il cielo è grigissimo e il vento forte; proviamo a chiedere se la barca partirà comunque ed un funzionario ci risponde sbruffone: “maybe yes maybe no, maybe rain maybe snow”. Attorno alle 21:00 effettivamente riceviamo le carte ed iniziamo le trafile burocratiche per l’uscita dall’Ucraina e l’imbarco. Alle 23:00 siamo in cabina, che, a dispetto delle nostre scarse aspettative, è confortevole. Ci addormentiamo e solo alle 3:00 di notte ci accorgiamo che la nave è salpata. Il nostro viaggio durerà circa 65 ore perché il mare mosso non ci permetterà di attraccare appena arrivati a Batumi, ma nel complesso il passaggio in nave è stato piacevole.

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