Intervista a Valentino Rolando, primo italiano a girare il mondo in bici

Intervista a Valentino Rolando, primo italiano a girare il mondo in bici

Valentino Rolando, classe 1927, è un pezzo di storia del cicloturismo. Tra il 1956 e il 1958, insieme all’amico Adriano Sada, sono stati i primi italiani a compiere un giro del mondo in bicicletta. Siamo andati a Torino ad intervistarlo, e quando gli abbiamo chiesto se la loro non sia stata un’impresa particolare per quei tempi, ha risposto: «erano gli anni ’50, mica la preistoria».

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Valentino, ciao e grazie di averci incontrato. Grazie a voi, mi fa molto piacere che le persone si interessino ancora di quel viaggio dopo tanto tempo, e anzi mi dispiace di non potervi dare quel libro che abbiamo scritto con Adriano, “Due biciclette intorno al mondo – Da Torino a Torino 1956 -58“, ne ho uno solo, e anche in libreria è difficile trovarlo, ne hanno stampate pochissime copie.

Come mai? Al ritorno dal giro del mondo abbiamo chiesto ad un po’ di case editrici di pubblicare qualcosa ma non è stato facile. Allora non c’era grande interesse attorno a questo tipo di viaggi, e così non se n’è fatto niente. Solo dopo molti anni siamo riusciti a trovare un piccolo editore, ma non è stato possibile stampare più di qualche centinaio di copie.

Niente paura, ce lo racconterai a voce. Partiamo dall’inizio. Torino, estate del 1956. Si, all’epoca avevo 29 anni, ero laureato in legge e facevo praticantato in uno studio notarile. Adriano, che se n’è andato ormai qualche anno fa, era un caro amico, un amico d’infanzia, da piccoli giocavamo in strada proprio da queste parti, a Torino. Un pomeriggio gli ho proposto di fare un viaggio in bicicletta, un giro del mondo. Anche lui lavorava, era ragioniere, e all’inizio era un po’ titubante a mollare tutto. Alla fine si è convinto, credo mi abbia detto di si anche per la grande amicizia che correva tra noi. Siamo partiti da Torino il 2 settembre del 1956.

A chi lo avete detto per primi? Due amici sapevano del vero progetto, ma solo loro. Sapevamo che chiunque avrebbe avuto da ridire della nostra decisione, così non abbiamo avvertito nessun altro. Ci siamo presi entrambi una settimana di ferie e abbiamo fatto finta di partire per una vacanza come tante, solo che in bicicletta. Dopo 8 giorni di viaggio siamo arrivati a Trieste e da lì abbiamo mandato delle lettere a parenti, amici e colleghi. «Non torniamo – c’era scritto – siamo partiti per un giro del mondo in bicicletta».

Normale che avrebbero avuto da ridire, per quei tempi era raro un viaggio del genere. Più persone me lo fanno notare, ma penso che in fondo eravamo negli anni ’50, mica nella preistoria!

E’ passato poco tempo dalla decisione alla partenza. Come vi siete organizzati? Non ci siamo organizzati, si sa come vanno queste cose, se ti organizzi non parti più.

Avevate una buona esperienza con la bicicletta? Assolutamente no, io andavo giusto un po’ in bici, Adriano nemmeno quello. Addirittura, tra l’attrezzatura di ricambio avevamo una serie di raggi che al momento delle prime rotture abbiamo provato a montare. Ma avevamo sbagliato misura, i raggi di riserva erano troppo corti per quei cerchioni, e non ne volevano sapere di entrare! Così ci siamo inventati di batterli più e più volte con delle pietre per appiattirli ed allungarli. Alla fine sono entrati.

Che biciclette avevate? Avevamo due “Frejus”, vi faccio vedere il telaio della mia, lo conservo ancora appeso al muro di questa sala.

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E quell’orologio? E’ l’orologio che ho avuto con me in quei due anni, lo conservo ancora. E se si guarda bene, accanto c’è il contachilometri, segna 9493 chilometri, perché ogni 10 mila ricomincia, e quello è il terzo giro, quindi 29493 chilometri totali, anche se quelli del viaggio sono stati 27.936.

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I soldi? Abbiamo speso anche meno di quel che pensavamo all’inizio. Prima della partenza avevamo nascosto due assegni di 200 mila lire, in sterline, che alla fine non abbiamo mai cambiato, siamo tornati a casa con ancora quegli assegni. Quasi sempre eravamo ospiti, e ogni tanto abbiamo anche lavorato. In Iraq abbiamo lavorato sei mesi con un’azienda italiana. Abbiamo guadagnato un bel gruzzolo che ci ha consentito di rinforzare il budget iniziale e di proseguire il viaggio più spensierati. A dire la verità abbiamo lavorato anche un’altra volta, negli Stati Uniti, come raccoglitori di pomodori, ma è stato per un solo giorno.

Ricordaci l’itinerario del viaggio. Siamo partiti da Torino e abbiamo attraversato i Balcani, fino alla Turchia. All’inizio avevamo dei carrellini da viaggio ma qui li abbiamo abbandonati, pesavano troppo ed erano scomodi, così abbiamo proseguito con due normali borse. Poi Siria, Iraq, Afghanistan, Pakistan, India, Indonesia, e il Giappone. Dal Giappone ci siamo imbarcati su una nave italiana che ci ha accompagnato fin negli Stati Uniti, gratis ovviamente, era una nave cargo, ed è stato un viaggio lunghissimo anche quello, 18 giorni in mare aperto. Attraversati gli States siamo giunti a New York, e da qui ci siamo imbarcati su una seconda nave, sempre italiana, che ci ha portato a La Spezia. Il viaggio è durato in tutto due anni e tre mesi, siamo tornati a casa nell’inverno del ’58, in tempo per il Natale.

Come comunicavate con l’Italia? Per lettera tramite le ambasciate. Mandavamo una lettera da un paese e ci raccomandavamo di farci avere la risposta all’ambasciata del paese successivo in cui prevedevamo di arrivare. Ha funzionato, riuscivamo a tenere i contatti, ma ovviamente molto saltuariamente.

Dove avete passato le due notti di Natale in quei due anni? Il primo, nel ’56, lo abbiamo trascorso in Iraq, insieme ai dipendenti di quella società per cui abbiamo lavorato. E’ stata anche una necessità fermarsi in Iraq, siamo arrivati lì all’inizio dell’inverno e non era il caso di attraversare le montagne con quelle condizioni. E’ stata una decisione saggia aspettare la primavera. Il Natale del ’57 invece lo abbiamo passato nel sud est asiatico, in casa di una famiglia.

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Siete stati ben accolti nei vari paesi? Praticamente sempre, tranne in un paio di circostanze. La maggior parte delle volte venivamo accolti tranquillamente in casa di famiglie del posto, a volte qualcuno ci ha regalato soldi, o una notte in un albergo di lusso, altre volte dove non c’erano centri abitati dormivamo in tenda. E in un paio di circostanze abbiamo rischiato.

Vi è capitato qualcosa di spiacevole? Si, ma solo un paio di volte in fondo. La prima volta eravamo in Turchia e siamo stati aggrediti da un gruppo di banditi, non ci hanno fatto male, ci volevano solo immobilizzare per rubarci i soldi, ma per fortuna proprio in quegli attimi è passato per caso un gruppo di persone e quelli si sono dileguati. E poi c’è stata qualche disgrazia “autoprocurata”, io ad esempio ho contratto la malaria in Siria e sono dovuto rimanere fermo in ospedale un po’ di giorni.

Cosa conservi di quel viaggio? A parte i ricordi di due anni di vita, vita vera, ci sono diverse cose materiali che custodisco gelosamente di quel viaggio: il telaio della bicicletta innanzitutto, poi la rassegna stampa dell’epoca, di molti paesi, le fotografie, che in verità le ha fatte la maggior parte Adriano, era più bravo di me, aveva una buona macchina fotografica e faceva degli ottimi scatti. Io invece ero incaricato di tenere il diario di viaggio. E poi avevamo un secondo diario che facevamo scrivere alle persone e alle famiglie che ci ospitavano, abbiamo dediche scritte in arabo, in giapponese, in un sacco di lingue.

Non hai mai pensato di fartele tradurre? No, ma che volete che dicano, sono sempre le stesse cose…

Il ritorno? Eh, non semplice per molti aspetti. Il viaggio era finito, dovevamo cercare un nuovo lavoro, anche se io poi sono tornato al vecchio studio notarile, dove tra l’altro ho conosciuto mia moglie. E poi qualcuno ci ha dato addosso per essere partiti in quel modo, qualcuno ci ha rimproverati di aver gettato due anni importanti per fare carriera, qualcun altro per aver mollato le amicizie così, da un momento all’altro. Io e Adriano lo avevamo messo in conto, ma non abbiamo potuto fare a meno di partire.
Volevamo girare il mondo in bicicletta, e l’abbiamo fatto.

Il libro

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“Due biciclette intorno al mondo – Da Torino a Torino 1956-58”
Lazzaretti Editore – 30 euro
Disponibile alla libreria “La montagna” (Torino)

Galleria fotografica

La prima pagina del diario di viaggio tenuto da Valentino Rolando, datata 10 settembre 1956, esattamente 8 giorni dopo la partenza da Torino. Valentino e Adriano sono arrivati a Trieste e oltre a cominciare a scrivere i propri appunti, inviano a casa le lettere con cui comunicano che sono partiti per il giro del mondo in bicicletta. Cliccando la foto si riesce a leggere: “oggi, faccende varie a Trieste, tra cui le lettere…

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Gli appunti della parte di viaggio da Baghdad e Dehli, tra il 7 aprile e il 31 luglio del ’57:

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Un po’ di rassegna stampa:

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La dedica del presidente siriano:

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Valentino

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Intervista a Valentino Rolando

Commenti

  1. Roberto Buselli ha detto:

    E possibile che qualcuno mi fornisca l’indirizzo mail di Valentino Rolando? Anni addietro mi ha fatto avere il libro ( con dedica ) e avevo promesso che , una volta letto , avrei fatto sapere cosa ne pensavo . Non lo ho mai fatto , avevo dimenticato la promessa e me ne dispiaccio , Vorrei rimediare , anche se il sig. Valentino non potrà leggere le mie righe. Grazie.

    1. Manuel Massimo ha detto:

      Buongiorno Roberto,

      purtroppo Valentino Rolando è venuto a mancare il 9 marzo 2022, come comunicato dalla sua casa editrice Ediciclo in questa nota: https://www.ediciclo.it/it/blog/dettaglio/buon-viaggio-valentino/

      Un caro saluto e grazie per il suo commento.

      Manuel Massimo – Direttore responsabile di Bikeitalia.it

  2. Paolo ha detto:

    Tutto molto emozionante………grazie di cuore a tutti….

  3. Francesco ha detto:

    Buongiorno a tutti!
    Sono il figlio di Valentino e desidero ringraziare tutti (in primis Alessandro MICOZZI per aver incontrato papà qui a Torino e per aver pubblicato la sua intervista) .per l’interesse dimostrato per l’impresa di papà e di Adriano (RIP). Segnalo altresì, per chi fosse interessato, il sottonotato sito contenente un’intervista video fatta a papà da una ragazza austriaca (laureata in Italia) che sta girando un documentario sulle imprese dei cicloturisti dagli albori al giorno d’oggi. Si chiama Bernadette WEBER:

    http://www.vimeo.com/57049366
    Un cordiale saluto a tutti!
    Francesco ROLANDO

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