C’era una volta la Zona 30
Questa rubrica tratterà argomenti seri in modo leggero, e fantasie irrilevanti con inusitata drammaticità.
Quindi, cominciamo subito raccontando una brevissima fiaba storica, che non pretende d’essere istruttiva ma solo un momento di intrattenimento, senza facili morali o indici puntati al cielo a fendere l’aria.
Un tempo l’uomo viveva nelle caverne, poi, stufo dell’umidità, traslocò in una casa coi termosifoni; poi, stufo di traslocare se stesso in giro per la città, inventò l’automobile. Con l’automobile ogni cosa si faceva in poco tempo, motivo per cui ebbe subito un grande successo, motivo per cui rischiò di incamminarsi verso un rapido declino: tutti avevano un’auto e le strade non bastavano più. Lo spaziotempo venne così piegato all’esigenza di una nuova specie: l’automobilista di corsa. Si cominciò a correre ovunque e comunque, per svolgere qualsiasi attività, dall’aperitivo al trapianto di sugo nella parmigiana, dal lancio del figlio in classe alla caccia al parcheggio (termine che sostituì l’ormai desueto “tesoro”). Le strade diventarono corsie di sosta e accelerazione per scatole metalliche, sempre più pericolose per i bipedi umani rimasti fedeli alle suole. Rumore, aria tossica, asfalto ovunque, bimbi reclusi, palloni in soffitta, morti, feriti, contusi, terrorizzati e scoglionati erano il prezzo da pagare per poter restare fermi in un mondo che correva a singhiozzi, rigorosamente fuori dagli orari di punta. Hic!
Spaventoso, vero? Uno scenario così cruento e demenziale da risultare ai limiti dell’immaginabile. Invece è frutto della fantasia umana, d’altronde è una fiaba.
Un giorno lo sciamano di questo villaggio disse: “Fermi tutti! Quello che ci serve per risolvere i nostri problemi è la pietra filosofale numero 30. Gioite gente, scaglieremo l’alchemico sasso contro le sciagure che ci affliggono e il bene trionferà sulle nostre strade. Basterà agitare il “30” su carte e cartelli per disinnescare i perigli delle scatole metalliche.” Nella folla si formarono due fazioni. Quella più numerosa si divideva tra chi aveva già il fucile in mano, chi se ne fotteva e chi era andato via prima per evitare la coda. Quella minoritaria accolse la dichiarazione del mistico con gioia e giubilo: “Urrà per il sasso 30! Viva lo sciamano! Viva la foca! Viva la pietra filosofale numero 30!”
Siccome non tutti i sassi riescono col buco, persino tra lo sparuto gruppo di entusiasti si alzò in piedi il solito menagramo e pronunciò la seguente frase con un po’ di preoccupazione: “Magnifico sciamano, ovviamente lei sa come si usa questa Pietra 30, vero? Cioè, si fa presto a dire ‘pietra 30’, ma poi bisogna attivarla, implementare, progettare, modificare, costr…” I fischi, le risa e gli sberleffi che seguirono all’indirizzo del rompipalle bastarono a zittirlo e a riempire di schiamazzi tutte le diciannove stagioni della Corrida di Corrado. “Già ci abbiamo quelli di là che son duri, se ci mettiamo anche noi a remare contro…”, “Non ci perdiamo in questi particolari, suvvia!”, “L’importante è il segnale che si dà”, “Ma come pensiamo di convincere tutti se non siamo compatti noi? Dai!” e via dicendo ovvietà.
Nessuno rispose alla sua domanda, nessuno se la ricordò neanche. I “come” sono lunghi, faticosi, noiosi. Suonano male se urlati da un palco, non ci stanno nello spazio di un titolo. Dei “cosa” ci si innamora docilmente e senza farsi troppe domande. Nessuno, o quasi, nel villaggio sembrava curarsi del fatto che i “cosa” annunciano le rivoluzioni e indicano la via, ma sono i “come” a combatterle. A vincerle e a perderle.
Eh ma quelli erano tempi lontani e neanche così reali. Oggi è tutto un altro come.
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