Italia e Slovenia in bicicletta
L’origine del viaggio
Una foto di Massimo vista sul telefonino mentre accompagniamo gli amici del Pedale Veneziano, in partenza per Dubrovnik, ispira questo viaggio.
12/13 settembre 2013
Primo giorno
Gorizia: usciti dalla stazione, per prima cosa la colazione, dal momento che sono le otto e quattro ore fa mi son svegliato. Con me Rocco e Massimo, in tre per una due giorni tra Slovenia e Italia, naturalmente in bici, altrimenti queste righe non ci sarebbero. Il viaggio in bici, grande o piccolo, merita di essere raccontato, ricordato, rivissuto, è un impresa, una conquista di sensazioni nuove ed irripetibili, un susseguirsi di immagini e di incontri.
Immediatamente l’incontro con la pattuglia dei carabinieri a piedi ci blocca e ci impedisce di imboccare un senso vietato, indirizzandoci nella giusta direzione, tra una battuta e un’altra. Piazza della Transalpina di forma circolare divisa al centro dal confine Italo Sloveno, indicato da una linea di mattonelle di pietra . La barriera fisica è stata eliminata nel 2007 consentendo la libera circolazione ai pedoni trai due stati. Il piazzale prende il nome dall’omonima stazione della linea ferroviaria inaugurata nel 1906 dall’Arciduca Francesco Ferdinando, che collega Trieste con Jesenica per proseguire nell’Europa centrale. In questo contesto storico non possono mancare le foto.
Oplà! Varco il confine, non sento nulla, ma sono in terra straniera. Cosa vedo? A sinistra un fettuccia di terra alberata tappezzata d’erba, un piccolo parco. A destra la linea ferroviaria, lo scalo merci e a seguire numerosi insediamenti commerciali di ampia superficie. Davanti, in direzione nord, oltre ai miei compagni impegnati ad erogare potenza per avanzare, un lungo rettilineo e in fondo i monti. Una montagna rocciosa a panettone, pezzata da macchie di verde, un chiaro scuro particolare, che rimanda la mia mente alla prima ed unica volta che sono stato a Nova Gorica.
A distanza di parecchi anni questo magico paesaggio collinare – che vedo di sfuggita, dopo una giornata trascorsa tra le mura di una sala da gioco, con luci soffuse e piena di fumo, quando fuori splende il sole e la natura profuma l’aria – oggi finalmente è mio, mia è la bellezza della natura, del paesaggio, fantastico!! Come suol dire Massimo.
Svolta a destra e siamo sulla strada maestra a risalire il fiume. Una via di grande comunicazione, moderatamente trafficata anche dal trasporto pesante che noto rispettoso nei confronti del nostro ingombro. Gli autotreni si allargano molto nel sorpasso permettendoci di procedere in sicurezza. Le dolci ondulazioni del territorio non rallentano l’andatura, le tranquille salite mi fanno sentire un potente scalatore.
La lunga gamba del paziente variatore precede il piccolo plotone. Contrariamente all’abitudine mi trovo in ultima posizione, senza il benché minimo stimolo di passare in testa. Lunga gamba perché il caro Massimo avrebbe un passo più lungo e veloce del nostro, soprattutto nelle salite. Paziente perché ci aspetta senza farlo pesare, senza procurare ansie, nella tranquillità assoluta che nulla toglie al piacere dello svago. Variatore perché dedito alle varianti, cosa che rende ancor più avventurosa l’impresa e che si armonizza con la mia sete di scoperta. Proseguiamo lungo l’Isonzo seguendone il serpeggiare nella valle. Intorbidito dalla pioggia del giorno precedente mantiene, seppur fangoso, la tonalità azzurrognola verdastra che lo caratterizza.
Il cielo è parzialmente coperto, ma qualche spiraglio di sole ci rende fiduciosi per le prossime ore. Di tanto in tanto la vegetazione a bordo strada apre un varco alla vista che osserva la corsa sfrenata, carica di energia, dell’acqua e la strada ferrata sulla riva opposta. Con i suoi binari conduce in un viaggio solitario, a volte penetrando nella buia montagna per riuscire nuovamente alla luce, seguendo la via più diretta, più breve, scatenando la mia curiosità sulla piccola via in terra battuta a livello inferiore. Mi attira, invita il pensiero ad immaginare che segua lo stesso nostro percorso, ma il fiume ci divide e così continuiamo sulla grande via, ammirati e compiaciuti.
Anche una strada a volte ha il suo fascino: in fondo al rettilineo una curva obbligata dalla roccia con la folta vegetazione che la mimetizza e la colora. Linea naturale decisa dal fiume che scorre immediatamente al di la del parapetto ad un livello inferiore di neanche due metri. All’orizzonte i modesti rilievi impediscono alla vista di spaziare nella valle, ma offrono un paesaggio suggestivo! Sì, mi regalano emozioni.
A Kanal (Canale D’Isonzo), piccolo comune diviso dal fiume, sostiamo per visitare l’ufficio turistico, ma soprattutto per il ponte, dotato di trampolino sulla spalletta, dal quale si tuffano. Un volo di un quindicina di metri, motivo di attrazione in stagione estiva. La posizione di detto ponte inoltre ispira pittori, fotografi e noi, che non esitiamo, attratti dal fascino, a immortalare il nostro passaggio. Fragore d’acqua a destra, come resistere. Si imbocca la stradina che conduce alla piccola diga che genera la bella e possente cascata. Ci avviciniamo parecchio, fino al cancello, rubando immagini fisse e in movimento, ascoltando il rumore, il suono, il canto, un canto, un coro a gran voce. Attimi di abbandono a chissà quali pensieri, fantastico!
Un lungo rettilineo in valle, un albergo tinto delicatamente di azzurro, una vecchia fontana nel piccolo abitato, un rifornimento e uno snack, prima di affrontare le curve che salgono a Tolmin. Caratteristico l’interno della chiesa con due navate laterali sopraelevate e agibili che permettono di dominare la platea. Massimo ci guida lungo una strada secondaria, parallela alla principale e leggermente in quota. Che posso dire? Non ci son parole che riescano a descrivere esaurientemente lo spettacolo.
La valle si apre: un paesaggio classico, ma sempre piacevole, tre asini, che non siamo noi, una piccola mandria di mucche al pascolo. Una prateria rigogliosa, lussureggiante, splendente al sole, contornata dai monti, belli! Bello è l’azzurro del cielo in netto contrasto con il verde. Belli siamo noi ad ingraziarci del paesaggio, che attraversiamo sul nastro asfaltato protagonisti sul palco di questo teatro, e ancora la fontana con il boccale in ceramica per dissetare il viandante e la bianca chiesetta in mezzo al prato. Per non parlare dei piccoli borghi, una manciata di case per trasmettere la pace e la serenità del focolare domestico e di questi luoghi, reduci da una sanguinosa guerra.
Ricompare il fiume in un letto tra le rocce. Siamo alla periferia di Kobarit, sul ponte, ad ammirare l’ennesimo scorcio incantevole. Ci affidiamo ancora alla nostra guida, e non solo noi, ma anche due triestini. Imbocchiamo la via del campeggio Lazar dove ricoveriamo le bici per proseguire a piedi in direzione della cascata Kozjak. La passeggiata inizia su di un sentiero che scende al ponte di corde, attraversato il quale ci si inoltra nel bosco. Un altro ponte in pietra sovrasta un cascata, sorprendente è il mutare continuo dell’ambiente. Finisce il bosco e ci addentriamo in una gola camminando quasi sull’acqua, anziché pedalando. Un camminamento in legno, a sbalzo, ad un livello superiore, ci permette di raggiungere il catino racchiuso dalle rocce dove dall’alto, da una voragine, precipita la massa d’acqua e penetra la luce, fantastico! E’ il caso di dirlo.
Ritorniamo al campeggio, occupiamo un tavolo del ristorante, si pranza! Al sole, che tutt’ora splende su di noi, all’aperto ci gustiamo le prelibatezze locali ( agnello cotto in un forno di pietra con il coppo). Tranquilli e beati ci godiamo anche questo piacere, chiedendoci quali altre sorprese ci attendono. In centro a Caporetto abbiamo modo di vedere il museo della grande guerra, costruito negli anni 90 a ricordo della sanguinosa battaglia, disfatta, dell’esercito italiano, costretto a ritirarsi fino al Piave. Terminato l’abitato imbocchiamo un meraviglioso viale alberato, una galleria naturale talmente affascinante da trascurare la direzione.
Tanto è bello il viale, tanto e bella la piana che ci abbandoniamo incuranti del percorso programmato, ma nemmeno ci preoccupiamo di verificare, di chiederci se sia di qua che dobbiamo andare, come se una volontà superiore ci guidasse. Quando, dopo poco, incontriamo il confine di stato, mi rendo conto di non aver seguito il programma, ma anche che la volontà superiore ci ha salvato da un nubifragio. Dietro di noi, là, sul passo di Tanamea il cielo e nero, nero, nubi minacciose tra tuoni e fulmini scaricano l’ira di Dio. Son contento, son contento perché per tutto il giorno le nuvole hanno girato intorno. Chissà come mai la nostra direzione sceglie sempre il sole e quando stiamo per incontrare il maltempo involontariamente deviamo. Dalla valle dell’Isonzo alla valle del Natisone, sempre azzurre le acque!
La tappa cambia destinazione: Tricesimo anziché Tarcento, “me ne frego!” come dice qualcuno del gruppo. Mi compiaccio molto di questo stato d’animo, della serenità, della positività che regna tra noi. Massimo fa da padrone su queste strade, ed ogni variante è piacevole. Conosce la zona e si diverte ad inoltrarsi nei piccoli borghi, abbandonando la strada principale e regalandomi emozioni nuove. Mai mi sono lasciato condurre senza preoccupazione, rilassamento e apprezzamento totale. Strade deserte, ma un amico ciclista non manca e così si fanno due chiacchiere e il rituale scambio di informazioni.
A Cividale visita al ponte del diavolo e caffettino seduti al tavolino, mentre una o due gocce danno il benvenuto sulla dirittura di arrivo. Ancora qualche caratteristico paesetto con annessa chiesa e fontana, e il divertente incontro con Ombre Rosse in sella alla sua Bianchi sportiva che, tra una frasca e un’altra, ci guida, con buona andatura, a Tricesimo lamentando il bisogno di un Cabernet. Ora cerchiamo l’albergo la prima informatrice ci indica l’unico del paese. Insistiamo a chiedere, ma indigeni non ce n’è, finché, mentre Massimo sta contattando la reception, io girando per la piazza vedo una bella signora:
“Buona sera, mi scusi è del posto?”
“Si, mi dica”
“Sa se c’è un albergo… oltre a” fortunatamente non ho concluso la frase.
“Si! Il mio quello là, venga”
“Che fortuna!” Anche perché la sorella ha già detto di no, mentre lei è al corrente di una camera che si è liberata.
Rocco dopo la doccia si mette a letto in attesa della cena che diserta per una piccola indisposizione, si accontenta di un tè caldo e buonanotte.
Per noi regolare cena e passeggiatina digestiva. Con piacere chiudo gli occhi nel mio lettino, ripasso la giornata, mi proietto a domani e mi addormento.
Secondo giorno
Mi sveglio al canto del gallo, al tocco delle sei, mi piace molto la campana che scandisce le ore, è un salto nel passato che in questo luogo è ancora presente, come presente in me è il solito sentimento nostalgico dei ricordi. In simili situazioni emerge prepotentemente emozionandomi, scaraventandomi in una dimensione irreale di un mondo fantastico. Cerco di non far rumore per non disturbare i compagni, ma inevitabilmente al buio cozzo di qua urto di là e poi: il rumore dei sacchetti di nylon, le cerniere delle borse, le scarpe che cadono, il balcone che cigola, insomma un baccano infernale. Riesco ad uscire con tutte le mie cose prima che si sveglino, spero.
Il paese è semi deserto giro della piazza, telefonata, valutazione delle condizioni meteorologiche: prevalentemente coperto, con tendenza al miglioramento, sono convinto. Al rientro trovo massimo che si sta gustando il caffè in attesa della colazione. Troppo mattinieri, la signora è attardata con i preparativi inoltre gli avventori abituali del bar la distraggono, non le permettono di dedicarsi a noi. L’impianto stereo riproduce un CD di Little Tony diffondendo la musica nella sala da pranzo, un buongiorno che apprezzo.
Il rituale dei bagagli è concluso, ultima aggiustatina e partiamo. Il percorso collinare sale e scende, le discese permettono di lasciarsi andare, grazie alle ampie curve che offrono buona visibilità, inoltre la successiva salita provoca il rallentamento, quindi i freni non servono e si acquista tutta la velocità possibile, in sicurezza. Il panorama è bellissimo: un portale si apre lungo l’antico muro ed offre la scena di un attimo, un colpo d’occhio sulla prateria che si estende lievemente ondulata ai piedi dei grandi monti, mentre il cielo si tinge di blu contrastato dal bianco delle ultime nuvole rimaste. E’ un’emozione fulminea che ristagna a lungo nella mente trasformandosi in un qualcosa che invade e provoca un sottile piacere, una bellissima giornata ci attende.
Il primo riferimento è Colloredo di Monte Albano, tra una curva e un’altra nel continuo saliscendi incrociamo la ciclovia ““Udine – Buia” chiamata anche ippovia, scoperta interessante da tenere in considerazione per altre uscite. Il benvenuto lo riceviamo dal cimitero posto a margine del paese, come a margine dal lato opposto ci saluta la chiesa. Collocazione strategica che invita la mente alla meditazione, alla ricerca. Tra questi due luoghi il castello dove ha vissuto Ippolito Nievo. Il panorama mi incanta; il profilo delle Alpi si staglia nel cielo, i giochi di luce risaltano le rocce e le zone verdi. Devo guardare avanti, fare attenzione alla strada, ma come faccio a transitare indifferente a simile bellezza? Non riesco, il creatore mi ha donato la vista ed ha pensato bene di creare anche qualcosa da ammirare, per poter essere ancora più felice di questo dono. Mi soffermo e rifletto su ciò: è una gioia, un riempire il cuore.
Via, via! Sono fuori da tutti i problemi, le ansie, i tormenti, i disturbi quotidiani, un evasione totale, un benessere totale. Controllo i compagni che mi precedono, immagino che anche per loro sia piacevole andare. Si! Si! Ne sono certo, percepisco l’armonia, le vibrazioni positive che ci accompagnano. 4San Daniele: giro del campanile e rifornimento alimentare. Rocco per riprendersi dall’indisposizione desidera la Coca Cola, e sia, basta che pedali.
Massimo invece si approvvigiona della frutta secca morbida. Io aspetto e mi guardo le belle signore impegnate nel sistemare gli acquisti in auto e riporre il carrello, con difficoltà causa un gradino.
“Pronti qua! Signora l’aiuto io!”
“Oh grazie che gentile”
“Si figuri è un piacere!”
Un buongiorno e un grazie conclude l’incontro, non c’è storia! Alcune centinaia di metri sulla strada maestra, fino alla rotatoria dove ci attende la nostra strada, la piccola strada che adoriamo. Solitari ce ne andiamo, fuori dal frastuono, immersi nel silenzio, tra piccole case con ampi spazi ordinati e coltivati e oltre? Oltre c’è una curva, un’altra ancora e un rettilineo. Sopra una modesta altura la bianca chiesa guarda la strada, contornata dall’azzurro cielo macchiato di bianco, bello, bellissimo, mi fermo e blocco l’immagine, voglio portarmela a casa. Siamo a Ragona, sul muro di una casa un affresco e all’incrocio vari cartelli turistici tra i quali “Chiesa Monte Ragona”.
“Andiamo?”
“Si! Andiamo”
Ben presto ci rendiamo conto che l’ascesa richiede un impegno notevole e visto che con noi ci sono dei brocchi, decidiamo di abbandonare. Scendiamo tortuosamente, divertiti, al ponte sul Tagliamento a Pinzano. Da una galleria nei pressi dell’imboccatura del ponte provengono strani rumori, trascurati da me e Rocco. Quest’ultimo ipotizza l’origine del frastuono in una lampada a gas per scaldare il catrame. Mentre scattiamo alcune foto a metà ponte notiamo Massimo fermo alla galleria. Cosa starà facendo? Aspetta il treno che sferraglia paurosamente, ma non arriva, eppure sembra sia li li per uscire. All’interno c’è un impianto sonoro che riproduce il rumore della vaporiera, probabilmente stanno preparando uno spettacolo, di più non riusciamo a sapere.
Oltre il ponte visita ad alcune postazioni della seconda guerra. Attraversiamo Pinzano, Sequals lo lasciamo a destra, seguendo il lungo rettilineo che conclude in centro a Maniago. Giro d’onore della piazza, sbirciatina al negozio di coltelli, per proseguire in direzione ovest. All’ingresso di Montereale Valcellina, sotto il ponte, distesa su un sasso, una ragazza in bikini prende il sole. Me la fa notare Massimo, aggiungendo che la bella è li tutti i giorni anche d’inverno. Ah! Queste friulane che temperamento. Lo spazio esterno della trattoria, dove sostiamo per il pranzo, è in parte occupato dal maiale tutto nudo intento ad abbronzarsi sullo spiedo, trafitto da innumerevoli stuzzicadenti giganti gira lentamente assorbendo calore dalla brace. Guardato a vista dai vari “tecnici” che, nel tempo del nostro pranzo, si scolano un barile di birra.
“Siamo arrivati troppo presto?”, Chiedo.
“Si! È pronto questa sera”.
Il parroco, i carabinieri, il sindaco e altre autorità, a turno fanno visita al cantiere, per non parlare dei passanti incuriositi dall’evento. Eh! Si, questa sera grande festa in paese, ci sono anche le transenne accatastate, pronte per trincerare il luogo. Il taglia boschi di tanto in tanto accende la motosega e via, legna sul fuoco. Nel tempo della sosta l’abbronzatura ha preso consistenza, da far invidia alla bella del ponte. Le gambe riprendono a girare con energia, è un piacere, ce la godiamo – un mucio – ci diamo dentro, Massimo naturalmente ci precede nelle salite, ma non diamo cenni di cedimento. Sosta in centro a Polcenigo a prendere acqua alla fontana. “Acqua non potabile” dice il cartello. Nella piazzetta risuona la voce di una giovane dal capello rosso (tinto) intenta a discutere con due maschietti.
“Si può bere l’acqua?”, chiedo alla donna 5
“Noi la beviamo sempre”
“Massimo, Rocco potete prenderla… guardate che bella la signora bevendo quest’acqua”
“Ho ottant’anni! Non mi crede?”
“Si ci credo… che bei capelli!”
“Piano adesso, non cominciamo coi capelli” Esordisce uno dei due con tono di gelosia.
Al ché Massimo gli chiede se è il vice sindaco.
“No! Il vice sindaco sono io” dice la rossa.
A questo punto voglio una foto con la simpatica comare. Seguono altre battute e ci congediamo in allegria. Transitiamo per le fonti del Livenza, acque di una trasparenza incredibile nonostante la profondità. Qualcuno ipotizza di rientrare a casa in bici, complice l’entusiasmo, l’idea prende consistenza. Io confidavo nella convalescenza di Rocco, per prendere il treno a Conegliano. Niente da fare è proprio lui il più deciso… si pedala fino a casa. Non prendiamo il treno, ma almeno un gelato fatemelo mangiare! Uhmm che buono, ci voleva. Mentre non ci voleva il traffico che per più di duecento chilometri avevamo dimenticato. Abbandonata la pedemontana siamo piombati nella statale Pontebbana, dal paradiso all’inferno, anche se devo ammettere che il vortice delle auto e la leggera pendenza ci aiutano a mantenere, quasi costantemente, i trenta chilometri orari, tant’è che in poco più di due ore siamo a casa, dopo aver salutato Rocco a Quinto di Treviso. Massimo paventa l’idea di accompagnarlo, sinceramente non me la sento, vista anche l’ora. Per rientrare da questo punto le direzioni sono opposte: Ovest per lui, Est per noi.
Seguo il compagno rimasto che si diverte a condurmi per strade e stradine minori, esplorate e scoperte nelle uscite solitarie. Gira di qua, gira di là, prendi il sottopasso ciclabile, attento a quest’incrocio e mi accompagna sotto casa. Grazie Massimo, grazie Rocco, per tutto il bello e il bene che ho vissuto in questi due giorni. Particolarmente con Massimo ho vissuto una sensazione nuova: cieca fiducia in chi mi guida, solitamente mi preoccupo, voglio sapere, vedere. Con lui mi sono adagiato e goduto spensieratamente tutto il percorso senza la benché minima preoccupazione e peso di responsabilità.
Si viaggia per due giorni, si transita per vari luoghi, campagne, paesi, città, fiumi, monti e quant’altro. Sono sempre le stesse cose: descrizioni dei panorami, albe, tramonti, sole, ombre. La fatica i cedimenti i contrattempi e tutto quel che il viaggio riserva. Mi accorgo che per quanto monotono e simile possa essere il racconto c’è sempre un qualcosa di nuovo, un piccolo particolare che tocca in profondità… una scoperta che mai si immagina di fare. Ho l’ambizione e la speranza di interessare, regalare attimi di buon umore e voglia di fare.
Nella vita come nel viaggio voglio scoprire cosa c’è dietro la curva, l’imprevedibile, è la forza che spinge e la consapevolezza di maturare. Vivo L’avventura giorno dopo giorno.
Dati tecnici
Percorso: km 290, media 20,7 km/h.
Due tappe rispettivamente di 120 e 170 per Romeo e Massimo, 142 e 164 per Rocco (306 totali).
Pernottamento: Hotel Al Bottegon via A. Diaz, 1. 33019 Tricesimo (UD) 0432-851252.
Partecipanti: Massimo Brocco, Rocco Scarnici, Romeo Boscolo.
….bravi….conosco i posti …Monte Santo..valle del torre ..val Venzonassa ecc ecc, forse valeva la pena di rimanere di più in quei luoghi,e tornare in treno …il Friuli,la Carnia,le Alpi Giulie …terreno stupendo x tutti gusti..te lo dice un’esperto conoscitore della zona…bravi! Saluti Vittorio.