Sono ormai 15 anni che lavoro sul tema della ciclabilità e della mobilità urbana. Grazie ai professionisti che ho affiancato in questi anni e ai viaggi e convegni effettuati nei vari paesi europei, ho imparato che ogni proposta di modifica, ogni decisione riguardante la pianificazione della mobilità urbana deve essere sperimentata, studiata sul campo, valutata nel tempo, verificata attraverso i dati. Come capire altrimenti se la proposta ha senso oppure no?
Per quanto riguarda il tema del “controsenso ciclabile”, un chiaro esempio è quello di Bruxelles già citato dall’on.Gandolfi (qui è possibile leggere l’intero documento): uno studio durato 3 anni che ha valutato la sperimentazione attraverso i numerosi dati raccolti. Grazie a queste scelte, la ciclabilità a Bruxelles cresce in maniera importante, come dimostra il grafico seguente presentato in occasione di Velo-City a Vienna.
Un altro esempio che vale la pena citare è quello tedesco, che attraverso un documento di studio semplice breve e ben argomentato, dimostra, sempre attraverso i dati e le opportune verifiche, quanto segue:
– il numero di ciclisti contromano è lo stesso con e senza autorizzazione;
– non c’è nessun segnale di aumento dell’incidentalità, anzi;
– la sicurezza si gioca sostanzialmente tutta in corrispondenza delle intersezioni, dove è cruciale il rispetto delle giuste visibilità;
– più la strada è stretta, più è sicura.
Ma gli esempi sono molti, moltissimi: il “senso unico eccetto bici” è possibile ormai ovunque in Europa, tranne che in Grecia e alcuni paesi dell’est. E per ognuno di questi stati è possibile leggere documenti in cui, attraverso le sperimentazioni e la raccolta dei dati, si dimostra la bontà della scelta.
Di seguito alcuni esempi di “contraflow” nei vari paesi d’Europa (nell’ordine: Germania, Svizzera, Ungheria, Danimarca, Olanda, Francia, Spagna e Austria).
Ed anche negli Stati Uniti, la Federal Highway Administration (FHWA), cioè la massima autorità mondiale in tema di strade, ha accettato il dispositivo.
Ma anche in Italia le esperienze non mancano: a Reggio Emilia, città per la quale ho realizzato il Biciplan e con cui collaboro dal 2008, il dispositivo è in funzione dal 2007 in tutto il centro storico,dove il limite di velocità è di 30Km/h. Si è trattato di un approccio completamente diverso da parte dell’amministrazione: l’obiettivo è stato salvaguardare i comportamenti “normali” e “naturali” dei ciclisti anziché vietarli costringendoli a percorsi più lunghi e “innaturali” nel nome di una presunta maggiore sicurezza. E da allora non si è verificato un solo incidente grave che abbia coinvolto un ciclista.
Eppure, nonostante tutte queste esperienze dimostrino la bontà della soluzione, in Italia i tecnici del Ministero continuano a vietarla in base a semplici opinioni, senza dati a supporto delle loro tesi. E questo atteggiamento riguarda purtroppo molte delle soluzioni adottate in Europa per aumentare la sicurezza ed incentivare l’uso della bicicletta in ambito urbano: la casa avanzata per biciclette, le corsie ciclabili in presenza di sosta, le corsie bus aperte alle biciclette, le corsie di preselezione, il controllo elettronico della velocità lungo le strade urbane, il cuscino berlinese, etc…
A tal proposito, voglio raccontare brevemente un paio di episodi che possono far comprendere bene quale sia la situazione italiana.
Il primo riguarda la richiesta di apertura delle corsie riservate al trasporto pubblico alle biciclette, soluzione anch’essa adottata ormai ovunque in Europa: in occasione di un incontro a Roma in cui fui invitato dall’Agenzia della Mobilità, i rappresentanti del Ministero si dissero contrari non perché in possesso di dati che dimostrassero la pericolosità della soluzione, ma bensì a causa di un fantomatico pericolo dovuto allo spostamento d’aria (… evito in questo caso qualsiasi commento!).
Il secondo riguarda la richiesta di svolta a destra continua per il ciclista anche in presenza del rosso semaforico: tale soluzione, adottata recentemente in Francia con buoni risultati, è stata apprezzata dall’amministrazione di Bruxelles che, pur col parere contrario dei propri tecnici, ne ha preteso la sperimentazione e la verifica prima di decidere se adottarla o vietarla all’interno del proprio CdS.
Infine, un grafico riguardante la riduzione dell’incidentalità in ambito urbano nei diversi stati europei tra il 2011 e il 2012: quelli che hanno adottato le soluzioni che i nostri rappresentanti dicono essere troppo pericolose sono quelli che stanno ottenendo i risultati migliori.
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In conclusione, come tecnico mi sento in dovere di schierarmi apertamente e appoggiare la richiesta dell’on. Gandolfi: “chi ha dato il parere tecnico per il Governo deve dare delle motivazioni, oppure dimettersi dall’incarico”.
Ah… ho imparato un’altra cosa importante nei miei viaggi studio in Europa: che tali importanti modifiche vengono proposte e valutate da tecnici che usano REGOLARMENTE la bicicletta, altrimenti come si possono comprendere appieno i problemi che riguardano la ciclabilità?
Ecco dove è ammesso il senso unico eccetto bici
(Le immagini si ingrandiscono con un clic)
Oggi articoli su la Repubblica e Corriere che riportano il no di Lupi al senso unico eccetto bici: http://www.repubblica.it/cronaca/2014/09/05/news/biciclette_contromano-95081854/ e http://www.corriere.it/cronache/14_settembre_06/no-bici-contromano-preferenziali-frenata-governo-80faf47c-3584-11e4-bdcf-fc2cde10119c.shtml
Pur apprezzando e condividendo il contenuto dell’articolo eviterei termini come “contromano” e “controsenso”. Come sai si tratta di “senso unico eccetto bici” che è tutt’altra cosa. Il rischio è di generare confusione nel lettore e cosa ancora più grave nei “giornalisti” che riprendono l’articolo. Questo http://www.lastampa.it/2014/08/11/italia/in-bici-contromano-siete-favorevoli-RIn3U4g6OY2akOXIEWo8zI/pagina.html è soltanto un esempio. Reputo l’utilizzo di una terminologia ragionata e condivisa fondamentale in virtù di una maggiore chiarezza nella comunicazione; in caso contrario faremo fatica ad andare d’accordo anche tra utilizzatori della bicicletta.