Quelle ciclabili ai margini della vita

Progettate male, costruite peggio: talvolta sui marciapiedi, spesso sul ciglio destro della carreggiata, quasi sempre per dare il meno fastidio possibile alla viabilità principale concepita a uso e consumo dei mezzi a motore con buona pace della mobilità nuova. Le ciclabili possono essere piste separate in sede propria o corsie su strada ma in molte città rappresentano soltanto goffi tentativi di imitare le smartcity davvero smart, che nel resto del mondo hanno fatto del ciclismo urbano una bandiera e considerano la bici come un mezzo di locomozione da promuovere per migliorare la qualità della vita nei centri abitati e ridurre il traffico.

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In Italia, salvo alcune lodevoli eccezioni, in molte città gli spostamenti quotidiani in bicicletta vengono sistematicamente boicottati da un insieme di fattori che chi pedala ogni giorno ha ben presenti: le condizioni del fondo stradale, con asfalto irregolare e buche rattoppate alla meno peggio che “saltano” e si riempiono d’acqua quando piove un po’ più del solito; la segnaletica orizzontale spesso sbiadita e quella verticale con limiti e divieti altrettanto spesso non rispettati da chi guida un’auto e pensa di stare su una monoposto di Formula 1 (e, in questo, qualche colpa è ascrivibile anche ai martellanti spot-a-motore presenti in ogni dove).

Ma ciò che penalizza ancor di più chi sceglie di pedalare per spostarsi in città è lo stato delle infrastrutture che dovrebbero – e qui il condizionale è d’obbligo – rappresentare un valore aggiunto di sicurezza e invece spesso si trasformano in trappole mortali. Uno degli ultimi episodi è accaduto a Roma, pochi giorni fa, a un incrocio di via Cristoforo Colombo: un uomo in bicicletta è stato investito e ucciso da un autobus in corrispondenza dell’intersezione con la ciclabile, se così può essere definita l’infrastruttura in questione.

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La supposta ciclabile di via Cristoforo Colombo a Roma rappresenta la quintessenza di come non andrebbero concepite e realizzate le infrastrutture per ciclisti urbani perché – nei suoi pochi chilometri di lunghezza – contiene praticamente tutte le criticità che trasformano una struttura bike friendly in un ricettacolo di situazioni potenzialmente pericolose per chi pedala: una ciclabile invisibile ai margini della carreggiata che mette sistematicamente a repentaglio la vita di chi la percorre.

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Una ciclabile degna di tale nome non dovrebbe interrompersi nei punti critici, costringendo chi pedala a scendere per portare la bici a mano quando si oltrepassa un cavalcavia; né tantomeno spezzarsi in più punti non collegati tra loro e saltare da un lato all’altro della carreggiata – sempre sul margine della strada o sottraendo spazio ai pedoni sui marciapiedi, per carità – risultando come uno “spezzatino ciclabile” piuttosto indigesto per i pedalatori quotidiani. Per non parlare dei semafori e degli attraversamenti: “Casa avanzata per ciclisti, questa sconosciuta” è il titolo che meglio s’attaglia a questo caso emblematico di malaciclabile.

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Non si possono relegare i ciclisti in una struttura così mal realizzata e avulsa dalla viabilità principale: in una riserva-a-pedali per evitare di far entrare in contatto le bici con il flusso dei mezzi a motore, salvo poi abbandonarle a se stesse quando escono dal recinto. La realtà è che ci sono troppe, troppe, troppe auto – e non mi stancherò mai di ripeterlo – a Roma come nelle principali città d’Italia – e non ci potrà essere alcun serio miglioramento alla viabilità né alcuna efficace politica di sicurezza stradale se il loro numero non diminuirà drasticamente.

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Intanto la comunità di ciclisti urbani romani è costretta a piangere un altro morto, immolato sull’altare dell’incidentalità stradale che continua a mietere vittime. Si chiamava Gianfilippo Milani, aveva 53 anni e oggi una ghost bike lo ricorda nei pressi di via Cristoforo Colombo: un’autostrada urbana che congiunge Roma con Ostia, una lingua di asfalto che periodicamente si tinge di rosso. Come il fondo della sua ciclabile malmessa, come il sangue di chi è stato investito una mattina d’estate mentre era in sella ma nei nostri ricordi continua a pedalare.

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Commenti

  1. Avatar Domenico ha detto:

    Devo concordare con voi..ho percorso per 300 km la via Emilia e posso dire che le piste ciclabili sono state progettate per dare il meno fastidio alle auto..e invece dovrebbe essere il contrario. Io nella maggiorparte dei casi mi sentivo più sicuro sulla strada che non su piste dalle quali devi scendere e risalire dando la precedenza alle auto..rotonde nelle quali ti perdi tra segnalazioni e paletti..insomma..ai cari amministratori..se voi e i vostri figli andaste un pochini in bici avreste un attimino di attenzione in più per la viabilità ciclistica..in Svizzera invece ho trovato un altro mondo..chissà perchè non impariamo a copiare le cose buone dagli altri!!

    1. Avatar Marshall ha detto:

      Guardi. Sono un progettista e le garantisco che faccio esattamente quello che dice. Vado in giro per il mondo a cercare i buoni esempi e poi li propongo da noi.
      Tuttavia spesso accade che gli Italiani hanno tra loro idee spesso assai diverse e talvolta davvero curiose su quali siano i “buoni” esempi.

  2. Avatar guido ha detto:

    e’ da vedere anche la pista ciclabile che è stata fatta a Napoli.e’ tutto tranne che una ciclabile.Scandalosa, anche nel tunnel di Piedigrotta senza illuminazione.Vergognosa.

    1. Avatar Manuel Massimo ha detto:

      Ciao Guido,

      purtroppo devo darti ragione: la pista ciclabile che è stata fatta a Napoli – al netto del tratto del lungomare liberato dalle auto, che potrebbe comunque essere migliorato di molto – presenta molte criticità per l’incolumità di chi la percorre, nel tunnel di Piedigrotta ma non solo. Grazie per aver commentato, continua a seguirci.

      Manuel Massimo

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