Di nuovo io, Marco, stavolta dalla Bolivia, 800 km dopo Tafi, sulla strada che da Villazon mi porta a Tupiza.
Non so bene da che parte iniziare, ma rileggendo ciò che la prima volta vi ho scritto devo correggermi, senza poche difficoltà nel caos della terminal degli autobus di Tucuman, sono si riuscito a caricare la bici e le 4 borse più tenda che avevo, e una volta a Tafi, ammetto un po’ allo sbando, ho scoperto che era una bugia quella della lunga e bella discesa di riscaldamento. Prima mi sono toccati 25 lunghi e duri chilometri verso la vetta, che come voi sapete sono l’ideale per marmorizzare delle gambe praticamente senza allenamento.
Così pian piano, con le ridotte, braccia e tanto sudore, ho concluso il mio primo giorno di viaggio alle sette e mezza di sera, a 3.043 metri, con mio grosso stupore! Mai stato tanto in alto! Ospitato dai proprietari che coi lama e l’artigianato ne hanno fatto un luogo turistico, ho subito testato la tenda, la cucina e il sacco a pelo (quest’ultimo completamente inadatto, ecco perché a Salta ho dovuto fargli cucire 2 coperte aggiuntive!).
La mattina dopo finalmente la discesa, sotto le nuvole ho ritrovato un paesaggio, nella mia testa, quasi messicano, tra cactus e montagne cespugliose. Qui dopo neanche 15 km ho anche testato la mia nuova pompa per gonfiare, causa la prima foratura. E vabbeh, alla fine è un bel posto per riparare la camera d’aria. Dopo Amaicha del valle, è la ruota anteriore stavolta ad essere a terra, non mi rimanere che prenderla sul ridere, e il tempo di rimettere tutte le borse in bici, che inizia a piovere, all’inizio semplicemente tanto, ma sono abbastanza impermeabile per proseguire, poi le gocce sì fan talmente grosse da impedirmi di vedere e di continuare.
Mi fermo una mezzora sotto un portico a scherzare con un ragazzino. Quando riparto le strade sono allagate ma a quel punto lo sono anch’io, ci bado poco perché conto di scaldarmi, ma neanche 500 metri dopo e sono ancora fermo. Le montagne alla mia sinistra hanno raccolto la pioggia e, a mo’ di imbuto, hanno trasformando un piccolo e poco significante rio in un torrente in piena, in grado di bloccare la strada in entrambi i sensi.
Regredisco sotto il portico di una famiglia, che mi accoglie con un asciugamano e un caffè caldo. Li mi fermerò per un’ora, fin quando inizio a vedere le prime macchine passare. Realizzo cosa significa periodo delle piogge. Supero numerosi altri di questi fiumi scendendo piu volte dalla bici, fino ad arrivare a Cafayate, nella provincia di Salta, tra montagne alla mia sinistra e campi di vite alla mia destra, 116 km più in là che, per come si era messa la giornata, supera ogni mia più ottimistica aspettativa.
Crampi e freddo accompagnano anche la mia seconda notte in tenda, stavolta in campeggio.
Da Cafayate prendo la ruta 68 e quando entro in questo canyon ancora non so che starò per fare forse i 90 km più belli che abbia mai fatto. Vento e acqua hanno disegnato e scolpito la roccia in maniera incredibile, che né le mie parole né le mie foto possono descrivere. Curva dopo curva si apre un paesaggio nuovo, incantato, che solo il forte vento contrario e le mie gambe stanche e molli posono rovinare. Quando arrivo ad Alimania, nel frattempo il paesaggio si è trasformato da roccioso a forestale, e io sono completamente esausto. A rimettermi il sorriso è la visione di una bicicletta vestita da viaggio! Chi la guida si chiama José, brasiliano, partito in mezzo alla neve da Ushuaia, ha come obiettivo fra 11 mesi l’Alaska, e non sapete che bello far serata con lui, ad ascoltare, raccontare e a rivivere ricordi! Assieme armiamo le nostre rispettive tende in un campo, gentilmente messo a disposizione dalla cittadinanza.
Impaurito dal vento pomeridiano parto prima di José con la promessa di vederci al prossimo pueblo… purtroppo non ci rincontreremo più, credo per colpa di 2 velocità differenti. Peccato, era proprio un bel tipo.
Sempre immerso nel verde raggiungo in leggera discesa Salta, “la linda”, fra caos turistico e mondano. L’impatto alla ricerca di un ostello è negativo, ma il giorno seguente, di riposo, la rivaluto e la consiglio.
A uscire dalla città mi aiuta Franco, un arzillo settantacinquenne che con la sua bici da corsa mi fa strada tra le ciclabili verso San Salvador de Juluy. Anche qui ci metto poco ad addentrarmi nella selva, il giorno di riposo mi ha fatto bene, le gambe girano più agili, e la testa è piu rilassata. Entro nella provincia di Jujuy, e dopo qualche innocuo chilometro di salita, corro in discesa tra una curva e l altra a quasi 30 km all’ora, dando prova delle mie abilità di motociclista. La strada è anche questa stupenda e quasi non vorrei finisse mai. Mi godo la discesa fino all’ultimo, fino a trovare un campo perfetto per far bollire una zuppa pronta e respirare tutta questa naturalezza. Sono felice, bellissima giornata, e l’arrivo in citta tra auto e smog non mi tange. La cena la faccio in piazza in mezzo ai lavoratori, che per una manifestazione l’hanno interamente bloccata.
Con San Salvador raggiungo sotto i mille metri, il termine del mio riscaldamento. D’ora in poi si sale, fino al confine con la Bolivia a quota 3.500.
Pian piano che inizio con l’ascesa, gli alberi si fan sempre più sparsi e sporadici, poi piccoli arbusti e con la salita più dura, fino a Volcan, i cespugli son gli unici a resistere. Sono a 2.500 metri e la montagna, ormai nuda, si colora dal rosa al blu, con forme del tutto inusuali rispetto alle nostre. Purnamarca, Tilcara e Humahuaca sono il simbolo di questa valle, che con le loro “chicche”, richiamano turisti da tutto il Sud America. Purtroppo, per tutte e tre, non riesco a far altro che fermarmi solo il tempo necessario per ripartire, la mia tabella di marcia consente pochi svaghi, ma l’idea di tornarci e dedicarci più tempo, mi fa ripartire con più serenità.
Sono a quota 2.800 e dal campeggio di Humahuaca riparto con poca grinta verso forse l’ultima salita. Le foglie di coca nell’acqua rendono però il mio mate un validissimo aiuto, e senza tribulare troppo mi ritrovo a Tres Cruces, 60 km più in là, a 3800m nonostante 2 bucature e una zuppa durante la riparazione. Nessuno può dirmi bravo, quindi lo faccio io più volte, e anche se gli ultimi 25 km in leggera discesa sono rovinati dal vento contrario, raggiungo Abra Pampa che sono le 7, con ormai in testa il confine, inaspettatamente cosi semplice e vicino. E infatti gli ultimi 75 km li faccio su questo altipiano a 3.500 di altezza, in cui i lama (o alpaca?) sono l’unica cosa interessante da fotografare. I paesi inesistenti nel mezzo non offrono niente, neanche una gazzosa, ma importa poco perché sono autosufficiente e perché alle quattro e mezza sono alla Quiaca e mezzora dopo, tra coda e burocrazia, sono a Villazon… Bolivia!
Ciao a tutti! A presto!
Marcos
Bravo Marco!!!!!!! :)
Grande Marcos! Bel diario e belle foto, sei attrezzato e preparato in questo lungo viaggio, un vero cicloreporter, vai avanti così!