Ciclismo, quando il doping è tecnologico
Di doping tecnologico, che altera le prestazioni nascondendo un motore all’interno del telaio delle bici da gara, nel ciclismo si parla da tempo. L’argomento è tornato di attualità in questi giorni, dopo la scoperta da parte dell’UCI di una bici “dopata” al Mondiale femminile under 23 di ciclocross con conseguente squalifica immediata dell’atleta, la diciannovenne belga Femke Van Den Driessche, laureatasi campionessa Women Youth il 7 novembre scorso.
In questo video del 2010, l’ex ciclista professionista e allora commentatore tecnico del Giro d’Italia per la Rai Davide Cassani (oggi commissario tecnico della nazionale italiana di ciclismo su strada maschile élite, ndr) mostrava il funzionamento di una bici da corsa con motorino incorporato che sarebbe stata usata a partire fin dal 2004 in competizioni nazionali e internazionali:
Il comando per azionare il motore, in questo video, è di tipo “analogico” e mostra un pulsante nascosto accanto alla leva del freno, ma la tecnologia è in continua evoluzione e oggi sul mercato del “doping tecnologico” è possibile trovare meccanismi digitali senza fili di derivazione modellistica che possono essere azionati da remoto e dialogano con il motore tramite bluetooth. Dispositivi che possono essere collegati al cardiofrequenzimetro per avviarsi automaticamente quando il numero di battiti di chi pedala supera una certa soglia.
Il doping tecnologico rappresenta un comportamento antisportivo che l’UCI sta combattendo inasprendo le pene e intensificando i controlli: oltre ad avere il passaporto biologico in regola, non è escluso che in un futuro prossimo gli atleti dovranno sottoporre la loro bici ai raggi x prima della partenza. E per chi sgarra multe salate e squalifiche esemplari sono dietro l’angolo.