Diari

In bici sulla via del sale, da Piacenza al mare

È l’alba di sabato e io con la mia bicicletta, sull’argine del Po, sto viaggiando verso Piacenza.
Passando dalla casa del signor Sandro, lo saluto e lo informo che sto andando al mare. A quell’ora il suo orto è deserto, ma ormai è una consuetudine salutarlo quando passo da lì e, non farlo, proprio stamattina, mi sembrerebbe scortese, anche se lui non c’è.

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Voglio percorrere in bicicletta la strada che, da bambina, facevo con tutta la famiglia per andare in villeggiatura. Allora ancora non c’era l’autostrada e, per raggiungere Chiavari si percorreva l’antica via del sale.
Attraverserò l’appennino passando dalla val Trebbia e poi da quella dell’Aveto un percorso di circa 200 km. Viaggio spedita in quelle prime ore del mattino, sono di ottimo umore, piena di energia.
Devo arrivare a Bobbio prima delle 14 perché, per quell’ora, sono previsti forti temporali. La salita è dolce e faccio delle deviazioni per farne qualcuna “vera” dove incontro altri ciclisti con cui ci si scambia un saluto, un incoraggiamento, si percorre un pezzo di strada insieme.

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Mi sto divertendo un mondo e pensare che da bambina, in macchina, quelle curve le pativo.
Non mi sento sola anche se lo sono e apprezzo il senso di libertà che mi da poter decidere il ritmo, le pause, le andature da mantenere.
In macchina con i miei genitori e mio fratello, si facevano solo due fermate: Bobbio per pranzare e la fontanella dall’acqua ferruginosa e fresca, per fare una tappa intermedia.
Non so esattamente dove sia questa fontanella ma ricordo perfettamente che mio padre beveva quell’acqua come fosse un balsamo e ne elogiava la bontà e la freschezza.
Nessuno di noi voleva contraddirlo e nemmeno noi bambini lo ammettevamo apertamente ma, quel gusto così amarognolo, non ci piaceva per niente.

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Poco prima di Bobbio c’è una galleria che decido di evitare e mi inoltro, sulla destra, nell’orrido di Barberino, il paesaggio è bello da mozzare il fiato, il Trebbia disegna una specie di esse dal colore dello smeraldo, resto incantata a guardare per qualche minuto, fino a che un forte tuono non mi distoglie da quell’incanto. Raggiungo, dopo una salita breve ma impegnativa, Mezzano Scotti e qui, quando ormai sono al riparo, scoppia un temporale violentissimo.

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Mezzano sembra un paesino delle fiabe, fiori a ogni finestra, piante fiorite sui marciapiedi, e il temporale ne aumenta il fascino.
Alla sera, a cena, il ristoratore mi insegna i nomi delle cime che ci circondano, quella che mi attrae più di tutte è la “Pietra Parcellara” un ammasso di pietra nera, ultimo residuo del fondale del mare che un tempo copriva tutta questa zona.

Mi basta un quarto d’ora per visitare tutto il paese e poi me ne vado a dormire serena, sono in un gran bel posto, tra persone simpatiche e domani mi aspetta un bellissimo viaggio, chissà se troverò la fontanella.
Riparto quando il sole sta sorgendo dalla cima di fronte a me ma, come si chiamava? Purtroppo me lo sono dimenticata,ma poco importa, tanto io qui ci torno di sicuro e, dal ristoratore, me lo faccio ridire, promesso.
Dopo Marsaglia abbandono la Val Trebbia e inizio a percorrere le ripide gole della val d’Aveto. Il paesaggio è talmente bello che devo impormi di smetterla di fare fotografie “al mare di questo passo non ci arrivi più.”

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Pedalo fingendo indifferenza verso tanta bellezza finché mi viene da sorridere e rido divertita. Mi concentro sulla pedalata e guardo di sfuggita quello che mi circonda, i km cominciano a essere tanti, la salita impegnativa, finché ad un certo punto con la coda dell’occhio, la vedo, è lei, la fontanella!
Bevo a piene mani l’acqua ferruginosa e immediati affiorano i ricordi.
La seicento color pervinca, il portapacchi caricato la sera prima di partire, pieno di bagagli, tenuti fermi da cinghie chiamate ragno.
Bevo e vedo mio padre che guida con i mezzi guanti bianchi, mia madre con un cappello di paglia marrone che ancora oggi sarebbe di gran moda.
Mi assale la nostalgia e allora a gran voce pronuncio quello che 50 anni fa non avrei mai pensato di dire: “Papà, è buonissima!”

Pedalo con tanti bei ricordi che affiorano e mi fanno una dolcissima compagnia fin quando, a Rezzoaglio, mi concedo una scorpacciata di focaccia, sono già in Liguria, si festeggia!
Sarà per colpa dell’abbuffata, sarà che comincio ad essere un po’ stanca ma i 12 km che mi separano dal Passo della Forcella, tutti in salita, li sto soffrendo, non mi diverto, anche la bici che fino a quel punto mi sembrava perfetta, comincia ad avere dei difetti.

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Prendo atto che sono sfinita, con calma troverò un posto dove fermarmi e poi si vedrà. E’ un brutto momento.

Inaspettatamente la strada si fa meno ripida, mi si affianca un ciclista che inizia a fare due chiacchiere, è simpatico, giovedì farà il mio stesso giro, oggi si ferma al Passo della Forcella. Ci arriviamo insieme? Ma come è vero che l’unione fa la forza! Certo quando vedo il cartello che indica il Passo quasi mi viene da piangere, mi butto letteralmente giù dalla bici e bacio il suolo, insomma faccio un po’ di teatro ma, caspita, anche stavolta ho vinto io!

Dopo aver scattato qualche foto inizio la lunga discesa verso Chiavari. Sono 25 km di divertimento, discesa ripida, bel paesaggio, fa un po’ freddo e a un certo punto si mette anche a piovere ma via non sono mica solubile!
Quando, dopo una curva, appare il cartello Chiavari, mi sento davvero tanto felice, vado in riva al mare, sulla spiaggia della mia infanzia, apro la mia borraccia con l’acqua ferruginosa e lascio che i bei ricordi mi tolgano il fiato.

Commenti

  1. Avatar Barbara ha detto:

    Ho fatto il giro con te, grazie del racconto divertente e motivante! Bellissimo racconto, grazie!

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