Da quando sono arrivate in Italia le aziende del bike sharing cinese, ovvero da due mesi a questa parte, c’è stato un gran dibattere sui social media e sui media tradizionali di quelle biciclette vandalizzate, abbandonate in giro, gettate nei corsi d’acqua disponibili, piazzate sugli alberi, sequestrate nei cortili interni alle case o semplicemente abbandonate alla meno peggio sul marciapiedi ostruendo passaggi già fin troppo angusti per i pedoni.
Da più parti si sente levare un grido di protesta da parte di persone indignate nei confronti dell’inciviltà dei propri concittadini ma, dando un’occhiata a quanto avviene in giro per il mondo, è facile rendersi conto che il fenomeno non interessa solamente l’Italia, ma è diffuso in tutti gli angoli del globo terracqueo laddove hanno messo piede le aziende del bike sharing a flusso libero.
Not a shared bike fan. pic.twitter.com/FSlTKToSDD
— Shanghaiist.com (@shanghaiist) 23 agosto 2017
In principio fu la Cina.
L’inizio di tutto è stato la Cina sulle cui strade, nell’arco degli ultimi 2 anni, sono state riversate oltre 18 milioni di biciclette in condivisione a flusso libero. E i risultati sono stati immediatamente sconcertanti: questo ritaglio del New York Times dello scorso 26 marzo evidenzia come “negli ultimi mesi le biciclette sono esplose. Sono come mostri che occupano le città” e, ancora, “più di una volta ho faticato a parcheggiare l’auto perché queste bici sono parcheggiate ovunque”
A distanza di meno di sei mesi dall’uscita di questo articolo-denuncia, il comune di Pechino decide di correre ai ripari vietando in modo categorico l’installazione di nuove bici in città che ormai sono diventate 2,4 milioni, gestite da 15 aziende, alcune delle quali sono già fallite lasciando rottami in giro per la città che hanno causato non pochi problemi all’amministrazione della capitale cinese.
Il motivo di questo stop operato dall’amministrazione pechinese è presto detto: laddove i tradizionali sistemi di bike sharing prevedono, per operare in modo efficiente, un rapporto bici/abitanti di 1:1000, i sistemi a flusso libero (come ammesso pubblicamente dagli stessi operatori alla tavola rotonda che abbiamo organizzato a Pavia lo scorso 15 settembre) ricercano un rapporto bici/abitanti di 1:10. Il mercato qui è gestito quindi dalla logica del “chi prima arriva, meglio alloggia” e in cui vandalismo, furti e scorrettezze varie sono ordinaria amministrazione di un sistema che non ricerca l’integrazione con gli altri sistemi di trasporto esistenti e neppure standard minimi di qualità, ma il semplice criterio quantitativo della disponibilità: ovunque tu sia, ci deve essere una bicicletta disponibile e pronta all’uso.
Poi arrivò il resto del mondo.
E mentre i Cinesi iniziano a porsi domande di natura antropologica sulla propria propensione al vandalismo e sul proprio scarso rispetto per la cosa pubblica, situazioni analoghe si iniziano a verificare in giro per il mondo. Come a Manchester, prima città europea invasa da Mobike, in cui le persone tendono a privatizzare le bici del bike sharing a flusso libero utilizzando lucchetti privati o nascondendole in cantina.
Oppure a Singapore, dove qualcuno è arrivato addirittura a filmarsi mentre lancia da un palazzo una bicicletta Ofo:
E la stessa cosa si sta verificando in questi giorni a Milano e Firenze, prime città ad avere aperto le porte ai sistemi di bike sharing a flusso libero, come riportano le foto qui sotto riprese dalla rete.
E anche qui è fin troppo facile dire che noi Italiani siamo incivili e compagnia pedalante: basta andare agli antipodi per rendersi conto che la stessa cosa avviene ovunque.
Le immagini che vedete qui sotto arrivano dall’Australia, Melbourne che si è trovata a fare i conti con la stessa situazione:
E c’è addirittura chi evidenzia che le stesse bici sono ferme nello stesso punto da settimane, senza nessuno che se ne occupi:
@AustraliaObike how often do you retrieve bikes? These have been here all week. pic.twitter.com/pFVLALB1rq
— Tathra Street (@TathraSt) 10 agosto 2017
Per non parlare delle biciclette recuperate nei fiumi:
Le soluzioni in giro per il mondo.
Ma le città stanno correndo ai ripari di fronte a questa situazione di degrado urbano che, coinvolgendo allo stesso modo Cinesi, Italiani e Australiani, difficilmente può essere quindi derubricata come questione di natura culturale, sociologica o antropologica.
La scelta più radicale è stata presa dal comune di Amsterdam che, come abbiamo avuto modo di riportare, ha scelto di vietare il bike sharing a flusso libero in città.
Recentemente è stata la volta del Comune di Melbourne che ha vietato solamente le biciclette di Obike, azienda di Singapore, accusata di “abbandono illegale di rifiuti sui marciapiedi”.
Altre soluzioni adottate riguardano invece una limitazione del concetto di “flusso libero” attraverso la creazione di stazioni virtuali, ovvero dei punti prestabiliti di prelievo e riconsegna delle biciclette senza ricorrere però a infrastrutture fisse dislocate sul marciapiede o sulla sede stradale. La logica della stazione virtuale è molto semplice: poiché ciascuna bici è dotata di un dispositivo GPS, la stazione virtuale riconosce la presenza della bicicletta nell’arco di un determinato perimetro consentendo quindi la chiusura del noleggio solamente nelle aree consentite, ovvero lontano da flussi d’acqua, lontano da passaggi angusti, cortili privati, etc.
Questa soluzione è stata adottata con successo in molte città tedesche o austriache come Colonia, Berlino o Wachau.
In ogni caso, prima di puntare il dito contro lombrosiane presunte propensioni alla criminalità della propria popolazione locale, vale la pena chiedersi se le aziende che operano il servizio abbiano messo in atto tutte le misure necessarie per evitare il verificarsi di queste sgradevoli situazioni. Un po’ la stessa cosa che fecero le autorità di Amsterdam negli anni ’60 quando si ritrovarono a fronteggiare la situazione delle biciclette bianche abbandonate dai Provos in giro per la città.
Ritono sull’argomento, questi ad esempio sono i numeri per Manchester
https://confidentials.com/manchester/manchester-mobike-problem-crime
Anche in quel caso, gli articoli sembravano catastrofici e in realtà le bici usate in modo improprio erano sotto il 3%.
Sul principio di non ostacolare il passaggio pedonale sono perfettamente d’accordo, anche perché si ostacola una delle forme più sostenibili dii spostamento. Le bici free floating che ostacolano il passaggio devono essere segnalate tramite app, l’operatore è tenuto da bando a rimuoverle e a togliere punti a chi ha parcheggiato la bici. Si spera che in questo modo si disincentivi il comportamento scorretto.
Sull’autoregolazione sono d’accordo per gran parte, gli esempi in giro tipo Shanghai o Manchester sono evidenti. In questo caso però dovrebbero essere secondo me i comuni a regolamentare correttamente imponendo sanzioni agli operatori in caso di errata gestione. Stessa regolamentazione dovrebbe essere applicata anche ad altre tipologie di trasporto, come Tokyo dove la vendita della macchina avviene solo se si dimostra di avere un posto dove parcheggiarla.
Il problema è pero allora più esteso. Se quelle 12000 bici non fossero in sharing, domani mattina mezza Milano si sveglia e decide di muoversi in bici. Ci sarebbe effettivamente posto per parcheggiare correttamente senza il minimo intralcio 500000 bici? Secondo me NO, se però si aspetta che l’urbanistica sia quella corretta perché la città si ciclistica allora rimane tutto solo un’utopia.
Chiedevo i numeri nel mio commento perché sarebbe controproducente demonizzare uno strumento in cui l’incidenza dei comportamenti scorretti è bassa rispetto ai vantaggi che può invece portare in un determinato ambiente.
E’ chiaro che le città come Milano sono adesso strutturate per l’uso della macchina, i marciapiedi sono per la maggior parte stretti e le rastrelliere rarissime. Quelle che ho visto in giro erano tutte parcheggiate al meglio per quello che offriva la zona. Stesso principio di non ostacolare il passaggio pedonale allora dovrebbe per valere anche per i motorini sui marciapiedi o macchine che occupano le ciclabili.
Sono convinto invece che lo sviluppo ciclabile parta invece da una domanda, è un mezzo sostenibile e pratico per il trasporto? Si, allora SI USA, si parcheggia pensando al minimo ingombro, quando l’utilizzo sarà esteso sarà anche compito dell’amministrazione dare maggiore spazio a pedoni e bici per una corretta convivenza. Sulle amministrazioni virtuose che agiscono con forza preventivamente ci credo poco, ho presente il caso di Grenoble perché ci capito spesso ma è un caso isolato. Bisogna lottare per le ciclabili, figurati per i parcheggi. Sei d’accordo?
Mi sono dilungato un pelo, l’argomento mi interessa molto. Grazie per la discussione :)
Articolo però incompleto e di parte. Ci sono 12.000 bici in sharing fra Ofo e Mobike, quant’è la percentuale delle bici vandalizzate? Stessa cosa, quali sono i numeri per Firenze? L’articolo rimane sempre sul qualitativo. I vandali purtroppo ci sono sempre, ma girando per Milano le trovo sempre parcheggiate bene nel limite del ragionevole, per quello che permette l’urbanistica milanese.
Le bici a Milano sono usatissime è evidente, non ho capito perché qui si spari sempre a zero sullo sharing free floating senza neanche vedere gli effetti benefici evidenti che sta avendo. Il metodo ha le sue pecche ma complessivamente mi sembra stia facendo si che un sacco di gente scelga la bici come spostamento in città rispetto ad altro. Si spera che una volta provato inneschi un circolo virtuoso.
Aspetto un articolo molto piu dettagliato :)
Grazie del commento.
Non servono numeri, servono fatti. Milano in quasi 10 anni di bike sharing gestito da Clear Channel non ha mai visto una bicicletta condivisa lasciata sul marciapiede. Questo è un problema.
Magari non per me, non per lei che mi scrive, ma per chi ha problemi di deambulazione è un problema. Poiché esistono soluzioni di natura tecnica in grado di evitare che si verifichino determinate situazioni, non vedo perché non adottarle. Sul tema del free flow, sono contrario al liberismo: non credo che il mercato sia in grado di autoregolarsi e sul fronte della mobilità meno ancora perché l’autoregolamentazione del mercato la vediamo tutti i giorni con le auto parcheggiate in doppia fila, parcheggiate sui marciapiedi e ovunque ci sia posto. Per dire che LE BICICLETTE NON DEVONO STARE SUL MARCIAPIEDI bisogna aspettare che non si riesca più a passare? Evviva se i nuovi sistemi creano più ciclisti, ma lo sviluppo della ciclabilità non si può fare a scapito dei pedoni. Siamo d’accordo su questo principio?