Vado a Mosca in bici: recensione
Stazione ferroviaria di Mantova, giugno 1983.
Il treno che porta mia mamma in vacanza in Calabria, sta per partire; il capotreno fischia, lei si affaccia al finestrino, mani che salutano, raccomandazioni che si sprecano mentre la “bambina” serenamente dichiara: “mamma, ‘va che io lunedì parto per la Grecia con la Laura, zaino in spalla, treno e sacco a pelo”. La mamma sgrana gli occhi come due meteoriti infuocati ed esclama: “Come vai in Grecia con la Laura in treno e in sacco a pelo???” Ma io pensavo che scherzassiiiiiiiiiiii….
(Mentre il treno lascia la stazione, la “bambina” agita la manina e guarda il materno volto allontanarsi inesorabilmente con un sorriso sornione – fine della scena, inizio dell’avventura.)
Recensione
E ciao bella: non scherzavo. Nell’83 l’era dei Colonnelli era già finita; ciononostante la Grecia era un paese ancora piuttosto arretrato e noi eravamo ancora in piena era pre-internet, pre-cellulari, pre-booking.com, pre-bancomat, pre-carte di credito: se finivi i soldi eri finita davvero e in certi posti dormire con un tetto sulla testa era davvero un optional. Insomma non era certo una passeggiata di salute per due ragazzine di provincia appena uscite indenni dal primo anno di università.
E così, più di trent’anni dopo, appena ho visto su un banchetto la copertina del bellissimo libro di Rita Sozzi “Ciao mamma vado a Mosca in bici”, ora che ho l’età di mia madre al tempo, ho sorriso nuovamente sotto i baffi: sapevo che mi sarebbe piaciuto, che mi sarei immedesimata, emozionata, divertita.
Certo, Rita è un personaggio di tutt’altro spessore rispetto a me nei primi anni 80: laureata in lettere classiche, insegna latino e greco, è giornalista e soprattutto è una fortissima atleta, dotata di fisico allenato e mente ferma, perfetti per affrontare un’impresa del genere, in solitaria e in bici.
Detto questo, il racconto di Rita è ben diverso dal solito noioso diario di viaggio celodurista, dove il ciclista-macho snocciola kilometraggi, dislivelli e roadmap per pura vanagloria, dimenticando che il viaggio – seppur in bici – è prima di tutto un’immersione empatica nei luoghi che attraversi, anzi che ti attraversano.
Per Rita la Signora (così chiama la sua bici) è semplicemente il mezzo più adatto a spostarsi “lentamente-ma-non-troppo”; il maltempo e la fatica sono poco più che inevitabili compagni di viaggio con i quali deve imparare a convivere. Da Milano a Mosca, anzi da San Pietro all’Olmo a Mosca.
Tutto il resto è avventura, stupore, domande e risposte, emozioni a volte spuntate dai libri di storia, altre volte dalle canzoni ascoltate pedalando oppure dai volti delle persone incontrate qua e là, con le quali più ci si allontana da casa meno si comunica. O meglio: il linguaggio cambia forma, i gesti sostituiscono le parole, le parole si mischiano in prodigiosi argot, il cibo si fa sempre più misterioso e surreale, gli alloggi sempre più deserti, defilati e fatiscenti.
In sella alla sua Signora, Rita pedala attraverso la storia del Vecchio Continente, percepisce nei boschi dell’Est Europa i fantasmi di soldati e civili morti in interminabili guerre senza senso. In ogni dove, fosse anche il villaggio più sperduto, Rita cerca le tracce di questo o quell’esercito, di questo o quel dittatore, vuol capire cosa è successo, come e perché. Ma nessun timore: la noia machista non si baratta con la pallosità accademica, anzi il libro è molto divertente.
La scrittura di Rita è brillante, una Camilleri de Milan. Il suo lessico naturalmente erudito si mescola allegramente al dialetto brianzolo e il tutto – condito da parole strane in lingue sconosciute ed espressioni “ggiovani” da rapper metropolitano – si ricompone in un insieme linguistico armonico e spassoso, assolutamente godibile per lettori di ogni età.
Le numerose foto di deprimenti panorami sovietici, nonché di cibi confezionati altrettanto tristi, sono parte integrante del racconto; il notevole sense of humor di Rita è il vero burattinaio che manovra tutti i fili della trama. Il resto è viaggio, entusiasmo ed emozione.
Più che il resoconto di un’impresa ciclistica, questa è la storia vera di una ragazza postmoderna che un bel giorno ha detto a sua mamma: “Ciao Mamma vado a Mosca in bici”, con la passione, la follia, la curiosità e la voglia di farcela che sono il vero motore di chiunque voglia chiamarsi giovane, di qualsiasi generazione e a qualsiasi latitudine del mondo.
Ma la vera grande “Hola” va alla mamma di Rita, che – come la mia – suo malgrado l’ha lasciata andare, l’ha incoraggiata e seguita durante il viaggio, aspettandola a casa con la sua cena preferita quando la figlia le ha concesso la santa grazia di tornare. Perché questa mamma è una grande, lei lo sa che solo così si crescono figli davvero liberi di testa e di cuore.
Non perdetelo.
Ciao Mamma! Vado a Mosca in bici. 3000 Km in solitaria verso Est
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