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Vincenzina davanti alla fabbrica

bici-citta

Mi chiamo Vincenza. Vincenzina per gli amici.
Lo so, avrei preferito Camilla o che so Serena. Sì Serena mi sarebbe piaciuto molto. Avrebbe descritto meglio ciò che sono. Ma per tutti sono Vincenzina.
Fa molto freddo oggi. È il secondo lunedì di dicembre. Fa quel freddo che ti accorcia il collo e ti avvicina violenti i denti. Dicono che stia arrivando la neve. Ma chi me l’ha fatto fare… Sì, insomma, non mi è ancora chiaro cosa mi ha spinto, proprio oggi, proprio in questo temibile secondo lunedì di dicembre ad affrontare questo grande cambiamento. Da oggi ho deciso di andare al lavoro in bicicletta.

La settimana scorsa ho fatto delle prove. Mica parto impreparata.
Tre chilometri e settecentocinquanta metri. Tre chilometri e settecentocinquanta metri e Vincenzina è davanti alla fabbrica. Poca ciclabile, pochi incroci, percorso facile facile.
Quante volte ci avevo già pensato! Sì ma proprio oggi dovevo decidermi… E’ sempre così. Ma forse è meglio. Proprio come quando ho smesso di fumare. Sulla carta era il periodo meno adatto. Ero completamente stressata e fumare mi alleggeriva. Smettere in quel momento è stato eroico. Non ho più fumato.
Quindi è così che deve andare, in questo freddo ed inadeguato lunedì, tocca dispensare eroismo. Mi copro come se dovessi affrontare una spedizione a Capo Nord. L’unica parte a diretto contatto con l’aria, è quel lembo di pelle fra la sciarpa che sale fino a coprire il naso e la berretta al confine con le sopracciglia. Di mezzo ci sono gli occhiali. Beh io parto!

Poche pedalate, anzi pochissime e una grossa macchina si affianca. Si abbassa il finestrino e l’autista sincronizza la velocità con la mia pedalata rigida. La signora che occupa il posto del passeggero mi dice “Scusi signorina, saprebbe indicarmi la strada per l’idroscalo? “
Ora, io mi chiamo Vincenzina per un motivo ben preciso. Mia madre adora Jannacci. Quella domanda, mentre in bici affrontavo il gelo, avrebbe dovuto avere una sola risposta, di convenienza per altro!
“Sì lo so dov’è, lo so dov’è l’idroscalo. Salgo anch’io sulla sua macchina. E’ bella questa macchina” è calda questa macchina…avrei aggiunto alla citazione!
Invece no. Non so come si arriva all’idroscalo. Abito a Milano da un paio di anni e mi rendo conto in questo momento che la mia conoscenza logistica si limita a casa – lavoro e poco altro.
“No mi dispiace signora, non lo so”
Il finestrino si alza senza salutare ed un rumore crescente spezza il sincronismo della macchina con la bici. Ciao eh…!

Riprendo con vigore a spingere sui pedali. Le prove della settimana scorsa e le millimetriche rilevazioni via Google Maps, hanno stabilito che la metà esatta del mio percorso ha come riferimento il bar “la Fermata”. A questo punto del tragitto, vista la fatica, mio personalissimo gran premio della montagna. Ancora non si vede. Ah no, eccolo! Poche pedalate e sarà solo un’immagine in un altrettanto immaginario specchietto retrovisore. Fortunatamente le prove tecniche della settimana scorsa mi hanno permesso di verificare la tristezza delle brioches, del bar dal nome sibillino, quindi me lo lascio alle spalle senza rimpianti.
La temperatura sotto la giacca comincia a salire. Sono in ebollizione. La magia del pedalare. Poco fa temevo di congelarmi nel tragitto, ora mi toglierei volentieri la giacca.
Sono a buon punto, ecco il ristorante cinese, con le sue lanterne rosse appese. Ultimo chilometro.
Pedalo fluida e rilassata ora. Uno sguardo all’orologio, mi conferma che sono in anticipo. E non devo cercare parcheggio! Eccomi qua. Ora Vincenzina è davvero davanti alla fabbrica. Lego la bici. Torno stasera, mi raccomando.

Il turno è finito, ecco la mia bici che mi aspetta. Nonostante il gelo, le tensioni della giornata si sciolgono rapidamente ad ogni rotazione completa della catena. Penso alla serata. Mi piace. Ora posso essere anche Serena.
Nell’ultimo tratto, prima del traguardo casalingo, mi torna in mente l’episodio di questa mattina, la grossa macchina alla ricerca dell’idroscalo. Sarà l’aria fresca che mi entra da sotto gli occhiali e s’infila dritta dritta nel cervello, sarà che è inverno e a quest’ora la luce è solo un ricordo ed il buio mi protegge e mi nasconde dall’imbarazzo, ma mi viene un’incredibile voglia di cantare. Riempio i polmoni di aria gelida, lo sbalzo termico mi fa sussultare, ma a gran voce canto “El purtava i scarp del tennis, el parlava de per lu, rincorreva già da tempo un bel sogno d’amore…”! Fra due ali di immobili e tristi vetture parcheggiate, che si preparano abbandonate al gelo notturno, taglio il traguardo, mentre i primi fiocchi di neve cadono come coriandoli in festa.

Commenti

  1. Avatar simone flegoni ha detto:

    Ciao Alex, grazie per il commento!
    Non sono di Milano quindi non vorrei insistere ma….anche a tendere forte l’orecchio, io non lo sento proprio quel “In” nella canzone di Jannacci… Credo anche che il senso della frase sia proprio “parlava da solo” e non “parlava con se stesso”.
    Ciao!

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