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Laos in bici, da Nord a Sud

Laos in bici
Mentre i racconti degli altri paesi che ho attraversato li ho scritti, o almeno abbozzati, mentre viaggiavo, per il Laos non ci sono riuscita. Ogni volta che mi sedevo con l’intenzione di farlo avevo la consapevolezza che non sarei risucita a rendergli giustizia. Adesso è cambiato poco, ma ho messo abbastanza distanza tra me e quei giorni da rendermi conto che se non scrivo qualcosa a riguardo adesso, alcune sensazioni si affievoliranno troppo.

Entro in Laos dalla Tailandia al confine piu a Nord del paese, Huay Xai. Le montagne del Nord mi spaventano, ma allo stesso tempo non mi sorprendono, sono qui per quei paesaggi che ho immaginato tante volte leggendo racconti di altri viaggiatori… Sono un groviglio di eccitazione e paura.

Huay Xai è una cittá di confine, ed è qui che il mio percorso si scontra per la prima volta con quello dei backpackers, i ragazzi che in genere dopo l’universitá viaggiano per mesi con uno zainone sulle spalle. Il loro numero e la struttura di questi viaggi mi prende di sorpresa e un po’ mi sconvolge. Ci sono autobus turistici che viaggiano per ore attraversando villaggi isolati per collegare le 3-4 grandi paesi Laotiani dove scaricano di volta in volta decine di ragazzi. Sono paesi cresciuti a misura di turismo, violentando e annullando sia la natura che la cultura laotiana.

Entrando in Laos ho attraversato il Mekong, che seguirò adesso per i prossimi 2000 km. Ho deciso di raggiungere Luang Prabang proprio navigando su questo fiume, sono i primi chilometri di questo viaggio che non pedalo. Pensavo mi sarei annoiata invece mi incanto per ore a guardare la vegetazione sulle due sponde di questo fiume cosi maestoso e ‘selvaggio’.

Sbarco a Luang Prabang, dove mi fermo pochissimo, sono impaziente di uscire dalla bolla turistica creata per i backpackers, vedere il Laos vero. Ho passato molte ore ad informarmi sul tragitto da prendere da qui fino alla capitale, Vientiane, conosco ogni singola salita che dovró affrontare. Dopo aver letto alcuni racconti di cicloturisti che hanno dovuto trovare alloggi o passaggi di fortuna, sconfitti dalle salite e dal caldo, il pensiero di prendere un autobus prima ancora di affrontare la prima salita mi è passato per la mente. D’altra parte peró se non ce la faccio qualcuno mi aiuterá, fa parte dell’aventura, alla fine son arrivata qui con le mie gambe, per lo meno ci devo provare. Sveglia presto, marcia corta e via. Quel primo giorno di salite pedalo con un gruppo di ciclisti locali, e spinta dai loro incitamenti pian piano arrivo in cima.

Certo, giornata dura. Ma non minimamente difficile come me l’ero immaginata! Arrivo alla guest house che mi ero prefissata appena dopo le 2 del pomeriggio, la paura trasformata ora in soddisfazione per esserci riuscita. ‘Beh certo, sei super allenata’ in tanti staranno pensando. Non è vero. L’allenamento ha poco a che vedere con il superamento di quei primi giorni di salite. I racconti di avventure-incubo che avevo letto erano pricipalmente di persone un po’ sprovvedute. Partire per 60 km di salite alle 3 di pomeriggio sotto un caldo infernale senza un goccio d’acqua nè una cartina geografica, non è proprio la preparazione ideale per affrontare 2500 metri di dislivello. Queste giornate mi insegnano quanto sia importante ascoltare i consigli e le esperienze altrui, ma non perchè questi ci spaventino al punto da mettersi tra noi e il nostro obbiettivo. Dobbiamo solo usare le esperienze degli altri per arrivare a tale obbiettivo preparati, consapevoli, e ricchi di energia!

Dopo aver superato le montagne arrivo a Vang Vieng, che mi lascia a bocca aperta per le sue costruzioni rocciose verticali assalite dalla giungla e attraversate da una mirade di caverne, corsi d’acqua, laghetti. Ed infine raggiungo la piu piccola capitale del Sud Est Asiatico, Vientiane. È il posto ideale in cui fermarsi per qualche giorno. È una cittá assonnata e lenta, dove ci si puo’ riposare senza venire assaliti da mille tentazioni, attivitá o luoghi da visitare.

Riparto puntando verso Sud, con una piccola deviazione per salire le colline e vedere la foresta calcarea, una riserva naturale di centinaia di torri verticali erose dalla pioggia, che si estende per chilomentri. La strada scende in valle e corre drittissima per parecchi chilometri parallela ai torrioni di roccia, fino a scontrarsi contro la parete di una montagna. La strada finisce li. Un fiumiciattolo scorre sotto alla roccia, attraversando la Konglor cave, una caverna luna 10 km. Carico la bici su di una barchetta che mi traghetta cosi da una parte all’altra della montagna, sfrecciando sull’acqua per 10 km di buio, cercando di non pensare alla mole di roccia sopra di noi. Dall’altra parte 50 km di sterrato mi riportano sula strada principale. È la parte di percorso piú remota e autentica che attraverso, e decine di ‘Saibadee’, il saluto locale, provengono dai campi, dalle amache appese sotto alle case-palafitte, dalle baracche lungo la strada, dai gruppi di ragazzini che mi vedono in lontananza e iniziano a correre, accompagnandomi per qualche decina di metri.

In Laos incrocio un paio di cicloturisti ogni giorno. Ci si ferma a bordo strada per chiacchierare e scambiarsi informazioni su quali percorsi evitare e quali fare a tutti i costi. Non servono preamboli, si è immediatamente sulla stessa lunghezza d’onda. Eppure le motivazioni e le serie di eventi che ci hanno portato lí, in quel momento, a vagare in bicicletta nel bel mezzo del Laos, sono le piú disparate. I nostri tragitti si incontrano per qualche minuto, poi ci si saluta e riprende a pedalare in direzioni opposte.

Continuo a seguire il Mekong verso Sud, verso la Cambogia. È una parte di percorso che tutti mi hanno sconsigliato perche noiosa. Ed a ragione. La strada è dritta, un sussegguirsi di paesetti uguali attraverso un paesaggio monotono, nel caldo che adesso inizia a farsi davvero insistente. E cosi continuo a pedalare, concedendomi parecchie soste per sorseggiare caffe ghiacciati addolciti dal latte condensato, succo di canna da zucchero, o cocomeri freschi.

È attraversando questi paesetti che comincio a conoscere il vero spirito laotiano. È un paese povero dove la gente possiede poco, eppure è serena. Si lavora, ma quel tanto che basta per sopravvivere. Lavorare di piú significherebbe sacrificare il proprio tempo e la propria serenitá per ottenere qualcosa di superfluo che non ripagherebbe dello stress causato, e quindi molto semplicemente non ne vale la pena. I gesti svogliati dei proprietari dei negozi, semi addormentati nelle loro amache, sono inequivocabili: non sono interessato a venderti niente, non voglio dare un occhio ai problemi della tua bicicletta, non voglio spostarmi da questa amaca, prosegui pure, grazie.

È una filosofia di vita aliena alla nostra societá occidentale, dove ci siamo autoconvinti di dover produrre e consumare sempre piú velocemente per poter produrre e consumare sempre di piú. Ma sembra quasi che abbiamo perso di vista la questione piú importante di tutte: consumare e possedere di certo non ci rendono felici, ne vale la pena?

Dopo due mesi di viaggio mi ritrovo a pensare al magazzino che ho noleggiato, dove ho accumulato i miei averi prima di partire. Ci sono decine di scatoloni di ‘cose’. Tutto quello che mi serve ora sono le due borse che ho sulla bici. Cosa c’è dentro a tutti quegli scatoloni? Come ho accumulato cosí tanta roba? Mi serve davvero?

Passo la cittá di Paksè, poi le rovine di Champasak, ed infine 150 km sterrati e polverosi mi portano poco prima del confine con la Cambogia, dove il fiume Mekong si apre fino a toccare i 15 km di larghezza. 15 km di fiume, di acqua, di vita, 15 km punteggiati di isolotti: sono nella zona delle 4000 isole. Un cicloturista francese mi aveva avvertita di stare attenta a questa zona, è pericolosa. Avevo subito immaginato serpenti, zanzare malariche, sabbie mobili, bombe inesplose, mentre lui mi stava solo mettendo in guardia dall’effetto magnetico di questa zona. Si programma di restarci due giorni, si finisce per passarci due settimane. Una volta visitate le numerose cascate e aver nuotato nel Mekong, c’è davvero poco da fare se non soccombere all’atmosfera soporifera laotiana, farsi dondolare da un’amaca ascoltando il rumore del riso che cresce.

Non posso peró rimanere due settimane, il mio visto laotiano scade tra 3 giorni, un altro confine mi aspetta!

Chilometri percorsi: 1520
Racconti laotiani settimanali (in inglese): valzonsite.wordpress.com/east-asia/laos/
Instagram: Valzonbu

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