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Sul futuro della biomeccanica del ciclismo

Sul futuro della biomeccanica del ciclismo

Mi occupo di biomeccanica del ciclismo da circa 3 anni. Non è un tempo enorme, non sono un ex professionista con miliardi di chilometri nelle gambe né un meccanico di bici. Ma ho dedicato gli ultimi 1000 giorni allo studio, allo sviluppo e alla comprensione della biomeccanica del ciclismo. Ho conosciuto circa 1000 persone, ho tenuto conferenze all’università, all’estero, ho avuto modo di cogliere le lamentele dei ciclisti, le necessità degli addetti ai lavori, le idee delle aziende di settore e del mondo della terapia riabilitativa e sportiva. Ho potuto imparare e vedere come lavorano i migliori (e i peggiori) biomeccanici italiani e stranieri. Ho avuto modo di discutere con i più importanti scienziati della biomeccanica del ciclismo e dell’essere umano.

Per decenni si è pensato che il corpo sopra la bici fosse un arnese che doveva essere ottimizzato, secondo schemi fissi e criterio biofisici di normalità. Si è pensato che dato che un meccanico sa avvitare un movimento centrale sappia anche aggiustare un corpo sulla bici. Si è pensato che basti un software sul quale pigiare i tasti per rispondere alle esigenze di ogni ciclista. Si è pensato tutto e il contrario di tutto.

La mia esperienza mi ha portato a capire che nel 90% il problema che si manifesta in bici non è dovuto alla bici, bensì al corpo, ai muscoli, allo schema motorio, agli atteggiamenti posturali del ciclista. E quel problema non si risolve regolando la bici, si risolve “regolando” l’atleta. Attraverso un processo di miglioramento della flessibilità, della forza, della tenuta del core, del gesto atletico, della resistenza alla fatica. Il bike fit è un processo continuo di miglioramento e ottimizzazione. Il problema è: a chi rivolgersi per un servizio di questo tipo? Al meccanico di bici, al “guru” che orienta la sella verso destra o al “leader” che mette le tacchette a occhio? Oppure a un professionista qualificato?

Nel futuro il ruolo del biomeccanico sarà quello di “personal trainer della posizione in bici”. Un professionista capace di valutare l’atleta nel migliore dei modi, di sostenerlo nella sua progressione verso il miglioramento e l’ottimizzazione, applicando concetti multidisciplinari e soprattutto un approccio basato su evidenze scientifiche.

Un dispiacere, in questi anni, è stato vedere pochi professionisti sanitari (tra cui gli “scienziati motori” come me, che io ritengo essere degni di professione sanitaria in quanto terapisti di primo livello, poiché l’esercizio fisico è anch’esso una terapia) interessati al tema. Come se la biomeccanica non li riguardasse, come se l’aver studiato fisiologica, cinesiterapia, valutazione funzionale, anatomia e trattamento non possa poi essere speso nel lavoro con i ciclisti, perché “tanto serve il software” o perché “si è sempre fatto così”. Ne siete sicuri?

Avete mai sentito parlare del Clinical Bike Fit, che è diventato un gold standard negli Stati Uniti? E’ un approccio clinico e accademico al bike fit, riservato solo a chi è in possesso di una laurea. E in Italia non può essere replicato?

Fisioterapisti, osteopati, podologi, scienze motorie, è vostro il futuro della biomeccanica. Perché dall’università si esce tutti uguali ma poi è la preparazione specifica a fare la differenza. Il futuro della biomeccanica siete voi, solo che non lo sapete.

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