Le proposte di modifica al Codice della Strada, visto che l’argomento è tornato di attualità, hanno trovato un’ampia eco sui principali organi d’informazione: ma molti colleghi giornalisti, più o meno consapevolmente, hanno preso una colossale cantonata sull’introduzione del senso unico eccetto bici che si ostinano a chiamare “contromano”. Peraltro nella proposta in discussione a firma del deputato del Movimento 5 Stelle Emanuele Scagliusi si parla di “doppio senso ciclabile” (all’articolo 11, comma 9-ter, ndr) e sull’enorme differenza tra i due concetti abbiamo scritto diffusamente su Bikeitalia.

Nell’oceano di disinformazione mista a livore, un articolo spicca su tutti ed è apparso nella sezione Motori del Corriere della Sera: non si tratta del pezzullo di colore un po’ sopra le righe a firma di un collaboratore giovane e inesperto, magari sfuggito al controllo della redazione, ma del punto di vista del caporedattore Maurizio Donelli, giornalista di lungo corso, che si è prodotto in un pezzo di rara insensibilità in cui risulta evidente il suo astio e la sua insofferenza nei confronti di chi pedala.

So che può risultare difficile per chi ha legato la propria professione in maniera così viscerale all’automotive pensare che le persone in bicicletta siano degne di rispetto e di attenzione esattamente come chi guida un mezzo a motore (forse di più, in quanto più vulnerabili, ma non è questo il momento di sottilizzare) ma considerare l’introduzione del “senso unico eccetto bici” e della “casa avanzata con precedenza ai semafori” come un attacco di lesa maestà all’automobilista è una colossale sciocchezza. Si tratta davvero di misure di buonsenso ciclabile che in Italia, se approvate, arriverebbero comunque con una trentina di anni di ritardo rispetto ai Paesi molto più avanti del nostro in tema di viabilità e condivisione della strada.

Donelli sfodera tutto l’armamentario dell’anticiclismo militante, riuscendo a confezionare perle tipo questa: “Perché tra tanti ciclisti irreprensibili nei comportamenti, è innegabile ve ne siano già moltissimi che da sempre vanno contromano, agli incroci fanno un po’ quello che vogliono e ai semafori sono sempre in prima linea (ne avete mai visto uno in coda alle auto?) spesso passando regolarmente col rosso”. Scritto proprio così, senza uno straccio di dato o studio a supporto, sul sito del principale giornale cartaceo italiano: una roba che imbarazzante è dire poco. Ma il peggio deve ancora venire.

“È così, ai virtuosi della bici spettano da sempre onori, mai oneri. Hanno facoltà di parcheggiare (o sfrecciare, scampanellando ai pedoni) sul marciapiede dove preferiscono, hanno facoltà di non usare il casco, di non avere un’assicurazione, di parlare al cellulare o messaggiare mentre pedalano, di trascinare un cane al guinzaglio, di fumare, di portare uno o due bambini anche senza casco, di invadere la strada principale anche se parallelamente vi è una comoda pista ciclabile”. Una condanna senza appello. Ma c’è un ma.

Le infrazioni citate dal nostro sono un po’ le solite di cui si riempie la bocca chi vuole dare addosso alle biciclette, ma il particolare del cane al guinzaglio mi ha fatto ricordare uno pseudo-sondaggio spacciato per studio attendibile da Facile.it sui presunti comportamenti scorretti dei ciclisti, di cui avevo scritto e che aveva portato alla querela del portale da parte dell’Associazione Salvaiciclisti Roma: vuoi vedere che Donelli ha attinto proprio da lì questa sgangherata casistica in merito ai ciclisti brutti, sporchi e cattivi? A suo tempo l’Ansa si accorse dell’errore e cancellò l’articolo che aveva scritto basandosi su quei dati farlocchi: in molti, su mia segnalazione, furono costretti a rettificare. Il blog d’informazione indipendente Valigia Blu riprese il mio debunking e ci dedicò un articolo. A distanza di più un anno un caporedattore della sezione Motori del Corriere della Sera utilizza la stessa sequela di insulti senza un ubi consistam e ci costruisce sopra un pezzo a tema “ciclisti indisciplinati”?

La sensazione è che Donelli non vedesse l’ora di poter vomitare il proprio odio verso chi pedala, “i ciclisti”: quelli che per fare 5 chilometri in città ci mettono sempre 20 minuti e non perdono tempo a trovare parcheggio; quelli che non pagano il bollo e l’assicurazione; quelli che non hanno targa e che possono transitare liberamente in aree pedonali e zone a traffico limitato. Insomma: l’esatto opposto di chi si muove su un mezzo a motore inquinante e ingombrante.

La chiusa di questo capolavoro di cinismo, in perfetto stile victim blaming, tende a colpevolizzare chi pedala e deresponsabilizza la persona al volante: “Tanto se in futuro un ciclista contromano dovesse sbattere contro un’auto, la colpa sarà sempre di chi guida l’auto. Ça va sans dire”. A parte il fatto che l’introduzione del senso unico eccetto bici avrebbe, invece, l’effetto contrario dimostrato di una maggior sicurezza intrinseca delle strade (Zone 30) in cui verrebbe introdotto, ho notato che l’ultima frase dell’articolo è stata modificata.

La versione precedente, più politicamente scorretta, è ancora presente nei motori di ricerca e recitava testualmente: “Tanto se in futuro un ciclista contromano dovesse finire spalmato sul cofano di un Suv, la colpa sarà sempre del Suv. Ça va sans dire”. “Spalmato sul cofano di un Suv” è un’espressione che denota una violenza verbale assoluta: forse l’autore, dopo le tante critiche ricevute tra cui quella di Marco Scarponi (fratello dell’indimenticato Michele e promotore della Fondazione per la sicurezza stradale a lui dedicata, ndr), è stato indotto a modificarla (ma senza renderne conto direttamente ai lettori, infatti la versione precedente non è più visibile e sono riuscito a recuperarla solo perché ancora presente nell’anteprima dell’articolo su Google News). Intanto ha cancellato il post che aveva condiviso sul suo profilo Facebook. In ogni caso questo articolo non fa onore alla storia del Corriere della Sera e a mio avviso rappresenta un esempio ineguagliato di cattivo giornalismo. Ça va sans dire.

Commenti

  1. Avatar paolo ha detto:

    Come in tutte le circostanze la ragione non sta sempre da una parte sola. Sono convinto che in tutto ciò incidano molto sentimenti diversi fra cui anche un po’ di gelosia verso chi si può permettere di andare in bici con una certa disinvoltura e chi invece no.
    Si deve anche riconoscere che condurre un due ruote a pedali non è poi così semplice come potrebbe sembrare. Anzi direi che guidare una bici, bene, è abbastanza difficoltoso, senza contare la caratteristica del mezzo che spesso è inappropriato biomeccanicamente parlando.
    Quindi andare in bici si ma con coscienza, padronanza e conoscenza del mezzo stesso.
    Altrimenti si rischia di diventare degli incomodi bersagli.

  2. Avatar Mauro ha detto:

    E` solo questione di Cultura, Rispetto, Educazione. Purtroppo, in Italia, molti non hanno idea del significato di queste 3 parole. Una sola via quindi: iniziare dalla famiglia, dalla scuola, dalle scuola guida, da una continua e concreta campagna di comunicazione coordinata del Ministero dei Trasporti (?!) E che dire delle forze dell’ordine che potrebbero fare qualcosina in più per proteggere gli utilizzatori più “deboli” (pedoni, ciclisti ed anche motociclisti)

    1. Avatar Ciclista Sdraiato ha detto:

      Sono nato negli anni ’70 e a scuola mi insegnarono il C.d.S. (che rileggo periodicamente, non si sa mai), così come a scuola guida mi insegnarono l’importanza di moderare la velocità e distanziarsi il più possibile dai ciclisti in fase di sorpasso e a usare la mano più lontana per aprire la porta dell’auto quando si deve scendere, in modo da essere costretti a vedere se ci sono mezzi in arrivo. Se ora non viene insegnato più nulla di tutto ciò, beh, siamo messi davvero male

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