Riceviamo dal nostro lettore Giovanni Panzera e volentieri pubblichiamo
‘’Quando la strada sale, io non mi nascondo’’, questa frase è stato il leitmotiv della grande traversata delle Alpi in bicicletta.
2200 KM. di paesaggi spettacolari, 55 passi alpini scalati, 68.000 metri di dislivello in salita, tra fatiche, emozioni, determinazione, tanta forza di volontà e una soddisfazione immensa!
Una straordinaria traversata che mi ha portato sulle più belle strade delle Alpi, con partenza da Trieste e arrivo al Principato di Monaco.
Dal mare Adriatico al mar Mediterraneo, dai confini con la Slovenia, alle Alpi Orientali, alle Prealpi venete, all’aria rarefatta dei meravigliosi passi dolomitici, agli imperdibili percorsi d’alta quota della Svizzera, della Valle d’Aosta e della Francia sulle strade più alte d’Europa, per terminare con gli storici valichi delle Alpi del Mediterraneo tra Piemonte e Liguria.
E’ stata l’occasione di scoprire l’arco alpino da un punto di vista diverso, quello del viaggiatore lento, un viaggiatore “green”, che non inquina, non fa rumore, ma entra in sintonia con la natura, la storia, le tradizioni e la gente che vive sulle Alpi in una delle zone turistiche più importanti al mondo: sono infatti 120 milioni i turisti che ogni anno visitano l’arco alpino.
Poi proprio il 2019 è stato dichiarato ‘’l’anno del turismo lento’’, un ulteriore modo per valorizzare i territori italiani meno conosciuti dal turismo internazionale e rilanciarli in chiave sostenibile favorendo esperienze di viaggio innovative.
Le montagne più spettacolari d’Europa solcate da strade che percorrono valli, passi, colli, costeggiano fiumi e laghi, attraversano borghi e città, incredibili crocevia di storia, natura, arte e tradizioni e grazie a una grande diversità di paesaggi, di lingue, di culture e di tradizioni millenarie, ben 9 zone sono diventate Patrimonio Mondiale dell’umanità e Riserve della Biosfera UNESCO.
Inoltre la maggior parte del territorio alpino è protetto da Parchi Nazionali, Parchi Regionali e Aree Protette che salvaguardano le biodiversità animali e vegetali; le Alpi infatti, sono la regione europea più ricca di fauna, un incredibile museo vivente a cielo aperto.
Attraverso le emozioni e la semplicità dei gesti dettati da ritmi lenti, questa lunga e impegnativa traversata è stata effettuata in autonomia trasportando tutto il materiale (tenda, materiale da campeggio, abbigliamento attrezzatura video-fotografica ecc.) all’interno di un carrello al fine di poter affrontare gli oltre 2200 km con la massima libertà e autonomia per valorizzare maggiormente il percorso e l’ambiente dove le cime fanno da cornice alle storie dei popoli di montagna a pieno contatto con la natura.
Partito da Piazza Unità d’Italia – luogo simbolo di Trieste attraverso il lungomare del capoluogo friulano arrivo a Miramare, una delle prime Riserve della Biosfera istituite dall’UNESCO nel 1979.
Il territorio del Parco Marino Protetto di Miramare e della Costiera di Trieste, abbraccia ambienti carsici e marino-costieri di grandissimo interesse naturalistico.
Dopo pochi km raggiungo un luogo che riporta la memoria a tristi vicende storiche: il Sacrario di Redipuglia.
Detto anche “Sacrario dei centomila” perché custodisce i resti di 100.187 soldati italiani caduti durante le tragiche battagli.
Un brivido mi corre lungo la schiena pensando a quei poveri soldati, alcuni ragazzi di 16 anni, andati a combattere per difendere i confini della Patria, e il ricordo è ancora più intenso quando penso a mio nonno che fortunato, fece ritorno a casa, ferito ma salvo.
Redipuglia è sicuramente un luogo da visitare per comprendere maggiormente l’assurdità della guerra e la barbarie umana.
Il viaggio prosegue ed entro in Slovenia a Nova Gorica la Gorizia slovena, nel territorio delle Alpi Giulie che dal 2003 l’UNESCO ha inserito nelle Riserve della Biosfera.
Le Alpi Giulie, sono anche l’anima del fiume Isonzo, più volte indicato come il fiume più bello del mondo. Lungo 136 km, le sue acque color smeraldo disegnano un verde percorso che si arresta su spiagge di sabbia bianchissima.
Da Nova Gorica raggiungo un altro luogo significativo: Caporetto. Qui un bellissimo e curato museo racconta quella “inutile strage” come venne definita la prima guerra mondiale.
Proseguendo il viaggio, ecco prima vera salita, il primo vero esame: il Passo Predil, 17 km con pendenza media del 9% in mezzo ai boschi di larici con squarci sulle montagne circostanti del Parco nazionale del Triglav: un puro spettacolo.
E’ uno dei pochi valichi alpini politicamente invertiti rispetto alla loro geografia naturale: infatti il lato facente parte della regione fisica italiana è amministrativamente sloveno e quello opposto appartiene allo Stato Italiano.
Dal Passo Predil rientro in Italia attraversando il Parco Naturale Foresta di Tarvisio che con i suoi 24.000 ettari, costituisce la più grande foresta demaniale d’Italia.
La strada mi porta in Carinzia, la regione austriaca meridionale al confine tra Italia e Slovenia e considerata una delle zone montane più interessanti delle Alpi orientali.
Qui si trova un’altra salita: San Stefan in Gail sulle Alpi della Gail, un gruppo montuoso lungo ben 100 km.
Da Hermagor, cittadina austriaca del distretto della Carinzia rientro in Italia attraverso il Passo di Pramollo noto per il suo importante comprensorio sciistico, il più grande della Carinzia e meta turistica grazie ai panorami che da questo Passo si possono osservare.
Una vera salita di 11 km con pendenza media del 13% e punte del 16%, il peso del carrello (35 kg.) si sente, eccome se si sente!!! Ancora una volta mi rendo conto della tanta determinazione che occorre avere per affrontare una traversata come questa.
Sul colle un bellissimo lago fa da cornice al classico paesaggio alpino. In questa lunga traversata non solo Passi Alpini “famosi” ma salite poco conosciute e altrettanto spettacolari come il Passo Cason di Lanza che mette in comunicazione la conca di Paularo con la Val Pontebbana.
Inizio la salita e dopo circa un km la sorpresa: il cartello indica “PASSO CHIUSO” !!!
Immaginatevi il mio stupore…. Chiedo informazioni a un’abitante del luogo che mi dice: “ci sono delle frane ma in bici dovresti riuscire a passare” il ‘’dovresti riuscire’’, mi mette qualche dubbio e un po’ di apprensione, chissà cosa troverò lassù…
Tornare indietro vorrebbe dire fare un giro lunghissimo quindi decido di proseguire. La strada è strettissima, il fondo stradale è sconnesso e man mano che salgo le pendenze si fanno sempre più impegnative con tratti al 15-16%.
In certi punti l’asfalto è sprofondato formando dei veri e propri scalini di 20 cm che mi costringono a scendere dalla bici e spingerla per superare gli ostacoli.
A 3 km dalla vetta un cartello avverte “strada chiusa causa frane imminenti”. Con un po’ d’ansia continuo a salire con la speranza che la frana non decida di staccarsi proprio mentre transito.
La strada è sempre più impraticabile per via dell’asfalto che anche qui ha formato gradini e crepe. Non riesco a pedalare e così continuo a spingere il mio carico sentendo la schiena che scricchiola ma continuo a tenere duro.
Il colle è oramai in vista, il peggio è passato!!! Sul colle un margaro, vedendomi arrivare col mio carico, mi offre un caffè e mi spiega che la discesa è ‘’brutta’’ effettivamente ha ragione, è ripida, stretta e alquanto dissestata che mette a dura prova le braccia, la bici e il carrello…
Il giorno seguente è la volta del ’’Kaiser’’ ovvero lo Zoncolan una delle salite più dure d’Europa…
Pensare di salirlo con tutto il carico, mi terrorizza, ma la sfida deve continuare ed eccomi pronto. Utilizzo il massimo rapporto che ho a disposizione, la salita è una vera e propria tortura, è già impegnativa normalmente figuratevi con 35 kg da trainare…
I km finali sono un vero e proprio calvario con pendenze del 20% che mi mandano fuori giri; una fatica inverosimile, mi passa di fianco un capriolo, agile ed elegante, come lo invidio… l’ultimo km lo percorro a piedi, le forze sono al lumicino, in compenso il paesaggio è stupendo.
Finalmente la cima!!! L’emozione è così grande che la fatica e la stanchezza spariscono.
In Cima alcuni motociclisti meravigliati mi chiedono come ho fatto a salire fin lassù…e poi vedendo l’altimetria dell’intera traversata, rimangono senza parole… e scattano alcune foto per immortalare questo incontro unico.
Ogni giorno che passa mi avvicino alle Dolomiti che con la loro maestosità distolgono il mio sguardo giustificando così le numerose soste per le foto e le riprese filmate.
In questo lungo viaggio non solo sportivo, non poteva mancare un luogo ricco di significato: le sorgenti del Piave.
Per raggiungerle bisogna percorrere 9 km. di pura fatica; anche qui le pendenze sono micidiali, toccano il 16%. Salendo canto e fischietto quel motivo tanto caro agli italiani “La leggenda del Piave”.
Ai piedi del Monte Peralba, una costruzione in pietra indica esattamente dove nasce il fiume, a 1830 metri di altitudine.
Intorno alle sorgenti è stato costruito un cippo con in cima un elmetto dei fanti italiani, che ricorda che qui nasce quel fiume che è stato anche chiamato “il fiume rosso o fiume di sangue” per le tristi vicende della ‘’Grande guerra’’.
Attraverso una divertente discesa, giungo a Cima Sappada dove mi concedo una visita a questa borgata, una della più importanti realtà turistiche delle Alpi dolomitiche.
Grazie alle caratteristiche architettoniche delle case costruite con l’antica tecnica del blockbau e alle strutture mantenute nei decenni, come l’antica Latteria, l’affumicatoio, ecc. questa Borgata racconta uno scorcio molto caratteristico ed autentico della vita di un tempo.
Altro Passo, quello di Monte Croce Comelico dove entro in Val Pusteria attraversando località molto note come San Candido e Dobbiaco.
Utilizzato come valico alpino fin dai tempi immemorabili; nella prima guerra mondiale il Passo segnava il confine tra l’Italia e l’impero austro-ungarico, mentre nella seconda guerra mondiale aveva il compito di impedire l’invasione nazista in Italia.
Mi trovo nel bel mezzo delle Dolomiti, dal 2009 Patrimonio mondiale dell’Umanità UNESCO.
Pareti, torri, guglie e creste costituiscono un’attrattiva irresistibile per chiunque ami la montagna, caratterizzate da una particolare conformazione che le fa più chiare e monumentali di qualsiasi altro rilievo.
Da Dobbiaco entro nel Parco Naturale Tre Cime di Lavaredo.
La scalata alle Cime di Lavaredo rappresenta un’esperienza indimenticabile per ogni ciclista, sia per le difficoltà tecniche che per le splendide forme delle tre vette che si ergono eleganti sfiorando i 3.000 m di altezza su un grande piedistallo di ghiaia.
Guardo l’altimetria e vi confesso che sono un po’ preoccupato, la cartina segna pendenze verticali che indicano dei tratti al 20%.
La salita ha inizio dal lago di Misurina – definito “la perla delle Dolomiti”, e termina al Rifugio Auronzo a quota 2.320 metri. La sfida inizia: 7 km che mettono a dura prova gambe e polmoni; guardo l’inclinometro, non scende mai sotto il 10% e sono sopra ai 2000 metri di altitudine, dalle auto che mi sorpassano, incitazioni e un applausi…. che soddisfazione.
I km scorrono lenti, alzo gli occhi e vedo che la strada si inerpica difronte a me e mi chiedo “ma devo salire fin lassù?”
Il paesaggio è talmente straordinario che la fatica passa in secondo piano, vedo la sagoma del Rifugio Auronzo che si avvicina, ciò significa che l’arrivo è vicino. Anche questa salita è domata e le Tre Cime, dalla loro maestosità sembrano sorridere e applaudire alla mia fatica.
Qui arriva gente da tutto il mondo e tutti sono incuriositi dalla mia traversata, e dal peso che mi traino.
Il giorno seguente faccio riposare le ruote della mia bicicletta per concedermi il grandioso itinerario attorno a questi monumenti di roccia. Un escursione di 4 ore per ammirare da tutti i lati queste montagne uniche al mondo.
Il tempo è splendido ma durerà poco. Alla sera si scatena l’inferno: un violentissimo temporale scarica pioggia e grandine ricoprendo le montagne di una coltre bianca mentre cascate d’acqua scendono rovinosamente a valle provocando numerose frane che interesseranno anche la viabilità locale. Il vento è violentissimo ma la bici e il carrello resistono anche a questa terribile prova.
Il mattino seguente riparto, scendo a valle tra una frana e l’altra, l’asfalto in alcuni tratti è ricoperto di pietre e ghiaia che purtroppo per ben due volte forano i copertoni del mia due ruote…il temporale della notte è stato veramente violento.
In pochi km risalgo al Passo Tre Croci. Sul colle sono state erette tre grandi croci che ricordano una tragedia avvenuta nel febbraio del 1789: una madre con i suoi due figli, partiti da Auronzo di Cadore alla volta di Cortina d’Ampezzo in cerca di lavoro, morirono per assideramento nelle vicinanze del passo.
Scendo verso Cortina d’Ampezzo definita la “Regina delle Dolomiti”: in effetti la posizione in cui Cortina è collocata è tra le più suggestive che si possano immaginare a ridosso di montagne davvero spettacolari.
Cortina è anche attraversata dalla Grande Strada delle Dolomiti che senza dubbio è un’opera che ha contribuito in maniera determinante allo sviluppo turistico di questa magnifica zona delle Alpi.
Tutto ebbe inizio nel 1897, quando il Club Alpino austro-tedesco, sosteneva con forza la realizzazione di una carrozzabile fra Bolzano e Cortina.
I lavori iniziarono nel 1901 e furono necessari otto anni per portare a compimento l’opera.
Theodor Christomannnos, lungimirante pioniere del turismo, aveva lanciato il motto: “Senza strade nessun hotel, senza hotel nessuna strada”, e così lungo il percorso furono costruiti ospizi e alberghi.
Si può dunque affermare che se le Dolomiti sono diventate una delle destinazioni più amate delle Alpi il merito è anche della nascita di questa strada.
E’ la volta del Falzarego uno dei più famosi passi dolomitici. La salita non presenta difficoltà particolari se non per la lunghezza, che è di oltre 15 chilometri.
Incastonato nel cuore delle Dolomiti, ai piedi del Lagazuoi, il passo e le sue terre ricadono nel territorio delle Dolomiti Orientali di Badia, nella provincia di Belluno in Veneto.
La fama del Falzarego è legata alla storia del ciclismo infatti su questo Passo nel 1946 per la prima volta Fausto Coppi vinse su Gino Bartali.
Altro Passo ricco di suggestioni e di storia, è il Passo Pordoi la “Cima Coppi” per eccellenza in un paesaggio a dir poco straordinario.
La strada si inerpica in 9 km attraverso 33 tornanti in mezzo a prati e pascoli dominati dalle pareti dolomitiche del Gruppo del Sella.
Tra gli anni Quaranta e gli anni Cinquanta il Pordoi salì prepotentemente alla ribalta delle cronache ciclistiche diventando una delle salite più significative nella storia del Giro d’Italia, e fu Fausto Coppi a onorare più di qualsiasi altro questa montagna, transitando quasi sempre per primo sulla cima, come ricorda il monumento a lui dedicato.
Per chi ama il ciclismo questo è un luogo in cui ci si deve recare almeno una volta nella vita.
“Alps, pedalando tra le aquile” continua la sua avventura tra nuove salite e nuove emozioni, altra tappa fondamentale è il Passo Fedaia.
Da Canazei al passo, la strada sale in 14 Km con una pendenza media del 6,5% con un tratto di 4 Km all’ 8,1% che si conclude a mezzo chilometro dal termine della salita.
L’area è caratterizzata dall’imponente bacino artificiale lungo quasi 2 km. Il Passo Fedaia è al cospetto del ghiacciaio della Marmolada, la vetta più alta delle dolomiti.
Giunto al Passo, sosto per la notte al rifugio Fedaia e il giorno seguente su una moderna funivia salgo ai 3265 mt della Marmolada; questa è la montagna con l’unico ghiacciaio rimasto in questo gruppo montuoso.
Dalla terrazza panoramica di Punta Rocca si può godere di una bellissima vista a 360° sulle Dolomiti.
Poi attraverso una delle tante vie ferrate presenti nel territorio, sono andato a vedere una “prima linea” del fronte italiano nella ‘’Grande Guerra’’: il Fortilizio Italiano di Punta Serauta che comprende posti di comando, osservatori, postazioni, ricoveri, baracche, trincee e camminamenti realizzati dai soldati italiani.
A Punta Rocca si trova anche la ‘’Grotta della Madonna’’: una caverna simile a quelle che i soldati scavarono negli anni 1916-1917 per ripararsi dalle intemperie e dal nemico. La grotta-cappella, simbolo di pace, ospita la statua della Madonna donata e consacrata da Giovanni Paolo II, in occasione della sua visita sulla Marmolada il 26 agosto 1979.
Con il Passo di Costalunga lascio le Dolomiti e termina questa prima parte del viaggio. Nelle immediate vicinanze del Passo si trova il lago di Carezza una gemma incastonata nella foresta, noto per i suoi meravigliosi colori, è una delle mete turistiche classiche del Trentino.
Anche al lago Carezza come in altre zone del Trentino, Alto Adige e del Veneto, il 30 ottobre 2018 più di un milione e mezzo di metri cubi di foresta sono stati abbattuti in 24 ore. Il vento e la pioggia hanno devastato intere foreste e, boschi plurisecolari che sono stati rasi al suolo da raffiche di vento fino a 150 km orari, con vortici e trombe d’aria che hanno mutato significativamente il paesaggio. Una vera e propria ecatombe.
Una veloce discesa verso Bolzano dove imbocco la “Ciclabile dell’Adige”, che segue l’antico percorso della Via Claudia Augusta e attraversa tutta la Val Venosta, congiungendo tutti i paesi della valle.
Una ‘’ciclabile’’ straordinaria che permette di pedalare in massima tranquillità e sicurezza godendosi appieno il paesaggio e i frutteti circostanti.
Sono nel Parco Nazionale dello Stelvio il più vasto ed interessante territorio protetto di tutte le Alpi che comprende l’intero massiccio montuoso dell’Ortles – Cevedale.
Attraverso la Valle di Trafoi mi ‘’arrampico’’ lungo i 48 tornanti che si inerpicano verso il cielo per raggiungere in 26 km i 2760 metri del Passo dello Stelvio.
E’ impressionante vedere questa strada che aggrappata alla montagna permette di raggiungere la cima e sembra impossibile poter salire attraverso quella serpentina di asfalto. Una salita entusiasmante che culmina con l’emozione di arrivare su uno dei Passi più alti d’Europa, un luogo dove sono state scritte pagine leggendarie della storia del ciclismo.
Ma la storia della strada è affascinante quanto le sue alture; fu Francesco II d’Asburgo a commissionare una nuova via che potesse collegare Milano con la Val Venosta e quindi con Vienna.
Nel corso dei secoli successivi, il Passo è stato teatro del passaggio di diligenze – anche in pieno inverno grazie a un incredibile servizio di spalatori.
Dopo le foto di rito, giù in discesa a rotta di collo fino a Bormio, punto di partenza per un’altra salita mitica: il Gavia.
Nella notte un forte e violento temporale ha provocato numerose frane su tutto il territorio e quando mi accingo a iniziare la salita una brutta sorpresa: il Gavia è chiuso!
Sopra Santa Caterina Valfurva si è staccata l’ennesima frana. Una transenna con una ordinanza e la presenza della Polizia Locale mi tolgono ogni speranza; non mi sanno indicare quando la strada sarà nuovamente percorribile.
A malincuore mi tocca tornare indietro, ma il mio pensiero è già proiettato al mitico Mortirolo.
Conquistarlo è l’obiettivo di ogni ciclista. Dopo la sua scoperta al giro d’Italia del 1991 è diventata una delle salite più famose d’Italia. I numeri parlano chiaro: pendenza media oltre il 10% e punte che sfiorano il 20%.
Anche qui un’altra frana, ma per fortuna, un ciclista del posto, mi indica una strada forestale che mi porta più in alto del tratto di salita interrotto. Con decisione aggredisco questi veri e propri muri di asfalto e con la grinta che ha caratterizzato su questa salita Marco Pantani in una delle sue imprese più significative, salgo chilometro dopo chilometro.
Salendo mi chiedo: “Chi è quella persona che ha progettato una strada così ripida? Sicuramente non amava i ciclisti!!”.
Verso il nono Km finalmente le pendenza sono “normali” ma prima di cantare vittoria mi aspettano ancora due strappi sopra il 15% che fanno ancora molto male.
Quindi ecco l’ultimo chilometro: è tra i più belli, prima di tutto c’è un cambio totale dell’ambiente si esce infatti dal bosco e ci si ritrova in mezzo ai prati, e poi per l’asfalto che è tappezzato di scritte inneggianti ai ciclisti fino alla vetta. Anche questa “bestia nera” è domata.
Aldilà delle difficoltà questo Passo si trova in un ambiente alpino di grandi suggestioni; al rifugio Albioni appena sotto la vetta, mi concedo una meritata pausa con un buon caffè e degli ottimi pasticcini offerti dai gestori, persone simpatiche e accoglienti.
Sceso al paese di Tirano, risalgo la Valtellina verso i 2330 metri del Passo Bernina, 34 km, in una valle incantevole con panorami spettacolari sul ghiacciaio del Bernina
La pendenza media della salita è del 7,5%, la pendenza massima è dell’9,5% per un dislivello complessivo che supera i 1890 metri.
Interminabile!!! Questo è l’aggettivo per descrivere meglio la salita verso il Bernina: tanti chilometri con pendenze costanti e impegnative soprattutto nella seconda parte; insomma, è uno di quei passi da non prendere tanto alla leggera.
Entrato in Svizzera, La strada costeggia la linea ferroviaria del caratteristico trenino del Bernina e in alcuni tratti devo prestare la massima attenzione perché i binari passano direttamente sulla strada.
In prossimità del Passo si trova il lago Bianco il piccolo lago della Crocetta accanto al quale fu costruito nel 1879 l’Ospizio, oggi riadattato come albergo e ristorante. Il panorama è straordinario sono circondato dalle vette innevate del gruppo Bernina.
Dall’Ospizio raggiungo la stazione ferroviaria del famoso trenino rosso che qui tocca il punto più alto del percorso.
Questa è la ferrovia più alta d’Europa costruita all’inizio del ‘900 da oltre 2000 operai in gran parte italiani, dal 2008 è stata inserita dall’Unesco fra i patrimoni mondiali dell’Umanità per i suoi capolavori di ingegneria, come il viadotto elicoidale di Brusio.
Un giorno ininterrotto di pioggia mi costringe a fermarmi e il mattino seguente parto alla volta dello Julierpass; vento, pioggia gelida e nebbia mi accompagnano per tutta la salita.
Nonostante l’abbigliamento impermeabile, il vento gelido trova il modo di infilarsi e farmi tremare, ma ci vuole ben altro per fermarmi e quando arrivo sul Passo, a causa della fitta nebbia quasi non vedo il cartello che indica i 2284 metri di altitudine.
Storicamente il passo ha avuto grande importanza fin dall’epoca romana, da cui chiaramente ha ricevuto il nome, quando rappresentava uno dei principali attraversamenti delle Alpi centrali.
La sua vicinanza con Saint Moritz, lo rende un valico di grande passaggio grazie anche al fatto che è aperto durante l’inverno.
Ora non si sale più, ma la discesa con la strada viscida sulla quale si riversano rivoli d’acqua non è certo facile, prudenza !!! I 35 kg del carrellino spingono e occorre frenare con molta accortezza, una caduta oggi proprio non ci vuole.
Raggiunto il fondovalle il tempo migliora così vado a visitare la ‘’Viamala’’, una delle gole più impressionanti della Svizzera, delimitata da pareti rocciose alte fino a 300 metri.
La discesa di 359 gradini e l’antico ponte del 1739, fanno addentrare gli escursionisti nel profondo della mistica gola che in alcuni punti ha un’ampiezza di solo pochi metri.
Dalla galleria della gola è possibile ammirare le “marmitte d’erosione”, interessanti giochi di pietra prodotti dall’incessante levigatura del fiume.
Se non avete mai visto un faro marino a 2046 metri su un Passo Alpino allora dovrete venire all’Oberalp Pass. Non è uno scherzo, è proprio così; si tratta di una attrazione turistica che richiama curiosi, motociclisti, ciclisti e semplici turisti.
Altra salita: il Furkapass che rientra tra i passaggi alpini più imponenti della Svizzera e che con i 2431 metri, è uno dei valichi alpini più alti della Svizzera.
Mentre affronto i numerosi tornanti il mio sguardo spazia sulle montagne circostanti e sul massiccio del Gottardo e sul ghiacciaio del Rodano o perlomeno ciò che ne rimane.
La strada costruita per motivi militari ed aperta nel 1866 favoriva i movimenti delle comunità Walser e consentiva svariati rapporti commerciali tra il Vallese, e i Grigioni.
Successivamente con la fioritura del turismo alpino nel XIX secolo la regione del Furka divenne un paradiso turistico, ed è sorprendente quanti hotel siano sorti all’epoca sui 43 km molti dei quali esistono ancora oggi.
Immediatamente, senza un metro di pianura la strada risale, altri 6 km per raggiungere il Grimsel Pass, una delle zone più ricche di minerali della Svizzera, salgo su una strada ben costruita con lunghi tornanti dai quali si gode di un’ottima vista sul Ghiacciaio del Rodano e sul Passo della Furka.
Un tempo uomini e muli trasportavano in Piemonte il formaggio svizzero, che i piemontesi scambiavano con vino, riso, mais e cuoio; la consegna avveniva spesso nel vecchio ospizio di questo passo.
Sceso a Innertkirchen, sono entrato nella regione dell’Oberland, mentre all’orizzonte si stagliano le vette del massiccio dello Jungfrau con la montagna più famosa: l’Eiger
Gli impressionanti paesaggi della regione Jungfrau-Aletsch hanno svolto un ruolo importante nella letteratura, nell’alpinismo e nel turismo alpino; spettacolari catene montuose, vallate intatte e il più grande ghiacciaio delle Alpi sono in perfetta simbiosi con la natura che li circonda. Per queste caratteristiche, è stato il primo sito delle Alpi incluso nel Patrimonio mondiale dell’UNESCO.
Nel fondovalle si trova Meiringen la storica località dove è nata la meringa, questo famoso dolce che ha conquistato il mondo intero.
Dalla cittadina parte la strada verso lo spettacolare passo di Grosse Scheidegg; la salita è accompagnata da splendidi panorami sulla valle sottostante, per poi entrare in un fitto bosco con pendenze decisamente elevate attorno al 11% fino alle Reichenback Fall, le famose cascate ove il romanziere Conan Doyle ambientò la scena dell’assassinio del suo noto personaggio Scherlock Holmes.
La strada continua a salire con pendenze modeste sino al piazzale di Schwarzwaldalp dove termina il tratto aperto alle auto.
Da qui in poi possono circolare solo i bus locali, le bici, i pedoni e le mucche; attenti alle mucche che si spostano da un prato all’altro proprio sulla tranquilla strada…
Subito mi trovo ad affrontare un micidiale chilometro la cui pendenza media è del 12% con tratti al 15%: è il punto più duro della salita, che successivamente continua con pendenze meno ripide ma comunque del tutto rispettabili sempre attorno al 8,5-9% sino alla vetta.
La salita si conclude dopo 16 km sul piazzale del Grosse Scheidegg. Da qui si apre un bellissimo panorama verso valle, e sui magnifici tre colossi della regione Jungfrau, Eiger e Monch.
Una discesa vertiginosa mi conduce a Grindelwald, la cittadina che si trova in una deliziosa e verdeggiante conca valliva circondata da un imponente scenario montano su cui spicca la parete nord dell’Eiger. Grazie a questo paesaggio e agli innumerevoli punti panoramici, Grindelwald è diventata una delle mete di vacanze ed escursioni più apprezzate e cosmopolite della Svizzera.
Un altro giorno di maltempo mi costringere ad un’altra sosta forzata prima di riprendere il viaggio.
Raggiungo il Lago di Thun, incastonato in uno scenario alpino da sogno e circondato da numerosi accoglienti villaggi, oltre che da affascinanti cittadine come Thun e Interlaken fra le località più famose dell’Oberland Bernese.
Dal lago attraverso il Saanenland, una regione del Bernese raggiungo il valico Saanenmöser.
A pochi km dal passo, visito il villaggio di Saanen, un borgo che ha conservato le caratteristiche di un tempo: strade strette e vicoli fiancheggiati da antiche case in legno che si inseriscono armoniosamente nell’ambiente.
Qui sorge il Parco naturale regionale Gruyère Pays-d’Enhaut in un paesaggio caratteristico di vallate, prati alpini e pascoli, culla degli animali da allevamento come la vacca Simmental e della capra Saanen che insieme all’agricoltura e alla produzione di formaggi contraddistinguono questa regione.
Attraverso la valle del Rodano arrivo nella cittadina di Martigny base di partenza per il Passo del Gran San Bernardo.
Qui visito ‘’Barryland’’ il Museo del Cane San Bernardo, dove si ripercorrere la storia del Colle, dell’Ospizio e dei suoi leggendari animali che qui si vedono e si possono accarezzare.
Il giorno seguente attraverso i 40 km di salita mi dirigo verso il Passo, purtroppo il tempo è inclemente e devo affrontare l’ascesa sotto la pioggia e una nebbia fittissima che rendono tutto più difficile.
Poco dopo Bourg-St-Pierre, la strada abbandona quella del tunnel e affronto gli ultimi sei difficili chilometri sulla ‘’strada storica’’ fino alla cima.
Fin dai tempi dell‘Impero Romano, il valico costituisce una importante via di comunicazione attraverso le Alpi e intorno all’anno mille fu eretto un Ospizio gestito da una congregazione di monaci, allo scopo di ricoverare, assistere e proteggere i numerosi viaggiatori, tra i quali i pellegrini che percorrevano la Via Francigena; l’Ospizio del Gran San Bernardo, situato oggi in territorio svizzero, è affacciato su un piccolo lago dominato dalla statua del Santo patrono degli alpinisti.
Qui erano allevati i famosi cani San Bernardo, dapprima per il trasporto di carichi ed in seguito, anche come cani da valanga.
Lunga discesa verso Aosta e dal capoluogo attraverso la valle del Monte Bianco salgo verso Courmayeur, la capitale turistica della regione che sorge alle falde del massiccio.
Poco sopra l’abitato di Courmayeur raggiungo l’avveniristico Skyway Monte Bianco, la nuova Funivia che rappresenta una vera e propria meraviglia tecnologica e che in pochi minuti, mi conduce ai 3.466 metri di Punta Helbronner, nel cuore del maggiore massiccio delle Alpi, insomma un vero e proprio percorso verso le nuvole ed il cielo.
Dalla terrazza panoramica si possono ammirare le vette del Monte Bianco e del Dente del Gigante, la cresta di Peuterey e l’himalayano circo glaciale della Brenva: un’esperienza davvero indimenticabile.
Da Morgex mi attende una delle salite più ardue e famose della Valle d’Aosta: il Colle San Carlo. 10 km veramente impegnativi con una pendenza media del 10% e tratti al 15% che ne fano una delle salite più impegnative dell’arco alpino. E’ indispensabile trovare il ritmo giusto per non andare ‘’fuori giri’’.
La strada è ampia e risale con numerosi tornanti le boscose pendici della Testa d’Arpy: l’ombra non manca ed i panorami sul fondovalle e sul gruppo del Monte Bianco sono stupendi.
Veloce discesa e poi risalgo verso il valico del Piccolo San Bernardo, che collega la valle di La Thuile con al Val d’Isere, uno dei Passi storicamente più frequentati delle Alpi già utilizzato in età preistorica.
Il percorso è sostanzialmente agevole, privo di pendenze particolarmente impegnative; ma un gelido vento contrario rende più difficile questa ascesa, in cima la temperatura è di soli 5°.
Caratteristica è la statua di San Bernardo da Mentone che proprio sul Colle fondò il primo ospizio destinato ad assicurare la protezione dei viandanti.
All’inizi del ‘900 le Alpi Francesi erano una zona isolata e poco aperta al mondo, e così si decise di costruire una via di comunicazione che permettesse non solo agli abitanti delle montagne un’apertura verso il mondo esterno, ma anche l’opportunità di scoprire le bellezze di queste montagne creando così lo sviluppo del turismo. Nacque così la Route des Grandes Alpes.
I lavori terminarono nel 1937 con la costruzione del valico alpino del Col de l’Iseran uno dei più alti valichi stradali più alti d’Europa, un mostro sacro che non poteva assolutamente mancare nella traversata delle Alpi.
Partito dagli 840 metri di Bourg Saint Maurice, ho percorso l’intera Val d’Isere, ben 40 km di salita per raggiungere i 2770 metri del Col d’Iseran.
E’ una classica salita francese, di quelle non durissime come pendenza, ma che non mollano mai e che si protraggono per tantissimi km e che hanno messo a dura prova le gambe e i polmoni anche perché sopra i 2000 metri la scarsità di ossigeno ha reso ancora più impegnativa l’ascesa.
Ma vale la pena salirci: già dai primi tornanti ammiro un bellissimo panorama e spesso intravedo le marmotte rincorrersi tra i massi.
L’arrivo al colle e da brivido non per il freddo ma per l’emozione di averlo conquistato, il panorama è grandioso: in ogni direzione cime altissime e ghiacciai eterni si ergono nel loro maestoso splendore.
Il tempo di cambiarmi, mangiare qualcosa, bere un caffè, le foto di rito e via, giù verso S. Michel de Maurienne dove imbocco la strada verso un altro ‘’gigante’’ il Galibier.
L’ascesa completa comincia a ai 710 metri di Saint Michel de Maurienne nell’omonima valle, e include il Col du Télégraphe.
L’intera ascesa misura in tutto 35 chilometri, compresa la discesa di 5 chilometri, che dalla cima del Télégraphe porta fino a Valloire, da dove la strada riprende a salire verso il Col du Galibier.
Il Col du Télégraphe già di per sé costituisce una salita di tutto rispetto; pur non essendo mai proibitiva richiede una certa cautela nell’affrontarla. Oltre alla lunghezza ragguardevole – sono poco meno di 12 chilometri- presenta una pendenza media già impegnativa, superiore al 7%; ma è soprattutto l’abbinamento con il Galibier a renderla più impegnativa.
La strada si inerpica in un paesaggio particolarmente austero, quasi desolato, se non fosse per i massicci montuosi imponenti, bellissimi, che insieme alle nubi fanno da sfondo all’ultima parte dell’ascesa, che si mostra qui in tutta la sua asprezza, tornante dopo tornante, fino all’ultima impennata finale, proprio sotto il passo.
Pur essendo severe, le pendenze non sono proibitive in assoluto, ma è la stanchezza accumulata nel corso giorni precedenti e il peso del carrello (35 kg.) a renderle in qualche modo micidiali, anche perché fino alla fine non c’è possibilità di recuperare e lo sforzo diventa sempre più estenuante.
A un chilometro dalla vetta si trova il tunnel che porta le auto direttamente dall’altra parte, verso il Col du Lautaret.
Io invece continuo a salire verso l’ultima terribile impennata, con tre tornanti ravvicinati e assai ripidi: qui le pendenze diventano asfissianti, le forze sono al lumicino e finalmente, dopo l’ultimo tornante, intravvedo il cartello del Passo e tra applausi e complimenti arrivo in cima.
La soddisfazione è immensa tantissimi ciclisti e motociclisti mi chiedono della traversata e molti i complimenti, i ‘’bravò’’e ‘’superb’’ sono le parole che mi vengono rivolte oltre alle strette di mano e pacche sulle spalle.
Questa salita non solo mi ha messo a dura prova ma mi ha creato una grande emozione pensando a quel 27 luglio 1998 quando il grande Marco Pantani proprio su queste rampe si prese la maglia gialla che portò fino a Parigi siglando una annata straordinaria: Giro e Tour.
Anch’io, attraverso la traversata delle Alpi ho scritto nel mio piccolo una pagina di storia su questa montagna.
La storia ciclistica del Galibier comincia agli albori delle prime grandi corse a tappe, il primo passaggio del Tour de France risale infatti al 10 luglio del 1911.
Altro mostro sacro è il mitico Col d’Izoard; anche su queste rampe un altro ricordo indelebile mi accompagna ed è quello legato alla Cuneo-Pinerolo del 1949 che consacrò definitivamente il campionissimo Fausto Coppi.
Ma oggi 17 agosto 2019, dedico questa mia fatica ad un grande campione che ci ha lasciato: Felice Gimondi, un grande uomo che con le sue vittorie, la sua professionalità, serietà e gentilezza mi ha insegnato ad amare questo straordinario sport.
Inizio la salita dalla storica città di Briançon, patrimonio mondiale dell’umanità dall’UNESCO.
La strada si inerpica con impegnative pendenze e prosegue in tutta la valle d’Izoard fino a le Laus dove una serie di tornanti con ripide pendenze consentono di guadagnare quota fino al rifugio Napolén dove su ultimo tratto in una conca di grandiosa bellezza si raggiunge il celebre valico.
Sul Colle sorge l’obelisco commemorativo che ricorda l’apertura della strada nel 1934.
Scendendo, a circa 1 km. si erge in tutta la sua struggente bellezza la Casse Deserte, paesaggio lunare con rocce di una straordinaria forma e colore. Qui due lapidi ricordano Fausto Coppi e Louison Bobet, due giganti del ciclismo.
Il Col d’Izoard si trova nel Parc Naturel Régional du Queyras, uno di quei piccoli, meravigliosi segreti che la vecchia Europa riesce ancora a regalarci attraverso i suoi villaggi-gioiello e le sue valli coperte di pini e larici che in autunno si infiammano offrendo visioni canadesi.
Continuo questa lunga cavalcata che attraverso il Colle dell’Agnello, che per alcuni giorni mi porterà in Italia.
Di questo valico che con i suoi 2.744 metri è uno dei più alti d’Europa, si hanno notizie a partire dal XVII secolo, quando la strada era principalmente utilizzata per consentire ai pastori del luogo di commercializzare il proprio formaggio raggiungendo i maggiori mercati locali.
Questo territorio grazie a una grande varietà di ecosistemi tra cui del Monviso e il bosco dell’Alevè la più vasta estensione di pino cembro d’Europa, è stata inserita nelle Riserve della Biosfera UNESCO.
La lunga traversata delle Alpi prosegue con il Colle di Sampeyre che collega la Valle Varaita con la Valle Maira.
La salita è incredibilmente precisa e regolare: 16 km con una pendenza costante attorno all’ 8%. Il fondo stradale è pessimo, con numerose buche alcune anche profonde; bisogna prestare molta attenzione!
Sul passo si gode un bellissimo panorama sui monti della Valle Maira, della Valle Varaita sul vicinissimo Pelvo d’Elva ed a nord sul maestoso Monviso.
In questo lembo di terra, e in altre undici valli in Piemonte addossate alle Alpi italo-francesi, si parla la lingua occitana con cui i Trovatori del medioevo modellarono i loro versi poetici ammirati da Dante Alighieri che, nella Divina Commedia, non esitò a introdurre alcuni versi occitani.
Queste valli così vicine al mare, sono per usanze e per tradizioni migratorie, e sono anche il luogo in cui la civiltà alpina e quella mediterranea si incontrano.
Sceso nel fondovalle, entro nel vallone di Marmora attraverso una stretta strada che si snoda ai piedi di pareti dirupate e conduce ai Colli d’Esischie e Fauniera.
Qui è possibile rendersi conto delle particolarità della vita in montagna, della presenza al passato e talvolta anche al presente di mestieri e di attività lavorative legate all’agricoltura alla pastorizia e all’artigianato.
Poco distante dalla carrozzabile del colle d’Esischie su un ripiano fra larici e distese prative, si incontra il Lago Resile, un piccolo lago di origine glaciale che costituisce uno dei punti più caratteristici della Valle Maira.
Il tracciato raggiunge la testata della valle, dove in una moderna malga, vengo accolto dai margari del luogo che mi offrono un budino preparato con il latte delle loro mucche. Una bella chiacchierata e riparto per gli ultimi 3 km che con una pendenza intorno all’8% raggiungono il Colle d’Esichie.
Qui gli organizzatori della granfondo Fausto Coppi hanno posizionato un cippo in ricordo del passaggio della corsa.
Questo colle mette in comunicazione il vallone di Marmora, il Vallone dell’Arma (valle Stura) e la Valle Grana, patria del famoso formaggio “castelmagno”.
Un chilometro emmezzo di salita e si arriva ai 2481 metri del Colle Fauniera.
Questo colle è stato scalato una volta al Giro d’Italia del 1999 nella tappa vinta dal bergamasco Paolo Savoldelli che realizzò un’impresa memorabile nella discesa dal Colle Fauniera.
In quell’occasione Marco Pantani scattò in salita, conquistando al termine della tappa la maglia rosa, un’impresa rimasta negli annali della corsa rosa, ricordata con un monumento in pietra posto proprio sulla sommità del colle.
La discesa dal Fauniera attraverso il Vallone dell’arma, mi porta nella Valle Stura fino all’abitato di Vinadio dominato dal forte albertino. Questo forte insieme a quelli di Fenestrelle e Exilles, è una delle strutture difensive più importanti del Piemonte e d’Italia.
Da questo grazioso paesino imbocco la strada verso i 2035 metri del Santuario di Sant’Anna di Vinadio; di qui inizia la salita di 16 km e 1100 metri di dislivello, su una bella e panoramica strada attraverso un paesaggio di alta montagna. Gli ultimi due km sono i più impegnativi dove le pendenze sono più severe con punte che arrivano al 15%.
Il Santuario di Sant’Anna è uno dei Santuari più alti d’Europa ed è luogo di culto e pellegrinaggio molto frequentato e suggestivo in splendida posizione panoramica.
Qui vengo accolto amichevolmente dal Rettore del Santuario che mi ha salutato ufficialmente durante la Messa facendomi gli auguri per il prosieguo della mia avventura.
Due km di discesa e poi ricomincio a salire verso il Colle della Lombarda; 6km con una pendenza media del 7,7% fino allo splendido Lago d’Origials dove la parte più impegnativa della salita è ormai alle spalle. Gli ultimi 2500 metri sono al 4,5%, una pendenza che mi consente di arrivare in cima senza troppo sforzo e di godermi lo splendido panorama verso valle. Sono a quota di 2350 metri e il colpo d’occhio è davvero eccezionale.
Mi trovo nel Parco Nazionale del Mercantour, uno dei luoghi più selvaggi e al tempo stesso affascinanti della natura provenzale.
E’ un vero paradiso per gli amanti della montagna, ed è l’habitat di diverse specie come l’aquila, marmotte, stambecchi, mufloni, camosci, cervi, daini e lupi.
Dal Colle della Lombarda, una lunghissima discesa di 22 km mi porta al paese di Isola nella valle della Tinee, di qui in leggera salita raggiungo Saint Etienne de Tinee dove inizia la salita al mitico Col de la Bonette.
I primi 10 km hanno una pendenza media del 5%, e sono ideali per scaldare le gambe in vista della parte più impegnativa dell’ascesa.
Salendo la vegetazione si dirada e inizia il segmento con le pendenze più impegnative con un chilometro e mezzo all’8,1% e poi un tratto all’11%.
Negli ultimi 3 km, l’erba lascia il posto alle pietre, il paesaggio si fa lunare, le pendenze aumentano ma la prossimità della vetta moltiplica le forze.
Quando arrivo a quota 2715, la strada in falsopiano permette di respirare, ma per arrivare in cima mancano ancora 800 terribili metri che hanno una pendenza media del 13%. A questo punto, occorre usare di più la testa che le gambe per domare il gigante.
All’arrivo anche qui numerosi ciclisti mi accolgono con applausi e complimenti. La felicità è tale da farmi sparire tutta la stanchezza.
Un monumento indica l’altezza: 2802 metri! Assieme al col de l’Iseran, allo Stelvio e al colle dell’Agnello, è una delle strade più alte d’Europa.
Il paesaggio sembra lunare, qui la montagna infatti è ricoperta da pietrisco scuro, senza vegetazione.
Attraverso una bellissima discesa, arrivo a Barcellonette capitale della valle dell’Ubaye.
Questo grazioso paese, ha l’aspetto di una città del sud della Francia e allo stesso tempo, quello di una città di montagna. Diverse lussuose abitazioni di ispirazione italiana, tirolese e barocca costruite tra il 1880 e il 1930 dagli abitanti di Barcelonette che avevano fatto fortuna in Messico, sono state inserite dallo Stato nell’elenco dei monumenti storici del Paese.
Attraverso la Route des Grandes Alpes proseguo questa lungo viaggio attraverso il Col de la Cayolle, l’ultimo sopra i 2000 metri.
La strada è stretta ma particolarmente suggestiva, un valico alpino che saprà farvi innamorare per il panorama mozzafiato e per l’ambiente davvero unico e caratterizzato da paesini tipici nei quali fermarsi per riposarsi.
Questa lunga cavalcata tra le Alpi, si avvicina sempre di più al mare attraverso il col de la Couillole, il Col St.Martin e il Col de Turini, famoso per la tappa regina del Rally automobilistico di Monte Carlo. Dal colle raggiungo L’Escarène, un’antica città nell’entroterra di Nizza, a metà strada tra il mare e il Parc National du Mercantour. Con le sue piazze, le sue fontane e le case medievali, L’Escarène è il tipico villaggio provenzale.
Infine i colli de l’Orme, il col de l’Ablè, il Col de Braus e l’ultimo, il Col de la Madone.
Una salita ancora poco battuta, un luogo di contrasti tra la roccia, il verde del mare Mediterraneo, e l’aria profumata di fiori; un luogo aspro e solitario.
La vista del mare e il profumo della vegetazione mediterranea mi accompagnano lungo tutto il percorso. La discesa dal versante opposto si affaccia sulla Costa Azzurra per tutta la lunghezza dolce e regolare.
Il lungo viaggio termina nel piccolo Stato del Principato di Monaco dove terminano le Alpi gettandosi nel mare.
La lunga traversata delle Alpi è terminata. 2200 KM. di paesaggi spettacolari, 55 passi alpini scalati, 68.000 metri di dislivello in salita, tra fatica, emozioni, determinazione, tanta forza di volontà e una soddisfazione immensa!
Uno strordinario viaggio che mi ha portato sulle più belle strade delle Alpi, un’avventura, una sfida che in pochi possono permettersi di affrontare.
Certamente ricorderò questa mia avventura anche per i numerosi e affettuosi incontri con ciclisti di tutte le nazionalità e anche i motociclisti che mi hanno sempre incoraggiato, attraverso una parola o un gesto; l’amore per le Alpi e suoi territori non ha confini.
Una vera e propria impresa che voglio dividere e condividere con chi dal primo giorno ha creduto in me e mi ha sostenuto; a partire dal grande Cav. MERLO, sponsor principale della traversata, Denis Conte della Punto Ciclo di Beinette che mi ha preparato la bicicletta in modo impeccabile, la Famiglia Ricca della Thor di Busca, la Confartigianato Ancos, Teresio Panzera che ha trasformato le emozioni nel docu-film, La Stampa media partner dell’evento, il Settimanale Idea, Radio Piemontesound da sempre vicina alle mie avventure e poi un grazie particolare a tutte le persone che con il pensiero e i messaggi mi hanno incoraggiato.
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