Uno studio molto quotato in tema di mobilità leggera indica che il principale deterrente all’utilizzo della bicicletta è la scarsa sicurezza stradale: il rischio di essere coinvolti in un incidente stradale è percepito al punto tale da convincere molti potenziali ciclisti a lasciare a casa la bici per utilizzare anche loro l’automobile.
Anche l’architetto urbanista Matteo Dondè, uno dei massimi esperti in materia di pianificazione della mobilità ciclistica, sostiene che in Italia la percentuale di ciclisti non cresca perché all’interno delle istituzioni manca l’idea della mobilità leggera: le strade sono state realizzate e vengono tutt’ora progettate in funzione dei veicoli pesanti, anziché delle persone.
Questo difetto del tessuto stradale – unitamente al numero spropositato di automobili in circolazione in Italia – causa ogni anno un’enorme quantità di incidenti stradali, da cui derivano costi elevatissimi in termini di vite umane e di spese ospedaliere (nel 2016 si sono registrati circa 249.175 feriti e 3.283 morti, per un costo sociale di oltre 17 miliardi di Euro che ha bruciato circa il 2% del Prodotto Interno Lordo).
Secondo l’architetto Dondè, per risolvere il problema bisognerebbe seguire l’esempio già collaudato da molti altri paesi europei e riqualificare il tessuto urbano a Zone 30, dalle quali derivano diversi benefici che non solo migliorano la qualità della vita dei residenti, ma incrementano anche le vendite dei piccoli edifici commerciali e il valore immobiliare dei condomìni interessati.
Dondè sostiene che in Italia non vi sia richiesta di zone a velocità limitata perché la cittadinanza non sarebbe in grado di percepire i vantaggi che ne derivano. Questi risulterebbero invece evidenti se si avessero a disposizione delle mappe degli incidenti stradali, con cui si potesse fare il confronto tra il numero di sinistri che avvengono in una certa area prima e dopo che quest’ultima è stata trasformata in una Zona 30.
Sfortunatamente però, per quasi tutte le città italiane, i dati georeferenziati degli incidenti stradali risultano irreperibili o protetti da normative che li rendono impubblicabili. Nel tentativo di “liberare” questi dati e di rendere noti i benefici delle zone 30, nel 2018 il giornale online The Submarine ha condotto un’operazione di civic hacking, pubblicando i dati sugli incidenti stradali raccolti da Istat nel 2016 e realizzando delle mappe interattive per Milano, Roma e Napoli.
Utilizzando lo stesso dataset e la stessa metodologia, Bikeitalia aveva generato la mappa degli incidenti stradali di Torino, mostrando pubblicamente quali sono le vie più pericolose del capoluogo piemontese. Attingendo alla cartografia comunale, avevamo inoltre dimostrato che, se l’intera città venisse riqualificata a Zona 30, si potrebbero risparmiare circa 194 milioni di euro ogni anno sulle spese sanitarie e assicurative rivolte alle vittime, ai mezzi e alle infrastrutture coinvolte in incidenti stradali.
La data viz può far cambiare una cattiva pratica? @nelsonmau cita il lavoro di @EasyInve per l’Eco di Bergamo sugli incidenti stradali: dopo la pubblicazione della sua mappa è cambiata la viabilità della città! https://t.co/YFvpvOpf2R #dataviznonprofit pic.twitter.com/CtSHtCkDNV
— Dataninja (@dataninjait) June 16, 2018
La procedura sviluppata da The Submarine aveva però un grosso difetto: era impossibile esportare i dati al di fuori dalla piattaforma di visualizzazione di Google. Questo impediva di rappresentare i dati in maniera più chiara e soprattutto impediva di importarli nei software GIS (Geographic Information System), speciali applicazioni che permettono agli esperti di analizzare a fondo i dati cartografici e di elaborarli per realizzarne speciali rappresentazioni e ricavarne ulteriori informazioni.
Bikeitalia ha affinato la procedura e ha trovato un modo per esportare questi dati, rendendoli così disponibili agli esperti e alle amministrazioni che vogliano utilizzarli ai fini di una pianificazione urbana sostenibile, orientata alla mobilità leggera. Con delle mappe del genere, i tecnici delle amministrazioni comunali potrebbero identificare i punti del reticolo viario in cui si concentra il pericolo, analizzarne le cause e intervenire chirurgicamente per riqualificare e ristrutturare la carreggiata, installando eventualmente degli elementi di moderazione del traffico – quali chicane, strozzature, dossi e attraversamenti pedonali rialzati.
Per troppo tempo le strade del nostro paese sono state costruite tenendo in considerazione solo i mezzi motorizzati, così da originare itinerari pieni di ostacoli e pericoli per tutte le altre utenze stradali e un sistema viabilistico errato alla radice, causa profonda dei tipici problemi delle grandi città quali il traffico, l’inquinamento e soprattutto l’emissione di gas climalteranti.
È arrivato il momento di utilizzare i metodi e gli strumenti scientifici a nostra disposizione per realizzare un reticolo stradale sicuro, sostenibile, inclusivo, che ponga dei limiti alla presenza dei mezzi motorizzati in città e riconsegni la strada alle persone.
Nei prossimi mesi pubblicheremo le mappe degli incidenti stradali delle città italiane più rilevanti.
Ottimo lavoro davvero, complimenti!
Queste informazioni sono preziosissime e dovrebbero capirlo per primi i nostri decisori al governo. Se non ci dovessero arrivare da soli dovremmo farglielo notare noi “gente comune” con tutti i mezzi che abbiamo a disposizione.