Durante questi 5 anni di viaggio c’è stato spesso chiesto quale fosse il paese che più di tutti ci ha deluso, che ha deluso le nostre aspettative, e non siamo mai stati in grado di rispondere. Ultimamente invece abbiamo scoperto di avere una risposta e a malincuore diciamo “Centro America”. Lasciato il Guatemala, abbiamo attraversato El Salvador, Honduras, Nicaragua, Costa Rica e Panama, in un totale di 46 giorni (10 El Salvador, 3 Honduras, 8 Nicaragua, 18 Costa Rica, 10 Panama).
Sul Costa Rica scriverò a parte, perché davvero non ha molto in comune con gli altri paesi. Altra premessa da fare è che, a seguito della malattia di Daniele (polmonite) per questo tratto abbiamo dovuto modificare il modo in cui viaggiamo, prediligendo stanze di alberghetti economici ma puliti alla nostra amata tenda.
Pedaliamo dalle 6 del mattino fino alle 12, così da passare i roventi pomeriggi lontano dalla calura della strada e permettere al corpo di Daniele di riposare e recuperare. Quindi non so se questi due fattori hanno in qualche modo influito sulla nostra percezione di questi paesi. Fatto sta che non ci siamo affatto trovati bene, ad eccezione di pochi episodi, per la maggior parte del tempo ci siamo sentiti come non benvenuti. Da “gringo, gringo” gridato con astio da bimbi ed adulti, agli sguardi conta-soldi delle persone che incrociavamo. Non c’è curiosità. Nessuno che chiede di dove siamo, da dove veniamo in bici, dove andiamo. Niente. Una pausa per mangiare e subito chi si avvicina vuole sapere quanto costa la bici, dopo, ovviamente, aver scoperto con stupore che no, non siamo “gringos”.
I bambini a malapena sanno cos’è l’Italia e dove si trova. Ciò che sanno è “money” e la voglia di levarti qualcosa, anche solo sia la bottiglia di plastica per l’acqua. Pochi sorrisi, poche risposte al saluto che sempre lanciamo dalla bici. “Buenos días” è la nostra cantilena in bicicletta quando incrociamo altre persone lungo il nostro cammino, per rompere il ghiaccio, per strappare un sorriso a chi ci viene incontro. Ma lì non funziona. Nicaragua su tutti è il meno accogliente. La recente crisi interna, la guerra civile, naturalmente ha lasciato un segno profondo nelle persone e nei luoghi. I piccoli centri turistici che proliferavano fino ad un paio di anni fa, sono oggi città fantasma, con la maggior parte degli hotel chiusi e le strade semideserte. Léon, una delle cittadine turistiche più conosciute, deserta. Le belle stradine racchiuse da palazzine stile coloniale, recentemente rinnovate, sono come quadri in una galleria vuota. Nessuno che sia lì ad apprezzarli, ammirarli.
Caso emblematico Chinandega, paese di circa 135.000 abitanti e, sulla mappa, almeno 10 alberghi. Ne giriamo almeno 6, l’insegna è ancora lì ma sono tutti chiusi da più di un anno. Qualcuno ci racconta che molti degli hotel appartenevano a stranieri che avevano approfittato del boom turistico del paese e dei bassi costi per aprire un’attività, ma appena scoppiata la crisi sono scappati.
Mentre aspetto in coda per comprare un “quesillo”, un cibo tipico nicaragüense che consiste in una bustina di plastica ripiena di formaggio fuso ed una tortilla da mangiare ciucciando direttamente dalla busta, un ragazzo decide di raccontarmi in 5 minuti la vita in Nicaragua durante la guerra civile. Più di tutto sottolinea come gli stessi civili fossero in guerra tra di loro, tra sostenitori di Ortega e non. Amici che denunciavano amici alle autorità. È forse questa la ferita più grande e la più difficile da curare, e senza dubbio ciò che oggi noi viviamo come diffidenza e freddezza. Sguardi bassi, pochi sorrisi, zero chiacchiere. Non a caso di questo tratto del nostro viaggio abbiamo poche foto: un po’ il timore di tirare fuori la macchina fotografica, un po’ per una forma di pudore. Altra cosa che mi ha colpito del Centro America è la presenza massiccia di catene statunitensi, dal cibo ai supermercati, anche nel più piccolo dei paesi c’è un McDonald’s o un Walmart.
Certo mi piacerebbe tornare lì tra qualche anno, per poter cambiare idea, per poter tornare a dire che no, non c’è stato nessun paese che mi abbia deluso.
(Simona Pergola) | “Dai 7 Colli ai 7 Passi“
In Guatemala e Chiapas ci siamo trovati benissimo anche noi. Del Guatemala e della sua bellezza avevamo parlato in un altro articolo. El Salvador, Honduras e Nicaragua non li definirei orrendi ma molto problematici e non facili in questo momento. Orrende sono le catene Made in USA che usano questi paesi come pozzi di soldi da cui attingere fregandosene della generale condizione di vita.
si il Nicaragua e’ un paese orrendo purtroppo, il Salvador pure peggio, americanizzatissimo e stravolto dalla crisi economica e dai contrasti sociali stridenti… pero’ in Guatemala mi ero trovato bene, e anche in Chiapas.