Mobilità

Smart working e ciclabilità diffusa: fuga dalle città per vivere nei borghi

Smart working e ciclabilità diffusa: fuga dalle città per vivere nei borghi

Ormai se ne parla molto tra chiunque segue i temi dell’architettura della città e dell’urbanistica del post Covid-19: è giunta l’ora di ridimensionare il ruolo delle città e puntare sulla rinascita dei piccoli borghi di campagna?

Skyline di Milano

Si tratta di un pensiero condiviso da più parti, come dai famosi architetti Stefano Boeri e Massimiliano Fuksas, i quali in più occasioni si sono spesi per fermare una volta per tutte lo spopolamento dei piccoli centri italiani.

Quello dell’abbandono della campagna a favore della città era un trend che proseguiva ormai da moltissimi anni, con una serie di problemi non di poco conto: piccoli centri svuotati dalla fascia di “popolazione attiva” (quella che produce e paga le tasse, ndr) e in progressivo isolamento, comuni in default a causa dell’assenza di entrate, città (come Milano) perennemente in emergenza abitativa e incapaci di offrire soluzioni per tutte le tasche, con una pressione ambientale insostenibile e una serie di servizi essenziali stremati perché sottodimensionati.

Piccolo borgo italiano

L’emergenza sanitaria dei mesi scorsi ha evidenziato così tutti i limiti di vivere in città che peccano sotto aspetti di qualità della vita, di dotazione di spazi verdi e più in generale di spazi per le persone. Tanto è vero che Milano, per la prima volta dopo Expo ha registrato il primo calo di residenti, segno le persone hanno iniziato a chiedersi se valesse davvero la pena vivere in 45 mq in periferia pur di raggiungere l’ufficio in poco tempo.

Se questo trend verrà confermato è ancora presto per dirlo, e questo lo capiremo soprattutto quando lo smart working diverrà un elemento strutturale nelle politiche aziendali, agevolando i dipendenti e permettendo a più persone di recarsi in ufficio solo occasionalmente. Questo elemento potrebbe invogliare ulteriormente le persone a scegliere di trasferirsi in luoghi dove le abitazioni sono meno costose, più ampie, con più verde anche se con meno servizi a disposizione.

Lo sprawl americano, estremizzazione della diffusione insediativa italiana

Se le città continueranno a perdere abitanti a favore dei piccoli centri o di realtà di cintura urbana come le garden city il rischio è che anche i modelli di trasporto urbano vadano ripensati: in questo caso la competitività del trasporto in bicicletta potrebbe essere minata da tragitti che non sono più compresi nei 5-8 km urbani ma bensì nei 25-30 km extraurbani.

Ma questo non significa che la ciclabilità abbia futuro solo in centro città.

Gli olandesi (sì, sempre loro), hanno ancora molto da insegnarci, soprattutto perché nel corso degli ultimi anni hanno creato un sistema di trasporto ferroviario eccezionale, il quale è ottimamente integrato da una fitta rete di percorsi ciclabili.

Superciclabile a Nimega

Nei prossimi mesi ci aspetteranno passi importanti per disegnare l’Italia che verrà, grazie soprattutto ai finanziamenti provenienti dal Recovery Fund. Puntare su nuovi modelli di centralità urbane supportati da un efficiente e moderno sistema di trasporto ferroviario a sua volta accompagnato da infrastrutture ciclabili può essere un modo per evitare che alla diffusione insediativa ai aggiunga un’ulteriore dipendenza dall’auto privata.

I nuovi treni regionali pop e rock comprati da Trenitalia

Tra gli interventi da promuovere ci saranno sicuramente soluzioni mai viste in Italia, come la creazione di superciclabili dirette che mettano in comunicazione città lungo assi strategici, una fitta rete di itinerari che rivaluti le strade secondarie del paese e la creazione di diversi parcheggi attrezzati che possano accogliere le biciclette in centri di interscambio come ci insegnano i Paesi Bassi.

Velostazione di Utrecht

L’alternativa a uno sviluppo che segua quanto già tracciato dai Paesi Bassi è un’ulteriore diffusione dell’auto privata con un aumento del traffico che da cittadino diventerebbe extraurbano, con il rischio che all’aumentare del traffico aumenti anche il numero delle strade, causando così un circolo vizioso in grado solo di generare ulteriore consumo di suolo, il tutto solo per far fronte ai bisogni di una mobilità immobile.

Commenti

  1. Maurizio ha detto:

    Egregio Gabriele Sangalli, buon giorno, anche io sogno spesso le strade delle nostre città attraversate dal dolce scampanellio delle bici che si muovono allegramente senza timor d’essere travolti dal traffico motorizzato ma son sicuro che lo smart working non sarà sicuramente un incentivo alla diffusione del concetto di mobilità alternativa e cercherò di spiegarmi.
    Una città come Milano che perde il suo tessuto sociale, spopolandosi, non promuove la bici ma solamente l’assenza di una grossa percentuale di traffico che comunque in questo periodo non ho visto diminuire vistosamente per il semplice fatto che quasi nessuno si muove in città con i mezzi per i motivi che tutti conosciamo.
    Un altro aspetto da considerare e che i maggiori fruitori della mobilità alternativa erano individuati proprio tra i residenti e le periferie + prossime alla città, perciò spostare la popolazione all’esterno di questa realtà cioè in paesi di campagna non porterà ad un maggior uso della bici per le maggiori distanze, anzi si forzerà l’uso dell’auto, perchè comunque i maggiori servizi come: scuola, sanità, e servizi sociali si trovano ancora nel cuore della città, come anche l’arte
    C’è anche l’aspetto del trasferimento della popolazione di una città di circa 2 milioni di abitanti sulla provincia che porterebbe ad un’ulteriore cementificazione che presumo io e te Gabriele vorremmo evitare.

    Il problema dello smart working non è da sottovalutare, già cominciano a vedersi gli effetti della chiusura degli uffici e anche la mancanza di turisti ma soprattutto la mancanza dei lavoratori, ha portato alla serrata di molte attività e così facendo si uccide il cuore della città.

    Bisogna trovare un compromesso e credo che fortunatamente con giovani brillanti e volenterosi come te ci si arriverà.

    Un’ultima considerazione se me lo permetti, non guardate all’Olanda come riferimento per la cilclabilità,”E’ un paese poco + grande della Lombardia deindustrializzata, con un rete ciclabile nata quando ancora l’auto non aveva invaso le nostre vite, io guarderei + a Londra , Parigi, New York, lì si che hanno fatto dei miracoli urbanistici.

    Maurizio ciclista 365, 366 nei bisestili.

    1. Gabriele Sangalli Gabriele Sangalli ha detto:

      Grazie Maurizio per questo confronto!
      Credo che tu abbia ragione su tutti i punti.

      Quello che volevo evidenziare in questo articolo è che se davvero Milano o altre città perderanno degli abitanti a favore di realtà più di campagna non significa che dovremo mettere una pietra tombale sulla ciclabilità ma anzi, che dovremo rivedere il modo con cui concepiamo gli spostamenti in bici. Ad esempio favorendo maggiormente l’intermodalità bici+treno, per questo l’esempio Olandese, che ammetto, si tratta di una realtà ben definita.
      Il pericolo è che questa ipotetica transizione possa generare ulteriore consumo di suolo, non solo nel settore delle abitazioni ma soprattutto a livello di infrastrutture per auto, cambiare modalità di spostamento anche in periferia aiuterebbe ad evitare questo scenario, da qui la proposta di vere superciclabili come assi strategici di mobilità.

      G.

I commenti non vanno online in automatico ma vengono prima letti e moderati dalla redazione: la loro pubblicazione di norma avviene nei giorni feriali tra le 9 e le 18.
I commenti che non rispettano queste linee guida potranno non essere pubblicati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *