Il Piano Nazionale Sicurezza Stradale 2030 messo a punto dal Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili (MIMS), guidato da Enrico Giovannini, è stato trasmesso recentemente alle camere e si pone l’ambizioso obiettivo di dimezzare i morti e i feriti sulle strade nel prossimo decennio. Quello che però appare chiaro sfogliando l’articolato documento di 70 cartelle, soprattutto nella parte che riguarda la sicurezza stradale delle categorie a maggior rischio, è un’impostazione che tende a spostare la responsabilità dell’incidentalità stradale proprio sugli utenti più vulnerabili. La sgradevole sensazione che si ha leggendo alcuni passaggi del testo è che la colpevolizzazione della vittima (il cosiddetto “victim blaming”, ndr) sia un sottile fil rouge che lega tutta la serie di “linee strategiche specifiche” per aumentare la sicurezza stradale. Ma andiamo con ordine.
Linee strategiche e approcci sbagliati
Nel Piano Nazionale Sicurezza Stradale 2030 del MIMS le linee strategiche da portare avanti sono suddivise in due macrocategorie: quelle specifiche rivolte alle categorie a maggior rischio e quelle generali. “Per ogni categoria a maggior rischio sono stati individuati i possibili fattori di rischio e le relative strategie che riguardano le componenti del sistema stradale (utente, infrastruttura, veicolo)”, recita il documento. E fin qui niente di strano. Gli utenti individuati come più vulnerabili – anche in considerazione del progetto europeo SafetyCube – sono 5 e più precisamente: bambini, utenti delle 2 ruote a motore, ciclisti, pedoni e utenti over 65. Nell’approccio a queste categorie il testo sembra non cogliere aspetti importanti e, anzi, finisce per dare indicazioni che tendono a colpevolizzare proprio quell’utenza vulnerabile che si vorrebbe tutelare.
“Aumentare la visibilità dei bambini”
Tra le linee strategiche specifiche per la categoria a maggior rischio “bambini” nel documento viene messo nero su bianco che, tra le altre cose, occorre “aumentare la visibilità dei bambini a piedi e in bicicletta in particolare nei percorsi casa-scuola-casa” e “ridurre il rischio di incidente e infortunio dei bambini a piedi e in bicicletta in particolare nei percorsi casa-scuola-casa attraverso interventi di gestione delle velocità ed enforcement”.
Sicurezza passiva e obblighi per ciclisti
Nella parte dedicata ai ciclisti ampio spazio viene dedicato alla sicurezza passiva attraverso sistemi di protezione da promuovere a più livelli, studiando eventualmente la possibilità di introdurre nuove norme e obblighi specifici, come si evince dal documento: “Supportare l’introduzione di nuove norme per la sicurezza dei ciclisti (ad esempio per una maggiore visibilità e per l’utilizzo obbligatorio dei sistemi di protezione), attraverso studi di impatto sulla sicurezza”. Ma anche: “Favorire l’uso dei dispositivi di protezione per i ciclisti attraverso disposizioni per la loro diffusione” (tradotto dal politichese: introduzione del casco obbligatorio). E poi, in conclusione, due affermazioni specifiche che sanno tanto di colpevolizzazione della vittima: “Responsabilizzare i ciclisti affinché prendano le opportune precauzioni per evitare incidenti e lesioni attraverso campagne di sensibilizzazione” e “contrastare i comportamenti a rischio dei ciclisti”.
Pedone, fai attenzione
Il tono paternalista del documento per quanto riguarda le utenze vulnerabili continua anche nella parte che riguarda i pedoni: “Responsabilizzare i pedoni affinché prendano le opportune precauzioni per evitare incidenti e lesioni e sensibilizzare le altre utenze alla vulnerabilità dei pedoni attraverso opportune campagne di sensibilizzazione”, mettendo in sostanza sullo stesso piano comunicativo la vittima-predestinata pedone e il suo potenziale-investitore che nella stragrande maggioranza dei casi è alla guida di un mezzo a motore. Nel 2020, anno del primo lockdown, in Italia sono stati investiti e uccisi 240 pedoni e – come riporta l’Asaps – i responsabili erano alla guida di: “188 autovetture, 25 autocarri (di cui 5 della nettezza urbana), 12 ciclomotori/motocicli, 6 bus/tram, 6 veicoli sconosciuti, 1 quad, 1 bici elettrica, 1 ambulanza”. Non credo ci sia bisogno di aggiungere altro.
Quale sicurezza stradale?
Leggendo questi passaggi del Piano Nazionale Sicurezza Stradale 2030 ci si chiede quale sia l’idea di sicurezza stradale alla base del documento, soprattutto per quanto riguarda le utenze più vulnerabili. In altre sezioni viene giustamente evidenziato che bisogna impegnarsi per ridurre le velocità, ma se poi si scrive una frase che tende a deresponsabilizzare l’utente forte, cioè chi guida un mezzo a motore, sostenendo: “…come i conducenti non siano sempre in grado di percepire la presenza di pedoni e ciclisti” non si sta andando nella giusta direzione. Sul tema velocità il faro resta l’introduzione di ISA (Intelligent Speed Adaptation), sottolineato pure in questo Piano: “Azioni legislative e di controllo sul veicolo per favorire il recepimento e l’efficace attuazione del regolamento 2019/2144, che impone, dal 2022, nuovi sistemi avanzati di sicurezza, tra cui l’adattamento intelligente della velocità”.
Questo Piano Nazionale Sicurezza Stradale 2030, a mio avviso, contiene alcune parti che andrebbero integralmente riscritte perché fanno riferimento a un modo di pensare sbagliato – vieto e autocentrico – che, come Paese che guarda al futuro della mobilità, abbiamo il dovere morale di lasciarci alle spalle.
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