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Cos’è davvero il gravel?

Cos’è davvero il gravel?

Ho trascorso gli ultimi giorni in un luogo meraviglioso. Punta Ala, in Maremma, dove Wilier Triestina e Shimano hanno pensato bene di unire le forze e presentare al pubblico le ultime novità: la bicicletta Adlar del marchio di Rossano Veneto e il nuovo gruppo GRX meccanico a 12 velocità della casa giapponese.

Il contesto è la tappa italiana di una manifestazione ciclistica internazionale che si chiama Grinduro. Alla presenza delle testate giornalistiche più blasonate del panorama ciclistico nazionale (cyclinside, pianetaMTB, bicidastrada , cicloturismo, etc.) e altre europee, dapprima i brand hanno presentato i nuovi prodotti e poi è iniziata una test ride in cui provare con mano le novità.

La presentazione dei nuovi modelli. Crediti Mirror Media

Tutto inizia con una presentazione

Non me ne vogliano i signori di Shimano e di Wilier Triestina se riassumo in modo stringato il contenuto delle loro relazioni, ma di base il nuovo GRX rappresenta un ulteriore avvicinamento del gravel alle tecnologie della MTB con il nuovo 1×12 che offre uno spettro dello sviluppo metrico ancora più ampio, analogamente, con l’Adlar, Wilier si spinge ancora di più verso il mondo avventura offrendo una bici che si comporta come una MTB, ma monta di serie il portapacchi anteriore e posteriore.

Il concetto di fondo dell’abbinata di prodotto Adlar + GRX è, quindi, una cosa del tipo: “qualunque cosa tu voglia fare, noi ci siamo e non ti tradiremo“. E per dimostrarcelo siamo partiti per una pedalata nella pineta maremmana, in punti con single track, discese con radici sporgenti e sassi esposti, sabbia nei punti giusti e tutto ciò che serve per poter definire tecnico un percorso.

Qui ci hanno aiutato le coperture Pirelli Cinturato Gravel da 52mm, i nuovi paramani del GRX e il manubrio Ritchey con flare abbondante, ma non tutti hanno gradito.

La diatriba sulla definizione del gravel

È stato nel momento esatto in cui uno del gruppo è caduto (senza danni se non all’orgoglio), che si è levata un’osservazione: “questo tratto non è gravel”.

discesa molto tecnica con una bicicletta gravel
Possiamo chiamare gravel una discesa così? Crediti Mirror Media

Superato il segmento con le discese tecniche è arrivato il momento della pianura. Su una strada larga e sterrata e le stesse voci dal gruppo hanno sentenziato “questo è gravel”. Per tutto il corso della pedalata si sono confrontate visioni contrarie e opposte. La salita prima dell’arrivo, irta, aveva radici che facevano capolino dalla sabbia e rendevano difficile mantenere saldo il manubrio senza perdere aderenza. Qualche esperto del settore in questo caso ha dovuto attendere qualche minuto dopo la fine della salita per riprendere fiato e deliberare “questo non è gravel”.

Rientrati alla base, il dibattito su cosa fosse il gravel ha continuato ad animare i colleghi: la corrente dei nominalisti ricordava che gravel in inglese significa “brecciolino” e che questo non prevede la presenza di terreni più sconnessi di così; la corrente degli orografisti partiva dal fatto che il gravel fosse nato nelle grandi pianure degli USA e che, pertanto, andasse praticato soprattutto in pianura; una terza corrente era quella dei disciplinisti che, sosteneva come il gravel fosse il punto di contatto tra la MTB e la bici da corsa e che, in quanto tale, dovesse mantenere un senso di equidistanza tra le due pratiche, quindi tecnico, ma non troppo.

discesa gruppo gravel
Il gruppo in discesa: questo è gravel? Crediti Mirror Media

Il gravel è come il grunge

Io ero in disparte ad ascoltare le diverse posizioni e a cercare di svilupparne una mia, mentre mi tornava alla mente il dibattito che imperversava sulle riviste di musica dei primi anni ’90 quando le grandi penne della critica musicale cercavano di decidere cosa appartenesse al movimento grunge e cose no.

Nel frattempo, accanto a me, uno degli organizzatori della giornata di prova della nuova accoppiata bici+componenti borbottava infastidito frasi che, al netto di numerose parolacce e coloriti intercalari, suonavano più o meno così “ma perché non vi godete la vita invece di stare a spiegare come deve essere ogni cosa?“.

Ed è stata in quel ruvido e brutale rigurgito di onestà che mi è apparso lo spirito del gravel, uno spirito maleducato e spettinato, che non ha bisogno che qualcuno gli dia ragione, ma solo di essere sé stesso senza pregiudizi.

Lo spirito gravel

E infatti partecipare oggi a un evento gravel significa trovare persone che indossano divise in lycra perfettamente attillate o, indifferentemente, delle camicie hawaiane con bermuda dalle mille tasche senza fondello, oppure maglie che sembrano dei pigiami per neonati.

Abbigliamenti gravel
“Ma come ti vesti?”

Sono persone che possono vivere la bicicletta con una devozione assoluta, praticando un’alimentazione al limite dell’ascetismo e della rinuncia, ma possono essere anche persone che pedalano per mangiare e bevono birra e fanno festa fino a notte fonda ballando sulle note di una band surf. Ci sono quelli che gli unici peli che accettano sul proprio corpo sono le sopracciglia e ci sono quelli per cui nessun pelo è superfluo. Ci sono quelli magri come chiodi, che non arrivano a 50 kg neppure bagnati e ci sono quelli in sovrappeso. Ci sono i maschi e, udite udite, ci sono anche le femmine.

Donne nel movimento gravel
E il mondo gravel è pieno di donne

La tribù gravel è composta oggi da quegli stradini che si sono stufati di rischiare la vita sulle nostre strade ma che vogliono continuare a produrre watt spingendo sui pedali; ma i gravelisti sono anche quei biker che vogliono delle esperienze immersive che durino a lungo, magari meno esplosive e tecniche; e i gravellisti sono anche quei curiosoni che semplicemente vogliono sapere dove porta quella stradina che attraversa la provinciale e finisce in mezzo ai boschi chissà dove e ancora sono quelli che vogliono andare a vedere se nella Terra del Fuoco c’è davvero il fuoco o se è vero che i Watussi ballano l’Hully Gully.

L’industria della bicicletta e il gravel

Nell’evoluzione della bicicletta, i produttori di bici hanno investito moltissimo per produrre la macchina perfetta, ovvero quell’oggetto in grado di tradurre i watt sprigionati dalle gambe in km macinati e i risultati nel mondo della bici da corsa si vedono. Poi negli anni ’80 è arrivato un movimento eretico, quello della MTB che voleva rivendicare il diritto di usare la bicicletta anche dove non si poteva.

Le origini della MTB
Le origini della MTB sono incredibilmente simili al mondo gravel di oggi

A distanza di 40 anni la tecnologia ha assistito i ribelli per permettere loro di fare qualunque cosa e il risultato è stata l’iperspecializzazione e le nuove MTB (mi si perdoni la semplificazione) sono delle biciclette superammortizzate che ti permettono di buttarti giù da una rupe e uscirne incolume ma che, probabilmente, poco hanno a che vedere con quel desiderio originario di Tom Ritchey e Gary Fischer di rompere gli schemi e infatti sono diventate esse stesse degli schemi.

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Il gravel è un movimento eretico

Ed è così che oggi siamo a un secondo momento eretico, capitanato da tutti quelli che non ne vogliono più sapere delle classifiche e di chi arriva primo. I nuovi eretici sono quelli che vogliono essere liberi di fare come ca**o gli pare.

Quando c’è qualcuno che si ribella, d’altronde, l’industria della bicicletta se ne innamora e lo idolatra: vi ricordate quando 15 anni fa imperversava il fenomeno delle biciclette a scatto fisso? Oggi come allora l’industria fa quello che deve: offre degli strumenti ai propri praticanti di coltivare il proprio spirito di ribellione.

E allora Shimano oggi fa un gruppo che odora di MTB ma con i comandi da corsa e Wilier fa una bicicletta con una geometria MTB, ma su cui puoi montare il portapacchi e se vuoi gli metti la forcella ammortizzata e non ti cambia la geometria. Più il movimento cresce, più l’industria della bici ci investe (oggi il gravel rappresenta il 12% del fatturato di casa Wilier Triestina) e più il settore investe, più persone si avvicinano a questo mondo.

Il nuovo modo di sentire

La ribellione del gravel si tramuta, quindi, in un momento di fluidità in cui non ci sono regole e se non ci sono regole, questo diventa inclusione assoluta e le definizioni lasciano il tempo che trovano, anche perché molte biciclette che oggi chiamiamo “gravel” una volta si chiamavano “ciclocross” e i piattoni su strade sterrate e sanpietrini ci sono da sempre, come alla Parigi-Roubaix e al giro delle Fiandre, e i viaggi fino alla fine del mondo si sono sempre fatti, come fece Enrico Toti che nel 1913 riuscì ad andare in Sudan pedalando una bicicletta con una gamba sola. E se Enrico Toti riuscì a farlo con una bici del 1913, davvero noi abbiamo bisogno di bici gravel, di gruppi gravel, di componenti gravel, etc?

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L’industria della bici e il gravel

Il Grinduro a Punta Ala si è svolto negli stessi luoghi in cui andavo da bambino in bicicletta con i miei nonni, portando l’ombrellone sotto il braccio mentre attraversavamo la pineta cercando di schivare le radici e spingendo con forza su quei punti pieni di sabbia. La bici che usavo? Una Graziella.

35 anni dopo sono tornato negli stessi luoghi e ho percorso (più o meno) gli stessi tracciati con la Adlar montata col nuovo GRX 1×12 e sapete che c’è? Mi sono divertito come un bambino (anzi, molto di più, perché da bambino non mi divertivo a pedalare nella pineta tra radici e dunette di sabbia) perché ho avuto una sensazione di totale controllo di un tracciato impegnativo.

E quindi, la risposta è no, non c’è bisogno di tutte questa componentistica dedicata al gravel, perché le stesse cose possono essere fatte con altri mezzi e altri strumenti: si può fare downhill con una graziella e si può andare alle sorgenti del Nilo con una bicicletta a scatto fisso con una pedivella sola.

Ma qui si va oltre lo stato di necessità: perché se è vero che il gravel è eresia e ribellione contro il conformismo, allora è giusto che ciascuno lo viva a modo proprio. Con la graziella o con il nuovo GRX, ciascuno a modo proprio.

In tutto questo, il ruolo delle aziende è quello di capire cosa vogliono i propri clienti e di offrire loro ciò che desiderano per fare quello che vogliono. E nessuno si deve sentire obbligato a comprare niente per fare gravel o per sentirsi gravel.

Concludendo

Concludendo, credo che non si possa dare una definizione univoca di gravel (alla faccia dell’UCI che ne organizza i mondiali), esattamente come a suo tempo non si poté dare una definizione della musica grunge. Però la musica grunge ha avvicinato, a causa della propria semplicità ed essenzialità, molte persone alla musica.

Analogamente il gravel sta avvicinando, a causa della propria semplicità ed essenzialità, molte persone alla bicicletta, perché parla un linguaggio nuovo, universale e di inclusione. E se qualcuno non capisce quel linguaggio, pazienza, parli di quello che capisce. Va bene lo stesso.

Commenti

  1. rotafixa ha detto:

    non sai quanto sia felice che sia passata la moda della fixa. per anni ho temuto che gli occhiuti in divisa ci sgamassero: “ehi, ma tu non hai i freni! in galeraaaaaa”.

  2. Stefano ha detto:

    Si proprio così la mia bici sempre sporca i peli non fatti vesto come mi pare e mi faccio una piadina al primo chiosco e poi un po’ di rockabilly nelle orecchie viva la bici più bici più felici fighetti pedalate ciao brian

  3. Coviddi ha detto:

    È davvero ben scritto, complimenti! Mi ha emozionato. La classificazione tra nominalisti orografisti e disciplinisti ha trovato l’acme nel paragone con il grunge! 😂 Ed è di ispirazione. Non ho una gravel perché volevo una forcella ammortizzata. Non monto 27″x 2.8 perché non volevo troppo attrito. Non faccio quasi mai salite né discese spinte. Abito in campagna.

    So perché non ho preso una MTB in piena regola insomma, ma… Per quale dannato motivo non ho una gravel? 🤔

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