Un salto di paradigma – Ci interessa davvero fermare il tragico bollettino delle vite perse sulle nostre strade e trasformare le città in posti migliori dove vivere? Allora, forse, abbiamo bisogno prima di tutto di fare un salto logico che ci sposti dal mindset auto-centrico, di guerra, ad uno scopo per la vita, che metta al centro di tutto le persone e i loro bisogni, da quelle che vanno a piedi o in bici a chi è costretto per necessità ad usare la propria automobile, dove lo spazio sia restituito anche alla socialità, al gioco. La guerra è la competizione per lo spazio urbano tra auto e persone, dove l’auto ha la primazia assoluta e sono le persone che devono fare attenzione e financo uscire corazzate oppure rinunciare ad uscire di casa (si pensi a tanti anziani o a chi ha difficoltà a muoversi).
Lo scontro tra le soluzioni – La guerra è anche lo scontro attorno alle soluzioni per invertire la rotta e ridare spazio alle persone, di cui però finisce per vedersi il vessillo e meno lo scopo generale che c’è dietro. Si pensi alle polemiche intorno a Città 30 prima a Milano poi a Bologna: Città 30 per non morire investiti? Ed ecco che subito si reclama Città 130 per non morire… di fame. O a quelle emerse durante e dopo la pandemia intorno alle ciclabili di Via Nizza a Torino, Corso Buenos Aires a Milano e Via Tuscolana a Roma: ciclabili per pedalare in sicurezza? E dove passano le auto? E dove si parcheggia senza il parcheggio in tripla fila? (Queste ultime due, peraltro, in contrapposizione tra di loro). Ma anche alle polemiche, di questa primavera, per la Fascia Verde a Roma, che si è trasformato in uno scontro tra opposte posizioni identitarie, tra difensori della libertà di spostarsi in auto ed ecologisti o, per dirla secondo i nomi reciprocamente affibbiati dalle opposte tifoserie, tra quella dei maghinari e degli ecochic. Una guerra il cui risultato è rimanere impantanati in questo stato di assedio da parte delle auto e sottomissione al suo dominio incontrastato, dove a perderci, in maniera differente, siamo tutti noi.
L’auto come assioma – Il mindset di guerra si innesta in un “bagno culturale” in cui siamo immersi collettivamente. Questione dello status symbol a parte, da cui fortunatamente i giovani si stanno piano piano immunizzando (a che serve avere un’auto quando si può condividerla, a che serve averla in una città quando si diventa cittadini del mondo?), l’auto è oggi, in misura diversa a seconda delle città, presenza assiomatica e in quanto tale normalità. E come scamparne quando anche in tema di (sacrosanta) prevenzione degli incidenti stradali, il dibattito mainstream punta (giustamente) l’attenzione sul “fattore umano”, ma omette al contempo il “fattore auto”, cioè la sua intrinseca pericolosità, aggravata da velocità e massa del veicolo, nonché da traffico e presenza eccessiva (in sosta) ai bordi delle strade?
Il termometro della dipendenza dall’automobile: il tasso di motorizzazione – Vivere senz’auto in molte città italiane è abbastanza ancora da “extraterrestri”. C’è chi lo fa per scelta, avendo la possibilità di vivere in quartieri ben serviti, e scopre che è un privilegio raro, chi per necessità e si deve adattare a quello che passa il convento, oppure in alcuni casi rinunciare a muoversi.
La normalità è che l’auto la si possieda: perché privarci di qualcosa di cui abbiamo tutti bisogno? Senza la quale è impensabile vivere. Non è concepibile farne a meno e, avendola, può capitare che la si usi più del necessario, scegliendo destinazioni raggiungibili solo in auto, oppure che la pigrizia delle gambe faccia scattare la predisposizione mentale ad usarla anche quando se ne potrebbe fare a meno, ad esempio su una breve distanza percorribile anche a piedi.
Il punto è che questa profonda dipendenza è stata creata dalla stessa auto, che ha modificato l’estensione, la forma e la compattezza delle nostre città. Intorno all’auto si sono plasmate le abitudini collettive e individuali, le organizzazioni di vita e le abitudini familiari. Si sceglie di usare l’auto anche perché ci sono troppe auto: perché rischiare la vita andando a piedi o in bici oppure usare un autobus che si deve aspettare a lungo per poi stare intrappolati nel traffico? Più ci sono auto e più si dipende dall’auto e il tasso di motorizzazione di una città è il termometro di questa dipendenza. Un cane che si morde la coda: come uscirne?
Intanto chiediamoci se vogliamo davvero una mobilità diversa – Il più delle volte ci scontriamo sul cosa e sul come. E se invece si partisse da un accordo sullo scopo di cosa specificamente vogliamo ottenere? A chi va bene davvero questa mobilità? Che diverso tipo di mobilità vorremmo? Poter parcheggiare “liberamente” sul sagrato del Duomo insieme ad altri mille oppure poterlo raggiungere convenientemente e comodamente anche senz’auto? Qual è il nostro scopo, la mobilità-immobilità o l’accessibilità ai luoghi, che magari avvicinandosi a noi possiamo raggiungere a piedi?
Senza uno scopo chiaro, specifico e misurabile, difficile costruire una strategia, un piano di azioni di cui sia valutabile la fattibilità, la rilevanza per il suo raggiungimento e un criterio per verificare se lo stiamo raggiungendo, da condividere con i cittadini. Senza uno scopo chiaro e ben esplicitato, qualsiasi soluzione è potenzialmente criticabile in relazione a scopi che sono solo presunti e senza aver definito un criterio “di abbastanza” per valutarne il raggiungimento.
I vincoli per raggiungere lo scopo e le possibili soluzioni – I vincoli delle persone, ciò che impedisce di usare alternative all’automobile, sono i veri vincoli al famoso “shift modale” e possono diventare chiave interpretativa delle strategie di policy making per rimuoverli, chiarire meglio e quantificare gli scopi, nonché individuare i soggetti responsabili: quanto possiamo realisticamente trasferire su mobilità attiva in base alle percorrenze giornaliere di chi si sposta in auto? In che modo possiamo agevolarlo? Quanto queste percorrenze possono essere ridotte con una città diversa? Quanto possiamo realisticamente trasferire sul trasporto pubblico data la sua capacità? Poi ci sono i vincoli economici: quanto dobbiamo/vogliamo investire economicamente per la rimozione di questi vincoli (trasporto pubblico, ciclabili, ridisegno delle strade urbane…)? Quanto la collettività è disposta a pagare affinché la mobilità migliori per tutti?
E ancora, i vincoli dello spazio urbano (risorsa assolutamente limitata), attorno a cui costruire le soluzioni per fare in modo che esso possa essere “condiviso” al meglio tra chi si sposta a piedi, con le proprie braccia, in bici, monopattino, scooter, auto e chi lo vive da stanziale, perché sì la città è anche la possibilità di viverne i luoghi e lo spazio sociale. E infine i vincoli psicologici: agire sul fattore culturale è condizione imprescindibile non solo per modificare le abitudini dei singoli ma anche per cambiare la percezione dei decisori e di coloro che possono avere un impatto e incidere sul mindset delle persone che fanno la propria scelta modale.
@claudio, quale è la differenza tra Muoversi e Blablacar? Ho citato il servizio più famoso che mi veniva in mente. Grazie
Sul tema della dipendenza (indotta) dall’automobile segnalo questo importante paper di un gruppo di ricercatori di diverse università del Nord Europa: https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S2214629620300633
(ne esiste una versione da me tradotta in italiano, dato che il risultato del traduttore automatico era largamente perfettibile, che potete trovare qui: https://mammiferobipede.wordpress.com/2021/03/12/leconomia-politica-della-dipendenza-dallautomobile/)
queste giuste considerazioni si fanno da più di dieci anni, ma la realtà è che tutte le soluzioni messe in campo per contrastare l’uso dell’automobile si sono rivelate inutili, nulla è cambiato e tantomeno migliorato, perché?
Possibile che non si capisca che considerare l’auto un Problema è il problema, perché non proviamo a considerare l’auto una Risorsa? perché l’auto non è un problema ma una Risorsa USATA MALE.
Il problema non è che ci sono le auto, ma che ci sono TROPPE auto, e ci sono troppe auto perché è diventato un mezzo ad uso strettamente personale, è ovvio che un mezzo progettato per il trasporto di 4 persone e che perciò occupa lo spazio per 4 persone se viene usato da una sola persona diventa un problema.
la soluzione perciò non è eliminare l’auto ma OTTIMIZZARNE l’uso, come ? utilizzandola come un MEZZO A SERVIZIO PUBBLICO quando è in circolazione, questo farebbe diminuire drasticamente il numero delle auto in circolazione con conseguente diminuzione di incidenti, occupazione di suolo pubblico, inquinamento, costi, ecc.ecc.
UTOPIA? no basterebbe che le amministrazioni pubbliche appoggiassero il progetto.
http://www.moversi.com/su/E658A680235F