È lombardo, vive a Trento, laurea in Ingegneria ambientale. Kevin Ferrari, 32 anni, ha riscoperto la bici qualche tempo dopo un incidente che gli ha portato via una gamba. Racconterà le sue avventure in bikepacking alla Fiera del Cicloturismo.
Kevin Ferrari adora stare all’aria aperta, ma anche no se deve montare i video per il suo canale YouTube. Ama raccontarsi, mettersi in discussione. Cazzeggiare con gli amici. Stare con Silvia. Ha il “vizio” di Instagram, ma se lo perdona ogni volta che scorre la timeline. E un obiettivo: vivere la vita appieno, far sì che le difficoltà non costituiscano mai un limite.
Come la paura che lo coglie alla vigilia di un’arrampicata o di un giro impegnativo in bicicletta. Il coraggio della paura Kevin alla fine lo trova sempre. Lo ha trovato anche quando a 18 anni, per un incidente in sella a un’enduro, il suo corpo è cambiato. Un’esperienza che schianterebbe chiunque, in ogni senso. Ha schiantato anche lui.
Ma poi ci si rialza. E Kevin si è rialzato. Su una gamba sola. Oggi, a 14 anni da quella vicenda per lui inevitabilmente spartiacque, è convinto che le cose che ci accadono possono sempre essere vissute come opportunità.
L’intervista a Kevin Ferrari
Kevin, domenica 7 aprile a Bologna sarai un protagonista sul palco della Fiera del Cicloturismo. Che opportunità è?
«Bello raccontare una storia a una platea di persone. Che mi piacerebbe spronare. In tanti pensano di non farcela davanti a una prova fisica. Portando un esempio come il nostro, mio e della mia compagna Silvia, che è sempre con me nelle avventure in bici, vorrei dimostrare che non serve essere o sentirsi perfetti per fare le cose. Si parte e poi si vede. Tanto i problemi si presentano comunque».
La Fiera celebra la bellezza del viaggio in bicicletta. Tu dove la trovi questa bellezza?
«Nell’allegria, nello scherzare, ridere anche nei momenti in cui siamo stremati. Nel condividere la fatica con persone care, avere nel viaggiare insieme il vero obiettivo. Poche settimane fa ho partecipato al raduno di paraciclismo. Devo essere sincero: i primi giorni ho fatto un po’ fatica a stare dentro la logica dell’arrivo, del miglior tempo, la competizione. Sono abituato a godermi il percorso, il coinvolgimento, la battuta. Invece, giustamente, mentre ci si allena si procede quasi a testa bassa, si guarda poco il paesaggio che ci circonda».
Kevin e la bicicletta. È stato amore a prima vista o un rapporto cresciuto pian piano?
«Da bambino andavo in bici come tutti i miei coetanei, ma senza una reale passione: era divertente fare i giri con gli altri e basta. A 14 anni mi hanno regalato una moto da cross e da quel momento sono andato solo sulle due ruote a motore. Ci passavo ogni momento libero perché mi appassionava tanto, soprattutto perché era da cross. Amo stare in mezzo alla natura».
A 18 anni l’incidente. La tua enduro viene travolta da un camion su una strada di campagna. Una gamba amputata e l’altra malconcia. Secondo un medico, tra le cose che non avresti più potuto fare c’era andare in bicicletta. Sette anni dopo l’incidente sei entrato in un negozio di bici per metterti alla prova.
«Sette anni in cui ho dato per certo che non sarei più salito su una bici. Ma ne sentivo il bisogno, come di tutte le cose che sai di non poter fare più. Non avevo mai verificato fino ad allora se potevo farcela, ma siccome più passava il tempo e più mi sentivo indipendente, ho deciso di ingaggiare questa sfida con me stesso. Tra l’altro mi dicevano tutti che con i pedali Spd, che non sapevo neanche cosa fossero, avrei potuto provarci. Così, sì, sono entrato in quel negozio e ho chiesto al proprietario di poter salire in sella e pedalare lì intorno. Praticamente non sono più sceso».
Cosa hai provato quando hai capito che si poteva fare?
«Te lo dico con le stesse parole che pronunciavo in continuazione le prime volte: “Madonna, ma questa roba mi fa sentire bene, libero!”. Se decido di andare a visitare un posto lo posso fare da solo. Cioè, anche in macchina vado da solo, ma vuoi mettere? Mi ricordo che i primi tempi in bici tornavo appositamente in luoghi già raggiunti con la macchina e mi sembrava che non ci fossi mai stato. Certi particolari, i colori, i profumi, i suoni… Il punto di vista è totalmente diverso. E poi con la bici vai con il tuo fisico, con tutto te stesso».
Arriva Silvia, la ragazza di Kevin, per un saluto. Si guardano. Per un attimo ci sono solo loro. Chiediamo a Silvia senza un briciolo di pudore (chissà, a volte può essere un limite anche quello…) cosa l’abbia fatta innamorare di Kevin. E lei: «La persona che è, quello che facciamo insieme, come ci completiamo a vicenda. Lui è più dolce di me, più sensibile, invece io sono molto più schematica. Ognuno dei due equilibra l’altro. Abbiamo iniziato insieme con la bici: io avevo preso una mountain bike, lui andava su strada e non voleva sentir parlare dello sterrato. Gli ho fatto scoprire la mtb e adesso ha mollato del tutto la bici da corsa».
Kevin, cosa ti piace di più della bicicletta?
«Per dirtelo parto da un’altra mia passione: l’arrampicata, che ho iniziato a praticare durante l’Università grazie a colui che poi è diventato il mio migliore amico, Michele Paderno. Mi ha insegnato a scalare, mi ha fatto credere nelle mie capacità. L’arrampicata, però, devi per forza praticarla con qualcuno, invece in bicicletta puoi anche partire da solo. Se io ora, dopo aver parlato con te, decido di farmi un giro superbello, anche magari duro dal punto di vista tecnico, posso prendere e partire, perché mi sento sicuro. Anche se arrivo in un posto che non riesco a fare in sella, mi organizzo, mi metto per terra, con una mano butto la bici giù dal pendio e la raggiungo gattonando. Ovviamente la tecnica non posso incrementarla più di tanto, perché ci sono cose che senza una gamba non riesci a fare, però il livello di indipendenza che ho raggiunto mi fa dire che la bici mi rende felice».
Condividi con Silvia le tue avventure in bikepacking attraverso Italia ed Europa. Cosa ti dà di più il bikepacking e cosa ti toglie rispetto ad altre modalità di viaggio in bici?
«Sicuramente si va più lenti rispetto ad altre modalità, però quando fai un viaggio non ti interessa la velocità, ma vivere un’avventura che ti rimanga dentro. Al Tuscany Trail – dove me la sono proprio goduta perché si conosce un sacco di gente – ho dormito all’addiaccio. A me queste cose mi gasano un sacco: dormire per terra, magari senza lavarmi (ride). All’inizio io e Silvia ci portavamo dietro tutto: tenda, fornelletto, riso liofilizzato… Adesso siamo arrivati a un bikepacking molto più “fighetto”, vogliamo stare più leggeri, ci portiamo sempre tutto quello che serve per dormire in tenda, però mangiamo nei locali dei luoghi che attraversiamo, soprattutto perché ogni territorio ha una storia da raccontare anche attraverso il cibo, e non approfittarne significa perdersi qualcosa. Poi il bikepacking ti allena a capire più di altri modi di viaggiare in bici cosa è essenziale. A proposito: io faccio bikepacking quasi sempre con la gravel».
Un suggerimento su come affrontare un viaggio in bikepacking?
«Anzitutto distribuire gli oggetti nelle borse sempre pensando a quello che potrebbe servire di più. Ad esempio, io la borsa centrale la uso tantissimo per le cose che utilizzo mentre pedalo. Come il drone, che porto sempre con me, e quando dico ai miei amici o a Silvia di fermarci per “fare la dronata”, lo monto in qualche secondo, due minuti di ripresa e si riparte così loro non si rompono troppo le scatole. E a chi non ha una gamba dico che, per non dipendere sempre da qualcuno, esistono delle stampelle che hanno dentro un filo elastico. Si possono dividere in due e assicurare alla borsa dietro. Quando ti fermi, prendi le stampelle, le monti con un semplice movimento e sei pronto per camminare».
Queste stampelle le hai usate quando hai fatto il Tour des Combin, tra Italia e Svizzera, 120 chilometri e 5000 metri di dislivello?
«Sì. Su quell’itinerario c’erano diversi tratti in cui non si poteva pedalare: Silvia portava le bici – in quel caso due mountain bike – e io andavo su con le stampelle».
Tornando al tuo incidente: cosa accade nella testa di un ragazzo di diciotto anni dopo un evento del genere?
«Posso dirti cosa è accaduto nella mia testa. Pensiero fisso: non troverò mai una ragazza, ormai sono brutto. Già prima dell’incidente non ero molto bravo ad approcciare le ragazze. Sono timido. E comunque le trovavo tutte. Addirittura il primo periodo soffrivo perché non avrei potuto più giocare a calcio. E i miei genitori: “Ma quando mai ti ha interessato il calcio? Proprio adesso deve iniziare a piacerti?”. A dire il vero io prima dell’incidente non ero uno sportivo. E credevo anche molto poco in me stesso. Dopo, invece, è cresciuta un po’ di autostima, anche perché ho affrontato un percorso analitico. Che ho iniziato non per l’incidente, ma perché mi aveva lasciato una ragazza. Pensandoci, durante gli incontri con l’analista la questione incidente ha occupato il 20% dei nostri discorsi».
Cosa resta di quel periodo?
«La capacità di discernere, selezionare, mettere a fuoco, che ho esercitato, perché all’inizio in realtà avevo tantissimo bisogno degli altri, ero in balìa degli altri, disposto a tutto pur di stare con qualcuno perché mi sentivo solo, sfigatino, poco valido. Solo adesso posso dire di avere degli amici veri. Prima non ne avevo».
Quante delle esperienze che ci hai raccontato non avresti fatto senza l’incidente?
«Non ne avrei fatta nessuna. Credo che neanche mi sarei laureato. Io ho studiato Agraria alle scuole superiori, ero inserito in un ambiente contadino e sarei probabilmente andato a fare quello o il vivaista. A me stare in mezzo alla natura piace, però il contesto contadino di cui parlo è legato all’ambiente familiare, che ha reso difficile la mia vita, molto più dell’amputazione della gamba. E non esagero. Posso dire quasi con certezza che senza l’incidente non avrei avuto il coraggio di allontanarmi dal contesto familiare. E forse con il tempo mi sarei autodistrutto. Riconosco, però, ai miei genitori, di essermi stati molto vicini e di avermi spronato tantissimo nel periodo appena dopo l’incidente. Periodo che ha fatto passare in secondo piano i problemi che ci sono sempre stati. Poi però tutto è tornato come prima. Oggi i miei genitori non li sento più. Spero leggano questa intervista, attraverso la quale approfitto per ringraziarli di quanto hanno fatto per me e con me in quel frangente».
Come reagisci a chi quando parla con te, magari la prima volta, guarda sempre in direzione del tuo arto inferiore o di quello che non c’è più?
«La persona che guarda sempre lì mi annoia subito. Mi chiedo: ma perché questo non nota anche che magari faccio il cretino, scherzo proprio come tutti? Se vedo che c’è del potenziale reagisco facendogli capire che c’è quella roba lì, ma c’è soprattutto altro».
Kevin, ti piace la musica?
«Molto».
Sai che certe canzoni sanno tutti gli affari nostri? “Si può osare di più”, cantavano quei tre, “senza essere eroi”…
«Quando vado in montagna con le stampelle capita che le persone mi fermino e mi facciano dei complimenti oltremodo esagerati. Sembra che io sia un eroe. Mettere una persona in quella posizione è sempre sbagliato, allo stesso modo di quando la si sminuisce, perché comunque l’altra faccia della mitizzazione, dell’idealizzazione è la distruzione. Credo che nessuna persona con disabilità desideri che l’altro lo idealizzi né, ovviamente, che lo distrugga. Mi fa certo piacere che mi si dica: “Bravo, fai delle cose fighe”, ma poi basta, che si passi ad altro».
Un tuo hobby, al di là dello sport.
«Montare video e disegnare. Ho anche seguito dei corsi di disegno».
Una mania.
«Mi mangio il labbro inferiore e sto troppo spesso su Instagram».
Cosa ti fa ridere?
«Con il mio amico Michele ci piace inviarci video di persone che fanno stupidate. Quando sono con lui ogni motivo è buono per ridere come dei matti».
Cosa invece ti rattrista?
«Quando ho a che fare con persone che cercano solo di buttare giù gli altri, di scoraggiarli».
Allora, Kevin, ci vediamo alla Fiera del Cicloturismo.
«Certo! Sappi che avrò sicuramente tanta paura. Mi è capitato di parlare davanti a un pubblico, però stavolta la vivo come un’occasione speciale. Spero di vedere le persone contente di quello che racconto, di riuscire a emozionarle, a fare in modo che qualcosa rimanga loro. E poi ovviamente mi aspetto di conoscere tanta gente nuova. Che è sempre la parte più bella di queste iniziative».
Il talk di Kevin Ferrari
Il talk di Kevin Ferrari, Avventure in bikepacking attraverso l’Italia e l’Europa, sarà domenica 7 aprile alle ore 13.00. Per scoprire il calendario di tutti i Bikeitalia Talks, visita il sito della Fiera del Cicloturismo
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