Bici e autismo: la scuola di ciclismo che insegna a pedalare a tutti i bambini, nessuno escluso
Un giorno alla Scuola di Ciclismo “Franco Ballerini” di Bari
Bici e inclusione | Questi nostri bambini con il vento in faccia
«Mia figlia non è autonoma nella deambulazione… Ma è autonoma quando pedala!». Lucia Pellegrini racconta la sua famiglia con quel sorriso che sembra non abbandonarla mai. Vuole che le figlie, Miriana e Ludovica, gemelle di 11 anni, la vedano sempre così. Sorridente. E determinata.
Quella determinazione che le fa alzare l’asticella a ogni piccolo miglioramento, ogni piccolo passo avanti delle sue bambine, entrambe con ritardo psico-motorio e ipotonia muscolare. Entrambe con la Smith Lemli-Opitz (SLOS), una sindrome rara, dunque con pochissime cure disponibili. Lei a questa scandalosa prassi dell’ipertecnologica società moderna ha risposto lasciando il lavoro e dedicandosi completamente alle bambine. Che di progressi ne hanno fatti tanti in questi anni.


I primi a restarne sbalorditi sono stati proprio alcuni medici, che hanno detto arrivederci alla donna che trasportava le due bimbe quasi immobili in carrozzina e le hanno riviste dopo qualche anno in piedi, una a destra e una a sinistra di Lucia, fierissima, che le teneva per mano, una bambina con i tutori e l’altra con i plantari. Lucia, insieme al marito, Miriana e Ludovica, viene una volta alla settimana alla scuola di ciclismo “Franco Ballerini”, quartiere di San Paolo, zona nord-est di Bari, oltre 30 mila abitanti. Una volta sola perché le terapie di riabilitazione impegnano buona parte del tempo e poi la famiglia Pellegrini vive ad Adelfia, a circa mezz’ora di auto.
«I ragazzi della scuola – continua Lucia – hanno adattato la bici alle esigenze di Miriana e Ludovica, alle loro difficoltà fisiche: hanno costruito sui pedali delle piccole pedane affinché i piedi delle bambine non si spostassero verso l’interno. Per questo i lati interni delle pedanine hanno dei rialzi. I piedi stanno dritti e loro vanno veloci come il vento!».
Un punto di riferimento per le famiglie in difficoltà del territorio
Il vento ritorna spesso nelle parole delle persone che sono qui. Come Giuseppe Marzano, fondatore e presidente di questo presidio di inclusività e socializzazione dedicato al ciclista Ballerini, su un territorio di proprietà del Comune passato negli anni da 100 a 1.200 metri quadrati.


Attualmente vi pedalano 200 bambini e ragazzi dai 3 ai 15 anni. Di questi, 60 sono piccoli con disabilità o neuroatipici, autistici. «Eh sì, ne abbiamo fatte in questi 25 anni – racconta Giuseppe, per tutti “il signor Pino”. «E la cosa più bella è sempre la stessa: vedere i bambini acquistare sicurezza sulla bici, prendere il vento in faccia e allargarla quella faccia in un sorriso che ci ripaga di tutto. La scuola nasce come punto di riferimento per i bambini che vogliono imparare ad andare in bicicletta ma soprattutto per quelli di famiglie che vivono situazioni di disagio economico e sociale, in una zona in passato molto problematica. Oggi le cose sono migliorate e le tantissime persone perbene che vivono qui purtroppo ancora pagano per la passata reputazione del quartiere».
La scuola di ciclismo è di tutti i bambini
Quindici anni fa per la scuola si è aperto un nuovo capitolo: «Con il tempo mi accorsi di una certa disabilità diffusa – continua Giuseppe –. Un giorno mi è stato proposto di partecipare a un progetto con i bambini con sindrome di Down e da allora, dal 2008, abbiamo continuato a percorrere anche questa strada. Sono nati progetti con i bambini con disabilità, con bambini autistici.
Ed è successo qualcosa che non mi aspettavo: abbiamo iniziato a vedere arrivare persone da altre città. Prima venire a San Paolo significava entrare in un quartiere abitato da gente da emarginare. Oggi nella scuola accogliamo famiglie da tutta la provincia di Bari, ma anche da Brindisi e Taranto».
Ascolta l’intervista a Giuseppe Marzano:
Il bike park #Nessunoescluso
Nel 2021 all’interno della scuola è stato inaugurato il bike park #Nessunoescluso: un’area ludico-ricreativa di cross country per mountain bike, uno skill park per acrobazie e una pump track, dove si pedala solo per darsi lo slancio e poi si va avanti con la propulsione di braccia e gambe.


I ciclisti pagano alla scuola una quota di iscrizione e 30 euro al mese per una frequenza di due volte alla settimana, alla quale si aggiungono eventi, passeggiate in bici sul territorio, gare e dal 2021 anche, appunto, il bike park.
Ma per i bambini che rientrano nei progetti promossi dalla scuola insieme a istituzioni o associazioni è tutto gratis. Anche se le spese per la “Franco Ballerini”, ovvio, non mancano. A cominciare dagli istruttori. Che certo profondono un impegno capace di andare oltre i rispettivi stipendi. E non c’è dubbio: la meglio gioventù è anche qui. Ha i nomi di Giorgia, di Andrea, di Tamara.


L’istruttrice di ciclismo: «Il tempo qui è il tempo della mia giornata»
Ventidue anni, nata e cresciuta nel quartiere San Paolo, Tamara Loiacono è maestra e istruttrice FCI (Federazione ciclistica italiana) e istruttrice tecnico di attività motorie e sportive FISDIR (Federazione italiana sport paralimpici degli intellettivo relazionali).
Insegna ai bambini «anzitutto a relazionarsi con gli altri, ad avere rispetto di sé stessi e a rispettare le regole. Soltanto dopo viene l’insegnamento del ciclismo. I percorsi di allenamento sono: l’avviamento al ciclismo, ovvero togliere le rotelle ai bambini, mentre a coloro che sanno già andare in bici insegniamo a destreggiarsi tra birilli, slalom, curve, quindi a utilizzare la bicicletta anche in relazione alla quotidianità, come ad esempio pedalare in un centro trafficato. E illustriamo le norme sulla sicurezza stradale».
Chi scrive vorrebbe asciugare, procedere un po’ per sottrazione, ma qui per molti l’esperienza alla scuola di ciclismo è totalizzante.
Per Tamara, infatti, «Il mio tempo in questo posto è il tempo della mia giornata. Io faccio tutto in relazione al ciclismo: studio perché voglio far crescere il ciclismo, quando esco da qui penso già a quello che farò il giorno successivo. Per me è un tempo fondamentale, loro sono la mia famiglia, sono casa. E i bambini con disabilità e neuroatipici, ai quali ho dedicato la mia tesi di laurea triennale in Scienze delle attività motorie e sportive, hanno dato ancora più senso alla mia presenza qui. Oggi infatti per me diventa difficile fare le assenze. Si crea una routine e se questi bambini vedono che questo punto di riferimento viene a mancare, diventa complicato. Siamo umani, ogni tanto può capitare anche il giorno di malattia, però il male che sento se devo assentarmi è peggio di un’eventuale influenza».
Ascolta l’intervista a Tamara Loiacono:
“Abbracciati” sulla hugbike
Il recente arrivo delle hugbike, le bici degli abbracci, ha costituito un’altra tappa importante nel percorso della scuola. Un tandem con il bambino davanti e il conducente sulla sella posteriore che impugna il lungo manubrio omologato e dà la sensazione al bambino di essere abbracciato, dunque rassicurato. Il sogno di Giuseppe Marzano, da quando è venuto a conoscenza dell’esistenza di questo tipo di bici, è quello di acquistarne più esemplari possibili.


Al momento, nella flotta delle oltre 200 bici della scuola, tra quelle a due ruote – con o senza rotelle – e i tricicli, otto sono proprio hugbike. «Ma ne avremo di più – auspica Giuseppe –. È una bici nata per i ragazzi autistici, che noi usiamo anche con i ragazzi con disabilità. E con disabilità sensoriali. Mi è capitato di assistere alla pedalata di un bambino cieco che non smetteva di sorridere: si sentiva protetto e prendeva il vento in faccia. Troppo bello! È mia intenzione creare un centro di bici hugbike, formando anche i genitori: quando dietro c’è il papà o la mamma, il bambino è ancora più felice. Ma anche il genitore si trasforma: è allegro, sente che sta facendo una cosa bella, vitale insieme al figlio».
Bambini che amano la bici. E stare con gli altri
Ha già imparato a guidare la hugbike Francesco Di Lorenzo, papà di Mirko, bambino neuroatipico di 9 anni. Che, come molti altri piccoli, è passato dalla bici degli abbracci, in due, alla tradizionale, su due ruote, da solo. «Però – precisa papà Francesco – continuiamo ad andare anche in hugbike. Mirko in questo modo si sente particolarmente al sicuro. Abbiamo fatto delle uscite con la scuola, anche nel quartiere. Ricordiamolo: questa è la scuola del quartiere San Paolo, un luogo che ha un particolare bisogno anche di queste iniziative. A Mirko la bici è servita molto per la coordinazione, per imparare a superare gli ostacoli, in ogni ambito. A me è servita perché… è bello vederlo pedalare. E poi è un’occasione in più per stare insieme. Con Mirko, gli altri bambini e gli altri genitori».






Sì, perché anche tra gli adulti si instaurano belle relazioni. Le parole di Tiziana Ciriberti arrivano a conferma: «Spesso ci sentiamo fuori di qui, ci frequentiamo con le altre mamme. Siamo una sorta di famiglia ormai».
Bici e inclusione
Tiziana è la mamma di un bambino di 8 anni, che pedala come un ciclista consumato: Lorenzo, detto il ribelle. «Mio figlio non rispetta le regole. Non ama proprio averle. È uno dei motivi per cui l’ho portato qui. Ma anche per farlo stare in un gruppo di bambini. Di solito socializza poco, tende a estraniarsi. Qui ha trovato persone professionali e dolci, che sanno accompagnarlo. Appena arriva alla scuola di ciclismo sale in bici e pedala anche due ore di seguito. Insieme ai bambini normotipici. Lui ha la forma più lieve di autismo, verbalizza, è abbastanza autonomo in tutto. È un bambino che ha bisogno di essere capito, integrato». Quale bambino non ha queste esigenze? «Vero. Eppure i piccoli come Lorenzo dagli altri, vuoi per mentalità, vuoi per mancanza di conoscenze, sono un po’ esclusi. E questo mi rammarica».
“L’autismo non è una malattia”
Le fa eco Francesco: «L’autismo non è una malattia, ma una condizione. Le persone vivono i bambini come mio figlio Mirko, che solitamente non hanno disabilità intellettive, con un po’ di distacco. Non molti sanno che se ti fai vedere disponibile con loro, ti ameranno. Bisogna far sapere, dire ovunque di avvicinarsi a questi bambini, perché amano tantissimo stare con gli altri».
Ascolta l’intervista a Francesco Di Lorenzo
Ascolta l’intervista a Tiziana Ciriberti
Dalla periferia il cambiamento possibile. Anche con una bici
«Voglio imparare a guidare la hugbike – Lucia ha deciso –. È l’obiettivo che mi do quest’anno. Voglio dirlo al signor Pino: sono tanti gli eventi che alla scuola organizzano e spero di togliermi la soddisfazione di portare io Miriana e Ludovica. Pregusto già quanto si divertiranno entrambe a vedermi dietro. Be’, pedaleremo insieme ma con una alla volta: cerco solo di essere una buona mamma, mica faccio miracoli!». O forse sì, verrebbe da aggiungere. Sicuramente non fanno miracoli Giuseppe Marzano e gli altri della scuola “Franco Ballerini”. Non servono: “bastano” umanità e sguardo largo per credere in certe cose. Ancora una volta è la periferia ad annunciare un possibile cambiamento. Il quartiere San Paolo di Bari lo fa attraverso questo centro di eccellenza che salvaguarda i diritti di tutti i bambini al benessere, al gioco, alla socializzazione.
Se solo sapessimo tornare un po’ come bambini, diceva qualcuno. Se solo provassimo a sentire il vento in faccia come loro. Non dovrebbe essere difficile, perché il vento è uguale per tutti. Qui a essere diverse sono solo le biciclette.