Storia della posizione in sella e della biomeccanica

La posizione in sella è cambiata nel tempo. Da quando è nata la bici, si è osservato uno sviluppo e un cambiamento radicale nella posizione assunta dal ciclista. Questa evoluzione ha portato alla nascita di una nuova scienza: la biomeccanica, che ha come obiettivo lo studio del rapporto tra il corpo umano e il mezzo meccanico a pedali. In questo articolo vedremo com’è cambiata la posizione in sella nella storia e quali sono stati i passi fondamentali della biomeccanica.

Indice
L’epoca del ciclismo eroico
L’impulso di Eddy Merckx
1972: Nasce la biomeccanica
Anni ‘80: il contributo di Hinault
Anni ‘90: la biomeccanica si fa scienza
Oggi: l’analisi dinamica
Concludendo

L’epoca del ciclismo eroico


Fino agli anni ‘50 l’epopea della bicicletta viene considerata “eroica”. Le bici erano pesanti e poco agili, le strade sconnesse e scarsamente asfaltate, le tappe lunghe e faticose, l’assistenza in gara praticamente nulla. Qual era la posizione in sella a quel tempo? Se si osservano le foto d’epoca, si potrà notare come quasi tutti i ciclisti assumevano una posizione che oggi chiameremmo “conservativa”: sella bassa e manubrio alto.

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Osserviamo ad esempio una foto degli anni ‘40 di Fausto Coppi il campionissimo. Si può notare come la sella sia bassa e il manubrio alto, come pedali con le ginocchia alte sopra il tubo orizzontale e la schiena eretta.

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Se prendiamo un campione del decennio successivo come Anquetil, si nota come la posizione rimane pressoché invariata. Infatti le gambe non si allungano mai totalmente.

L’impulso di Eddy Merckx


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Il personaggio che diede il maggior impulso alla modifica della posizione in sella fu, tanto per dire, il “cannibale Eddy Merckx”. Questa sua voglia di modificare l’impostazione di guida non era dovuta a volotà di performance, bensì da un’esigenza fisica: il belga infatti soffriva di lombalgia ed era molto sensibile alle modifiche millimetriche dei telai (quello che oggi si definisce un “micro adjuster”). Merckx era famoso per pedalare con una chiave a brugola in tasca, per fermarsi durante le gare e modificare l’altezza di sella, in modo da affrontare salite o discese in una posizione che alleviasse i dolori lombari. Grazie a lui l’impostazione in sella è diventata più moderna.

1972: Nasce la biomeccanica


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Nel 1972 esce il primo testo sulla biomeccanica. A pubblicarlo è il CONI, il comitato olimpico nazionale italiano. Il team tecnico italiano ha osservato una serie di 20 ciclisti che in quegli anni erano apparsi come i più vincenti, analizzandone posizione in sella. I tecnici pensarono che se quei ciclisti erano dei vincenti, chiunque avrebbe assunto la loro posizione avrebbe ottenuto miglioramenti.

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All’estero il testo divenne fondamentale, tanto da essere chiamato “the Italian Cycling Bible” ma attualmente è un testo superato. Infatti i consigli tecnici presenti non tengono conto di fattori come età, flessibilità o patologie del ciclista. Rimane comunque il primo passo verso l’avvio della scienza della biomeccanica, che fu perfezionata per tutta la decade degli anni ‘70 dai team corse belgi.

Anni ‘80: il contributo di Hinault


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Negli anni ‘80 il ciclista francese Bernard Hinault, si mise a osservare le bici dei corridori che partecipavano al Giro e al Tour, cercando di trovare un comune denominatore per quanto riguardasse la posizione in sella. Lo trovò e da quello creò alcune formule matematiche (la più importante è cavallo x 0.85 per calcolare l’altezza di sella) che finalmente rendevano la posizione in sella più soggettiva. Infatti i ciclisti non dovevano più copiare i corridori vincenti, bensì dovevano misurare il proprio cavallo, il femore, il busto e così via per poi trovare la propria posizione.

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Alle stesse considerazioni arrivarono l’americano Greg Le Mond e il suo team, che fissarono l’altezza di sella a 0,883 volte il cavallo. Ovviamente una formula matematica uguale per tutti non poteva essere la soluzione definitiva, poiché ciò che va bene per tutti non va bene a nessuno, però per la prima volta l’analisi della posizione in sella diventava soggettiva e prendeva in considerazione l’anatomia di ogni singolo ciclista.

Anni ‘90: la biomeccanica si fa scienza


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Nel corso degli anni ‘90 si trovarono a lavorare contemporaneamente (anche se in modo slegato tra loro) i più grandi in innovatori nel campo biomeccanico. Tre medici che hanno portato l’esperienza medica e fisioterapica, applicandola al ciclismo. Si tratta dello statunitense Pruitt (medico del team USA e creatore del Body Geometry di Specialized), il medico francese Hausalter (dell’Università di Lione) e il medico sportivo bolognese Zani.

Al primo ha creato il concetto di finestra biomeccanica, che ha fatto comprendere come la posizione in sella sia dinamica e non statica e che varia nel tempo secondo uno schema poco prevedibile ma in continua evoluzione. Il secondo ha effettuato valutazioni dinamiche della pedalata, arrivando a comprendere (con la telemetria, la radiografia e l’analisi termografica) come lavorano i muscoli in ogni fase della pedalata e quali sono i movimenti delle articolazioni. Il terzo ha realizzato numerose messe in sella e ha sperimentato su sé stesso (essendo un ciclista appassionato) le sue considerazioni, arrivando a capire le cause e i rimedi per le tecnopatie, ovvero delle patologie causate proprio da un’incorretta posizione in sella.

Oggi: l’analisi dinamica


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Negli ultimi anni, grazie all’introduzione massicca della tecnologia, si è passati da un’analisi biomeccanica statica a una dinamica, che ha “mandato in soffitta” le formule matematiche di Hinault. In ogni caso si è vista la nascita di differenti correnti di messa in sella, con i pro e i contro di ognuna. Rimane il fatto che la biomeccanica, esattamente come la posizione in sella, è una scienza dinamica e in continua evoluzione, influenzata anche dalle ricerche scientifiche nel campo della costruzione di telai e componenti.

Concludendo


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“È sempre la bici a doversi adattare al ciclista e mai il contrario” è una frase che ripeto sempre in ogni articolo dedicato al setup. Questo perché, nonostante lo sviluppo della biomeccanica, sono ancora troppi i ciclisti che acquistano bici di taglie errate solo perché in offerta o assumono posizioni sbagliate, se non dannose. Proprio come la biomeccanica stessa, anche la posizione in sella deve essere il frutto di un compromesso tra esigenza di performance, caratteristiche fisiche proprie e prevenzione degli infortuni e per questo deve mutare nel tempo. Esattamente come suggeriva Lao-Tzu, filofoso cinese dell’antichità: “ciò che è flessibile è resistente, ciò che è rigido è debole”. È un precetto che è stato applicato alle arti marziali ma che ben si coniuga anche con lo spirito della biomeccanica ciclistica.

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