Sulla montagna più alta dell’isola di Gran Canaria. Canyon, villaggi bianchi e pinete, il menu di una scalata di 48 chilometri capace di sorprendere a ogni curva.
Per buona parte dell’inverno 2022-2023 ho macinato chilometri con un unico obiettivo: riuscire a scalare il Pico de las Nieves all’inizio della scorsa primavera. Nel mio curriculum di salitomane mancava un’ascesa tropicale e il pensiero di dover salire per 48 chilometri dal livello del mare fino a quota 1933 metri è stato lo stimolo che mi ha fatto accumulare una quota di chilometri e metri di dislivello senza precedenti nei mesi invernali.
Non appena sono atterrato sull’isola, conversando con il conducente del minibus che mi portava in albergo, ho scoperto che la validità del toponimo persiste anche in epoca di cambiamento climatico: nel mese di gennaio, quando le condizioni si fanno più rigide, può capitare che il termometro scenda a zero gradi e cada qualche fiocco di neve. È l’eccezione di un clima estremamente regolare che oscilla fra una media invernale di 18° C e una estiva di 25° C, una condizione ideale per chi voglia improvvisare una vacanza in qualsiasi periodo dell’anno.

Prima della scalata al Pico de las Nieves ho preso dimestichezza con il clima e le strade del luogo con due tour di poco superiori ai 1000 metri di dislivello. Il timore reverenziale nei confronti del Pico de las Nieves mi ha accompagnato fino a quando non ho dato i primi colpi di pedale nelle vie di Playa del Inglés. Alessandro, guida di Free Motion e compagno di giornata, ha puntato dritto verso nord e in pochi minuti ci siamo messi alle spalle il disciplinatissimo traffico del litorale.
Il canyon che porta a San Bartolomé di Tirajana
Vado in bicicletta su strada da 33 anni e conosco un solo modo per scalare salite che superano i trenta chilometri di lunghezza: ascoltare il mio corpo e le mie gambe prima ancora della mia testa e disinteressarmi, nella maniera più assoluta, del ritmo di chi mi accompagna.
Quando Alessandro – 20.000 chilometri e 250.000 metri di dislivello annuali nelle gambe – accelera il ritmo dopo 6 chilometri, lascio che vada. Assaporo la luce obliqua del primo mattino, l’aria salata, le propaggini meridionali del canyon che di lì a poco inghiottirà tutta la mia attenzione. Dopo circa 8 chilometri, scorgo sulla destra il parco tematico Mundo Aborigen, dedicato alla storia e alla cultura delle isole Canarie. Qui, a 417 metri di quota, è stato ricostruito un villaggio dei Guanche, la popolazione preispanica che popolava le Canarie prima dell’arrivo dei conquistadores. Nel 500 a.C. alcune popolazioni berbere, provenienti dall’Africa nordoccidentale, colonizzarono l’arcipelago canarino e per 20 secoli vissero indisturbate fino a quando il Regno di Spagna fece di queste isole uno scalo fondamentale delle rotte marittime intercontinentali.
Lo sguardo sul panorama
La salita prosegue, con pendenze più abbordabili, fino ai 475 metri della Degollada de las Yeguas. Il punto panoramico merita una sosta: è il primo luogo dove si riesce a scorgere, in lontananza, il Pico de las Nieves.

Nel cono di questo punto di fuga ci sono le montagne del canyon attraversato a valle dal Barranco de Fataga. Arido e pietroso, il primo quarto della salita si conclude con 4 chilometri di discesa che ci riportano a quota 351 metri. In discesa, a una velocità che rende impossibile il riconoscimento, ci supera un professionista dell’Arkea Samsic che ha evidentemente eletto il Pico a palestra a cielo aperto del primo allenamento settimanale.
La strada riprende a risalire, fra case solitarie e qualche albero da frutto. Le pendenze sono pedalabili fino a Fataga, pueblo dopo il quale iniziano alcune serie di tornanti con percentuali in doppia cifra. L’asfalto è perfetto, con una ventina di chilometri nelle gambe il mio “diesel” lavora al meglio. Mi godo il panorama, l’azzurro incondizionato del cielo. Per il momento l’orografia mi protegge dal vento. Arriviamo a San Bartolomé de Tirajana. Un viale di palme poco sotto i 1000 metri di quota è davvero qualcosa di inusuale per il mio sguardo.
Il Pico sembra lì, a portata di mano, invece siamo appena a metà dell’ascesa, sia dal punto di vista chilometrico che da quello del dislivello altimetrico.
Giocando a nascondino con gli alisei
All’uscita da San Bartolomé de Tirajana c’è una sorpresa, un forte vento che arriva da oriente e che rende la salita ancora più impegnativa. Le pendenze oscillano per tre chilometri fra il 5% e il 12% e nei tratti controvento sembrano raddoppiare.

Dopo un segmento purgatoriale nel quale il vento mi schiaffeggia senza alcuna pietà, nel serpentone d’asfalto che attraversa El Sequero e Los Lomillos mi trovo gli alisei in poppa e raggiungo la Cruz Grande con l’animo rinfrancato. Superata questa sella, il vento sparisce come per incanto.
Mi ero informato sulla varietà dei microclimi, ma non credevo che le condizioni potessero cambiare così rapidamente, un po’ come quando al cinema si oltrepassano le cortine che separano la luce dell’ingresso dal buio della platea. Giocando a nascondino con gli alisei affronto un chilometro e mezzo di discesa e la dolce ascesa che conduce fino ad Ayacata. Qui decidiamo di fare una pausa per dissetarci e mangiare un panino.
Mancano 12 chilometri e 600 metri all’epilogo e lo scenario è cambiato un’altra volta. Quando ripartiamo la strada si snoda fra i mandorli dei quali ci siamo persi, per qualche settimana, la fioritura. Nei 3,5 chilometri che conducono fino al Mirador Presa de los Hornos l’ascesa si fa impegnativa: il sole è allo zenit, il caldo soffocante, le pendenze spesso in doppia cifra. Raggiunta quota 1600 metri, il Pino delle Canarie sostituisce le latifoglie. Pineta significa ombra e riparo dal vento. È l’inizio dell’epilogo.
L’arrivo al Pico de las Nieves
I quattro chilometri di pineta con una pendenza media del 2,3% che conducono a Llanos de La Pez sono l’ultima tregua prima dello sforzo finale. Si tratta dell’unico segmento in cui l’asfalto è dissestato, ma raggiunto il quadrivio posto a 1730 metri di quota, il fondo stradale torna a essere perfetto come sempre.

Nei quattro chilometri conclusivi si pedala costantemente all’ombra dei pini. La pendenza raggiunge il 10% solamente in prossimità di Altos del Pozo. In questo tratto di strada lo sguardo si allunga fino al capoluogo dell’isola, Las Palmas.
Ormai è fatta. La temperatura intorno ai 20° C, l’ombra costante negli ultimi otto chilometri, l’assenza di vento e le pendenze non impossibili rendono l’epilogo davvero piacevole. La strada asfaltata culmina a 1733 metri, appena 16 al di sotto del punto più alto di Gran Canaria. Il colpo d’occhio verso sud è il premio più grande: all’orizzonte si scorgono le dune di Maspalomas che si affacciano sull’Atlantico, poi si può ammirare la strada che risale verso Fataga e San Bartolomé de Tirajana.
La seconda metà dell’ascesa si attorciglia spiraliforme fino alla sommità, invisibile agli occhi ma ormai sedimentata nella memoria. Nella maggior parte dei casi la storia finirebbe qui, al culmine della salita, ma nello specifico sarebbe un racconto parziale perché anche la discesa, solo nella prima metà identica all’ascesa, ha regalato grandissime emozioni facendomi scoprire un’altra faccia dell’isola canarina.
Ammirando la Fortaleza
Alla vigilia della scalata al Pico de las Nieves avevo chiesto ad Alessandro di evitare il ritorno con i quattro chilometri in contropendenza della Degollada de las Yeguas, già pedalati nel nostro tour di “acclimatamento” all’isola. La risposta era stata entusiasta: “Ti farò scendere da una valle bellissima, vedrai”.

Eccezion fatta per l’asfalto accidentato di Llanos de La Pez, la prima parte della discesa è puro divertimento. Si attraversano le pinete sottostanti il Pico e si torna ad Ayacata. Una leggera contropendenza ci riporta alla Cruz Grande ed ecco che ritorna il vento. Le raffiche di vento mi costringono a tenere le mani ben salde sulla parte bassa del manubrio: l’alto profilo delle ruote della mia Cannondale Super Six subisce il cosiddetto “effetto vela” e mette alla prova le mie doti di pilota.
Nel tratto che conduce fino a San Bartolomé de Tirajana devo fronteggiare la spinta laterale degli alisei, un supplemento di tensione nervosa che si aggiunge all’attenzione richiesta da qualsiasi discesa. La discesa prosegue verso Santa Lucia de Tirajana dove comincia una valle laterale a quella dalla quale siamo saliti al mattino.
È l’ora del tè, quella con la luce migliore. Superato il centro abitato ci lanciamo con entusiasmo nella discesa dall’asfalto perfetto che ci conduce fino al cospetto della Fortaleza, una doppia formazione rocciosa che ricorda le gobbe del cammello. Qui, a est del Barranco de Tirajana, le popolazioni aborigene dei Guanche trovavano riparo nelle grotte, oggi visitabili all’interno di un’esperienza museale outdoor e indoor.
La discesa prosegue per altri 10 chilometri con pochi tornanti ma moltissime curve. Attraversati Sardina ed El Doctoral il vento diventa nostro alleato sulla litoranea in leggera discesa che ci porta a Juan Grande. Un paio di strappi prima e dopo San Agustín non sono che una pura formalità. A 500 metri dalla filiale di Free Motion nella quale devo riconsegnare la mia bicicletta sento che qualcosa non va. La gomma posteriore ha perso pressione. Qualche colpo di pompa e l’anello di giornata (113 km e 2580 metri di dislivello) è chiuso. Di una cosa sono certo: le immagini di questa fantastica giornata di ciclismo resteranno indelebili nella memoria.