In Italia, salvo rare eccezioni, le ciclabili – siano esse piste in sede protetta, corsie disegnate su strada o percorsi promiscui ricavati sui marciapiedi – fanno mediamente schifo. Un’affermazione un po’ tranchant, direte voi. Una constatazione, dico io, suffragata da decine (se non centinaia) di esempi che sono sotto gli occhi e sotto le malcapitate ruote di tutte le persone che utilizzano una bicicletta e sono costrette a pedalare su infrastrutture spesso deficitarie sotto il profilo della sicurezza e largamente sotto gli standard minimi della decenza.
Come sappiamo bene qui su Bikeitalia, la mobilità ciclabile rappresenta una soluzione sostenibile, economica e salutare per i problemi di traffico e inquinamento delle città. Eppure, in Italia sembra che realizzare infrastrutture ciclabili efficienti e sicure sia una sfida insormontabile. Mentre paesi come l’Olanda e la Danimarca – ma aggiungerei anche la Francia, che non è solo Parigi – costruiscono reti ciclabili integrate e funzionali da decenni, noi restiamo al palo. Ma quali sono i motivi alla base di questo immobilismo? Ecco una lista con i 10 fattori principali.
1. Progettazione centrata sulle auto
In Italia, la priorità delle amministrazioni è quasi sempre quella di favorire il traffico automobilistico. Le strade vengono progettate e mantenute pensando principalmente alle auto, relegando le biciclette a margini poco sicuri o a soluzioni di ripiego. Questo approccio non tiene conto delle esigenze di sicurezza e continuità necessarie per chi pedala.
2. Mancanza di competenze tecniche specifiche
La progettazione delle ciclabili richiede competenze tecniche specialistiche che spesso mancano nei team italiani oppure non sono richieste dalle Amministrazioni che si trovano a realizzare una ciclabile. In altri paesi, i progettisti seguono corsi dedicati e si aggiornano costantemente sulle buone pratiche legate alla ciclabilità. In Italia, invece, si tende ad adattare soluzioni che diano il meno fastidio possibile allo status quo dominato dalle auto. Soluzioni molto spesso, se non sempre, inadeguate.
3. Normative arretrate e burocratiche
Le normative italiane sono spesso troppo rigide o obsolete. Ad esempio, la larghezza minima delle ciclabili o le regole sulla promiscuità con i pedoni non rispecchiano gli standard internazionali più avanzati. Inoltre, l’iter burocratico per approvare e finanziare i progetti è lento e farraginoso. E poi si producono i risultati che sappiamo.
4. Investimenti insufficienti
Secondo dati abbastanza recenti pubblicati nel dossier di Clean Cities “L’Italia non è un paese per bici” (2022), il Belpaese investe nelle auto 100 volte di più che nelle bici. Questi numeri parlano chiaro: senza risorse adeguate è impossibile costruire una rete ciclabile degna di questo nome. Se poi ci mettiamo anche i tagli lineari ai fondi per sviluppare e manutenere le ciclabili il quadro è completo.
5. Carenza di una visione strategica a lungo termine
Nonostante l’approvazione nel 2022 del corposo e dettagliato Piano Strategico per la Mobilità Ciclistica, in Italia di fatto manca una cabina di regia nazionale per la ciclabilità che coordini gli sforzi delle diverse regioni e città. Per questo molti interventi ciclabili vengono realizzati a macchia di leopardo, senza una visione integrata che garantisca continuità e fruibilità. Spesso solo per utilizzare fondi europei già stanziati e destinati a questo scopo, che altrimenti andrebbero persi.
6. Scarsa volontà politica
La bicicletta da più parti è ancora vista come un mezzo di trasporto marginale, utile solo per il tempo libero e per lo sport. La mancanza di una volontà politica forte – a livello nazionale e locale – è evidente nell’assenza di piani ambiziosi e si riverbera nell’abitudine a destinare alla ciclabilità solo fondi residuali.
7. Errori progettuali ricorrenti
Le piste ciclabili italiane – come raccontiamo quotidianamente su Bikeitalia – sono spesso un campionario di errori: percorsi interrotti, corsie troppo strette, promiscuità pericolosa con i pedoni. Questi difetti strutturali non solo scoraggiano i ciclisti, ma possono anche mettere a rischio la loro sicurezza: tanto che molto spesso, paradossalmente, è più sicuro pedalare su strada che non sulla ciclabile progettata male e realizzata peggio.
8. Incapacità di coinvolgere cittadini e stakeholder
I progetti ciclabili raramente nascono da un confronto con chi utilizza quotidianamente la bici. L’assenza di processi partecipativi porta a infrastrutture poco funzionali e mal accettate dalla comunità che pedala. E i portatori di interessi della ciclabilità hanno sempre meno voce rispetto a chi osteggia le ciclabili per partito preso o perché non ne capisce l’utilità – come i commercianti contrari alla perdita di posti auto davanti ai loro negozi. E quindi le Amministrazioni ridimensionano i progetti ciclabili al ribasso, snaturandoli e rendendoli poco utili e talvolta dannosi.
9. Freni culturali e sociali
In Italia purtroppo, duole dirlo, la bicicletta è ancora percepita come un mezzo di serie B rispetto all’auto. Nel Codice della Strada la bici continua a essere chiamata “velocipede” e non si tratta soltanto di una sfumatura linguistica. Serpeggia strisciante un pregiudizio culturale che ostacola l’adozione di politiche ambiziose per promuovere la mobilità ciclistica.
10. Modelli virtuosi ignorati
Nonostante l’accesso a studi e best practice internazionali – come quelli presentati e premiati periodicamente dal Summit Mondiale della Ciclabilità Velo-city, dal 1980 a oggi – l’Italia sembra ignorare esempi ciclabili di successo come le reti ciclabili di Copenaghen, Utrecht o Parigi. Invece di adattare queste soluzioni pronte all’uso, implementabili e scalabili, preferiamo continuare a fare infrastrutture per bici inefficienti e inefficaci, che hanno il solo “merito”, diciamo così, di non dare troppo fastidio alle auto.
Trasformiamo l’Italia in un Paese Ciclabile
Il ritardo dell’Italia nella realizzazione di infrastrutture ciclabili non è inevitabile. Serve una svolta culturale, politica e tecnica che metta finalmente la bicicletta al centro delle politiche di mobilità. Guardare ai modelli esteri e adattarli al nostro contesto è un primo passo, necessario.
Ma finché chi decide dove e come fare le ciclabili non avrà ben chiaro l’obiettivo da raggiungere e l’infrastruttura migliore per farlo, non sarà possibile sperare di colmare l’enorme divario che ci separa dai paesi ciclisticamente più avanzati di noi.
Purtroppo devo dare ragione a tutti i punti. Abito in un paese della provincia di Torino e vari punti li sperimento: le corsie ciclabili sono frammentate, 300 metri qui uno, 400 metri la, altri 200 da un’altra parte; marciapiedi camuffati da ciclabili per usufruire dei fondi europei su strade di nullo traffico automobilistico, per cui inutili dal punto di vista utilità; ciclabili con fondo dissestato e con rientranze cieche non necessarie per presenza di muretti che tolgono la visuale; sostanziale isolamento ciclabile dagli altri paesi. Per fortuna abito in un paese e non corro molti rischi se vado in bici sulle strade del paese, alcuni paesi vicini posso raggiungerli tramite strade di campagna, anche se per alcuni devo percorrere pezzi di provinciali più o meno trafficate per raggiungere il centro o raddoppiare il n° di km, per altri è più complicato per la presenza di torrenti il cui attraversamento è dato solo da una statale molto trafficata.
Col PNRR si è persa un’occasione storica per creare una rete ciclabile che colleghi ogni paese a tutti i paesi vicini e di paese in paese a tutta Italia, coordinando gli sforzi di comuni, province e regioni, progettando infrastrutture per superare gli ostacoli naturali e via dicendo. Ma non disperiamo, forse i miei nipoti potranno andare da casa a Roma in bici senza fare una statale
Purtroppo ho avuto la sfortuna di percorrere le piste ciclabili olandesi. Un italiano non dovrebbe mai mettere il naso fuori dall’Italia oppure andarsene con biglietto di sola andata, perchè il confronto con qualsiasi Paese del nord Europa -almeno per quanto riguarda la mobilità urbana- è impietoso. Le città italiane sono mediamente ferme allo stesso modello di mobilità di cinquant’anni fa. Utilizzare la bicicletta per muoversi a Bologna è un delirio, tra furgoni che parcheggiano sulle ciclabili per fare carico/scarico, piste ciclabili disegnate a terra tra corsia veicolare e zone di sosta auto.
[Questo commento è stato moderato prima della pubblicazione > https://www.bikeitalia.it/linea-guida-moderazione-commenti-su-bikeitalia-it/ – Bikeitalia.it]
buongiorno sono una ciclista urbana di Genova..tutto sommato mi accontenterei di tutto ciò che hanno creato x agevolare gli spostamenti in bici…il problema è che raramente sono rispettati gli spazi adibiti alle bici in primis dalla polizia municipale che sostiene che Genova non è x le bici!!! … quando secondo me non è x le auto visto che c’è poco spazio!! i pochi spazi pubblici tutti impegnati x auto in sosta quando sarebbe meglio liberare tutto e fare girare la gente coi mezzi pubblici.. oppure con mezzi piccoli come bici scooter mini car!! invece si comprano il SUV e poi ti dicono che 10 cm di bici…ingombra e crea traffico 🙄
Condivido ogni parola dell’articolo, aggiungo che una ciclabile che si rispetti dovrebbe vietare il transito almeno ai cani.
I limiti di velocità nelle ciclabili intercomunali sono ridicoli.
Mi trovo sostanzialmente d’accordo con le osservazioni fatte. La denominazione di velocipede piuttosto che bicicletta sarebbe ininfluente se la cultura dell’auto non rendesse vano ogni tentativo di mobilità dolce, sia a piedi, che in bicicletta.
Per un certo periodo ho sperimentato la bici da corsa, poi sono passato all’ebike, purtroppo l’età incombe, ma la preoccupazione maggiore e la disincentivazione all’uso della biciletta viene dallo stato pietoso in cui versano le strade italiane e, nella fattispecie quelle della Versilia.
Le radici degli alberi, gli attraversamenti per gli allacci, il passaggio selvaggio della fibra, sono, con la scarsa professionalità progettuale e di direzione dei lavori, il maleanno maggiore per un uso più intensivo della bicicletta e molto spesso anche del semplice muoversi a piedi.
Le cosiddette piste ciclopedonali sono una delle peggiori soluzioni, unitamente a due altri errori (voluti) progettuali: il dimensionamento minimo NON rispettato e il saliscendi provocato dagli inviti in discesa per l’accesso delle auto alle proprietà private.
Vivo nei pressi del lago d’Iseo.
Hanno aperto da pochi mesi una ciclopedonale che da Vello arriva a Toline e poi l’hanno estesa fino a Pisogne per un totale di circa 8 km.
Questa strada, che costeggia il lago ed ha una vista fantastica, ha una carreggiata molto ampia visto che tempo fa era adibita al traffico.
Il problema per un ciclista è il limite di velocità imposto a 6 km/h che ho riscontrato quando ci sono passato a Novembre ‘24
(Un’ora e 20 minuti per percorrere 8 km)
Possibile che chi amministra/gestisce questa spaziosa ciclopedonale è così incompetente e non sappia adibire delle corsie per pedoni e per le biciclette e consentire a queste ultime di transitare con una velocità adeguata?
Chi per lavoro vuole spostarsi in bicicletta da Vello a Pisogne ci deve impiegare quasi tre ore per l’andata e il ritorno. E’ assurdo!
Mi vedrò costretto, la prossima volta, a percorrere la Strada Provinciale parallela che aimè presenta diverse gallerie.
prima di fare articoloni…sarebbe opportuno informarsi meglio…in Italia esistono pochissime ciclabili vere la maggior parte sono ciclopedonali….e fra le due C.è molta differenza….purtroppo in pochi conoscono la differenza quindi già da qui partono gli errori
Gentile Matteo,
prima di commentare sarebbe opportuno informarsi meglio: su Bikeitalia abbiamo ben presente la differenza tra ciclabili a uso esclusivo di chi pedala e ciclopedonali e c’è un link che lo spiega anche in questo articolo. Volevamo rappresentare un campionario di errori progettuali e realizzativi che in Italia sono presenti in buona parte delle infrastrutture per bici che ricadono nella definizione di “ciclabili” in senso più ampio.
Manuel Massimo – Direttore responsabile di Bikeitalia.it
ho scoperto la bicicletta dopo la pensione, grazie a mio marito, però più il tempo passa più ho paura girare nelle ns piste ciclabili. Il più delle volte sono a piccoli pezzi per immettersi poi nelle arterie stradali e successivamente tornare ciclabile, sistema molto pericoloso che quando sei stanco ti impedisce di focalizzare il pericolo. A onor del vero in Italia abbiamo un grosso problema, la carenza di spazio e le numerose e abbondanti costruzioni, certamente con un po’ di impegno si può migliorare la situazione
BUONGIORNO, purtroppo inerente le piste ciclabili è un GRANDE problema,io abito in mezzo alle DOLOMITI AGORDINE ,a me hanno fatto uno sfratto di un centinaio di metri 20 anni fa’ per una ciclabile,ma non è ancora in regola, oltre questo poi ci si ritrova in mezzo alla strada statale con vari divieti, per chi è del posto conosce alternative,ma per chi viene da fuori diventa un grande problema,io sono convinto che ci siano euro da spendere senza una vera REALTÀ,io e mia moglie abbiamo fatto in MTB il percorso di SANTIAGO , Corsica ,e mezza SARDEGNA, purtroppo in Italia le ciclabili sono a pezzi e INSICURE .
le piste ciclabili un Italia fanno schifo purtroppo si ha la cultura dell’auto!!!
A Piacenza ci sono le peggiori ciclopedonali di tutto il globo terracqueo… e c’è sempre qualche automobilista che ti urla contro, quando non le usi.
Abito a Torino, vado in bici da 60 anni, fino a 30 anni era il mio lavoro.
Ho letto l’articolo e i commenti.
Condivido tutto.
Però il vero problema è che mediamente, una decisione pro bici rende(consenso politico/voto) molto meno che una decisione pro auto.
Se vi può consolare 50 anni fare era peggio.
Teniamo duro fra 50 anni andrà meglio.
Tutto d’accordo, tranne il punto 9) che mi pare pretestuoso e che mi preoccupa pure un poco vista la serietà della testata: “velocipedi” e “biciclette” non sono termini equivalenti. Le “biciclette” sono quei particolari “velocipedi” identificabili dalle quote fisse del telaio detto “a diamante”, così come stabilito dall’UCI in occasione del Giro di Francia del 1936 (se non erro). Se il legislatore si sognasse di sostituire la previsione di legge col termine restrittivo di “biciclette”, taglierebbe fuori dalla normativa tutti gli altri veicoli a propulsione umana quali velocipedi reclinati, trike e quad reclinati, cargo-bike e probabilmente una buona parte di e-bike. Dai, ragazzi… com’è possibile che voi di bikeitalia incorriate in uno svarione del genere? ;-)
Buongiorno a voi , ho letto l’intero articolo e anche tutti i commenti che ha scaturito nelle persone ,anch’io vivo a Torino e purtroppo questa situazione la sento da quasi 25/30 anni che ne ho conferma, si traduce semplicemente nel preciso momento in cui apro la porta di casa per uscire appunto in bicicletta , è …mi sento come soffocare e prendere da una sensazione di nausea e schifo e mal voglia, verso questo stile di vita …che abbiamo concretizzato in tutti questi anni senza di fatto aver mai fatto nulla alla vera qualità del NOSTRO PAESE . Il problema più grande al momento anche INSOSTENIBILE secondo me è che noi essendo i veri padroni di questo posto che abitiamo e viviamo, non vogliamo interiormente migliorarlo perché fondamentalmente della bicicletta a noi non interessa nulla e ne ho avuto la conferma di questo molti anni fa da un assessore a Moretta. Al principio tutto quanto questo era un pensiero, che ha trovato conferma nei viaggi in moto all’estero che ho sempre fatto , rendendomi effettivamente conto di persona dello stato in cui erano e soprattutto NON DELLE BALLE CHE MI VENIVANO RACCONTATE SULLA BELLEZZA DI QUESTO SCHIFO DI OPERE DEL BEL PAESE ! Come hanno avuto il coraggio di chiamarlo … “il bel paese “
Qualche tempo fa ho chiesto udienza al sindaco del mio paese, di 10 mila abitanti, in provincia di Novara, per un problema di viabilità.
Ho constatato inorridito che la viabilità la decide lui, sentendo il parere della capa della polizia municipale!
Nessuno dei due sembrava avere la minima idea di come affrontare il problema che i ragazzini devono andare alle scuole medie passando da un tratto di strada lunga 2 o 300m, stretta tra due muri, in curva, in cui ci passano 2 macchine e 0 pedoni, e che le auto percorrono ad almeno 50 all’ora. questa strada è un pieno centro storico. Il sindaco non sapeva cosa fare, e la capa della polizia municipale diceva questo non si può, quello non si può, quell’altro non possiamo. Alla fine del colloquio in sostanza non si poteva fare niente di quello che ho proposto, e mi hanno raccomandato di portare le mie figlie a scuola in macchina, perché a piedi sarebbe troppo pericoloso!
Me l’hanno detto seriamente! Porti le ragazzine in macchina, non fate quella strada a piedi!
Ma più di tutto, la cosa che mi fa arrabbiare di più e’ quando le ciclabili vengono fatte, finite e poi restano chiuse per mesi a volte un anno, con il cartello “in attesa di collaudo”. E allora mi immagino un impiegato del comune con la sua bicicletta che percorre la ciclabile e poi urla “va bene!!!!”
Un’altra grande carenza italiana è la manutenzione. Perchè siano invogliabili bisogna mantenerle in ordine compreso ripassare la segnaletica specialmente quella orizzontale che è molto importante anche per la sicurezza
Io abito a Vigevano e lavoro a Paderno Dugnano, per mia scelta ho eliminato l’auto (quando mi occorre la noleggio), il mio è un bike to all.. In estate casa-lavoro quando posso 100 -120 die, in inverno treno fino a Milano e poi bici. La bici la uso anche per fare tutto il resto, quando posso cicloviaggio (Sardegna x ora 2025) e we. A Milano ed interland, come ha già detto qualcuno la maggior parte sono ciclopedonali e quando sono ciclabili..è uguale, non c’è la cultura. Il mio problema più grande in questo periodo è il parco nord alle6.30… gente coi cani ed i guinzagli allungabili o senza che ti corrono dietro e senza luci.. Però alla fine pedalare è bello e mi rilassa.. 2024 40.000 km pedalati
Qui in alto milanese siamo messi malissimo… Uscite a filo da negozi, da case private, da incroci ciechi e altri trabocchetti! Manutenzione zero e poi gli amministratori si vantano…. Meno male che abbiamo la ciclabile sul Naviglio, quest’ultimo diviso in corsie per pedoni e ciclisti in alcuni tratti, e il canale Villoresi che sono “quasi” belle…. Però é sempre una battaglia tra pedoni, cani, passeggini e mettiamoci pure troppi ciclisti pirla…..
A Finale Ligure non esistono piste ciclabili e non ci sarebbe neanche lo spazio.
Si può andare in bici sulla passeggiata, insieme ai pedoni che vanno sparpagliati con cani al seguito e convinti che le bici siano intrusi (non sanno leggere i cartelli); in estate e quando ci sono molti turisti la situazione peggiora, a volte non si riesce a procedere; ogni giovedì c’è il mercato e quindi non si passa; in molte occasioni ci sono feste con banchetti, a Natale le giostre; quando di vuole uscire dalla passeggiata, dove ci sono scivoli spesso ci sono doppie transenne anti moto.
Sulle strade spesso si incontrano auto ferme ai lati abusivamente che costringono ad andare in mezzo alla strada per sorpassarle, col rischio di portiere aperte all’improvviso. Auto e moto non rispettano i limiti di velocità (quasi sempre 50). Insomma ogni viaggio è un’avventura
a Firenze sono “bellissimi” i marciapiedi colorati di rosso per fare ciclabili o ciclopedonali.
Sono entrambi pericolosi e poco fruibili.
Rubare un piccolo spazio in in strada al transito od al parcheggio dei veicoli è impensabile per un amministratore cittadino.
Oltretutto spesso mi trovo a dover condividere le ciclabili o le aree ciclopedonali con scooter e moto, e guai a dirgli qualcosa!
Dividerei tra urbane ed extraurbane. Ok su quello che dite in merito alla vision. Da utente quotidiano dico che mancando una cultura della bici, le ciclabili urbane sono spesso pericolose, anche pericolosissime per la “promiscuità”, voluta o non voluta con i pedoni. Ho però dei rilievi strutturali di base: i cordoli ai margini sono spesso troppo larghi e troppo alti… si toglie superficie alla sede pedalabile e di fatto si crea un pericolo. C’è poi il gusto barbaro di fare “ciclabili” con sede viaria di asfalto più o meno grossolano colorato di rosso (….verde…azzurro) che stinge dopo un po’ di mesi…. senza attenzione alcuna a piccole gobbe o avvallamenti…
Il nostro mito abruzzese è la ciclabile della costa dei trabocchi….un biliardo dove in orari giusti vai pure a 35 orari …a bordo mare !!
Io vivo in Valtellina e qui abbiamo una delle ciclabili potenzialmente più belle d’Italia che si snoda da Colico a Bormio lungo il fiume Adda. In realtà si tratta di una vera e propria ciofeca mal progettata e ancor peggio realizzata. Per prima cosa è una ciclopedonale che per lunghissimi tratti ha una larghezza ridicola, pur passando in mezzo al nulla con tutto lo spazio per realizzare corsie separate per pedoni e ciclisti. La manutenzione poi praticamente non esiste, ci sono dei tratti che non vengono affrontati da nessuno per la presenza costante di radici affioranti, buche e ostacoli vari sul percorso. Per non parlare poi delle varie interruzioni o dei tratti sterrati che obbligano i bitumari come me a utilizzare le strade provinciali (per fortuna spesso poco trafficate) o la Strada Statale dello Stelvio (e qui c’è da farsi il segno della croce). Se volete calo anche il carico da novanta con la demenziale idea di realizzare il fondo di tutti i ponti o ponticelli con un materiale metallico scivolosissimo che, in caso di bagnato o semplice umido, diventano una trappola; ho perso il conto delle persone che conosco che sono cadute. E secondo voi qual’è la soluzione geniale che hanno trovato? Metterci un bel cartello che dice di condurre le biciclette a mano con buona pace dei poveracci che ci cascano sopra; vorrei proprio vedere qualcuno spingere la bici da corsa a piedi sulla passerella ad arco tra Sondrio e Albosaggia, magari in una giornata di pioggia, se fossimo su Candid Camera sarebbe divertente, nella realtà purtroppo si può solo provare pena per una situazione disastrosa.
Non posso che dare ragione a questo articolo ed al suo autore: in Italia manca completamente la cultura della ciclabilità ma, più in generale, manca la capacità di progettare e costruire opere funzionali e realizzate a regola d’arte. Questa cosa diventa ancor più evidente per chi come me abita a due passi dalla Svizzera dove queste porcherie non esistono.