Il metodo scientifico applicato alla mobilità ciclistica

Il metodo scientifico applicato alla mobilità ciclistica

Quando si parla di mobilità non si può lasciare che le cose avvengano per caso perché il modo in cui i cittadini si spostano è un fattore cruciale per la vita della città. Occorre una regia che prenda decisioni in modo consapevole e sapendo che a ogni azione corrisponde necessariamente una reazione.

Per governare la mobilità serve la visione di una realtà migliore. Ma la messa in opera dell’idea è una strada tutt’altro che semplice e può capitare di non raggiungere gli obiettivi preposti o, peggio, di commettere errori talmente gravi da avere ricadute anche importanti.
Dal 1600 a questa parte il metodo utilizzato per prendere le decisioni giuste è il metodo scientifico, un modo per trovare la strada compiendo tanti piccoli errori a cui rimediare in fasi tra loro successive.

Il metodo consiste in almeno quattro fasi ben definite:

  • Osservazione, dove chi sta effettuando un’indagine su un fenomeno specifico si pone una serie di domande, raccogliendo dati e informazioni varie indispensabili per portare avanti le ricerche;
  • Formulazione di una o più ipotesi attraverso lo studio e l’analisi di dati, cioè un primo tentativo di dare una o più risposte alla domanda generata dall’osservazione del fenomeno;
  • Sperimentazione, dove vengono attuati una serie di tentativi per risolvere le problematiche sollevate dal punto 1, verificando se l’ipotesi si possa considerare corretta o meno;
  • Conclusione, dove si cerca di arrivare alla formulazione di una legge in grado di spiegare il fenomeno in oggetto.

Per questo motivo nei paesi che meglio governano la mobilità urbana, in particolare quella ciclistica, si applica il metodo sperimentale realizzando dei prototipi in strada di quello che vorrebbe essere il progetto definitivo e, una volta ottenuti risultati quantitativi e qualitativi soddisfacenti, si procede con la realizzazione definitiva.

Questi tentativi, che ricadono in parte nel cosiddetto “urbanismo tattico”, consentono di valutare l’impatto di piccole modifiche che in molti casi possono rivelarsi cruciali. Possono bastare pittura, new jersey in plastica, conetti, vasi di fiori o altri elementi di arredo urbano per cambiare in poche ore il volto di una strada per poi valutarne l’effetto.

Il risultato non può, però, essere valutato in termini di “mi piace/non mi piace”, ma deve esserlo in termini di evidenze che siano inconfutabili, agli occhi dell’amministrazione e dell’opposizione, dei commercianti che rappresentano la spina dorsale (o nel fianco) di ogni cambiamento e dei cittadini che vivono la strada.

 

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Commenti

  1. Dario ha detto:

    Assolutamente d’accordo, ma sono di parte, in quanto ciclista urbano e ricercatore.
    Più in generale tutta la pianificazione urbanistica trarrebbe grosso vantaggio dall’assunzione di un approccio scientifico per le decisioni da prendere. All’analisi sperimentale classica si potrebbe affiancare la sperimentazione numerica, al pari di ciò che avviene nelle cosiddette “scienze dure”, basata sulla soluzione al calcolatore di modelli matematici che simulano le dinamiche urbane che si intendono studiare. Gli strumenti teorici e numerici sono ampiamente diffusi, ciò che manca è la cultura del loro utilizzo, soprattutto tra coloro che sono incaricati di prendere le decisioni.
    Scarico e leggo molto volentieri il vostro ebook.

    Saluti,
    Dario

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