Atterriamo a Jaipur (Rajasthan, India) alle 9:00, già sfiniti di prima mattina.
Il volo da Muscat delle 5 è durato solo due ore e quaranta, ma, dovendo imbarcare gli scatoloni con borse e biciclette, siamo andati in aeroporto con molto anticipo e abbiamo passato la notte in bianco. La OmanAir, se non altro, ha imbarcato molto gentilmente i box che sforavano di 5 o 6 kg ciascuno il limite dei 30 kg consentiti e non ha protestato per i nostri numerosi bagagli a mano.
Appena entrati in terra indiana, però, una brutta notizia ci aspetta: il primo ministro del paese ha deciso due giorni fa di ritirare le banconote da 500 e 1000 rupie (l’84% di tutte quelle in circolazione). La popolazione può recarsi nelle banche a cambiarle con i nuovi pezzi entro il 30 dicembre, inizialmente con massimali giornalieri molto limitati, poi senza soglie. Questa misura dovrebbe servire a ridurre il giro di denaro nero del paese e fermare la corruzione.
La questione non ci è nuova, ne abbiamo sentito parlare dall’Oman. Quel che non sapevamo è che i bancomat e i cambia valute, assaliti dalle folle in preda al panico per il cambiamento, non hanno più contante, nemmeno in aeroporto.
Insomma non abbiamo una rupia e non possiamo pagare un tuk tuk o un taxi per portare noi e scatoloni all’hotel. Spacchettiamo e rimontiamo le biciclette all’esterno dell’aeroporto, circondati da spettatori indiani per nulla discreti.
Ce la sbrighiamo in un paio d’ore (nulla confronto ai tempi di imballaggio) e poi partiamo, guida a sinistra, per i 14 km che ci separano dall’hotel nel quartiere di Bani Park. Il traffico è folle: motorini, biciclette, rickshaw, macchine, autobus e furgoni, senza regole, puntano verso la loro meta alla massima velocità che gli consenta di non urtare il vicino (sempre molto vicino). La potenza del clacson detta gli ordini di precedenza in un concerto di inchiodate, sorpassi e immissioni senza guardare.
Ci teniamo sul margine sinistro, dove però i pedoni camminano, data l’assenza di marciapiedi.
Trascorriamo tre giorni a Jaipur visitando tutti i bazar della città rosa, il palazzo del vento e i templi induisti, tra le altre attrazioni della città, ma soprattutto restando continuamente incantati, non solo positivamente, dalle attività incredibili che ci si svolgono attorno.
Il secondo giorno riusciamo a cambiare alcuni euro e a rasserenarci.
Mappa
Altimetria
Ci rimettiamo in sella il 17 novembre, alle 8 di mattina, quando ancora il traffico non è spaventoso, puntando verso Agra, la città resa famosa dal Taj Mahal, a circa 250 km. Nella grossa Agra-Jaipur-Bikaner Road (la NH-21) le biciclette non sono ammesse, o almeno non in uscita da Jaipur, stando ai cartelli. Ci spostiamo quindi su stradine laterali, a nord dell’arteria principale, e ci immergiamo in un paesaggio rurale formato da piccolissimi villaggi che si susseguono con continuità, popolati da indaffaratissime donne, nei loro sari arancioni, gialli o fucsia.
Gli uomini, almeno all’apparenza, preferiscono riposare all’ombra di qualche tettoia o badare al gregge. I bambini, nelle simpatiche divise, vanno a scuola in bicicletta o stipati in furgoncini. La strada è strettissima, ma il traffico scarso. Incrociamo principalmente motorini (con una buona media di tre persone trasportate) e i mezzi agricoli che diffondono musiche allegre per le campagne. L’ombra sul percorso non manca e non ci par vero, dato che è dall’ingresso in Iran, due mesi e mezzo fa, che attraversiamo zone a prevalenza desertica.
Non troviamo però ristoranti e altri servizi lungo questo tratto, quindi, dopo circa 75 km, ci immettiamo nella Agra-Jaipur-Bikaner Road e ci fermiamo a Dausa, piccola cittadina anonima dove gli hotel non mancano. Preferiamo non campeggiare in India, primo perché ancora non abbiamo instaurato un buon feeling con questo paese e la sua gente e secondo perché gli indiani, estremamente curiosi (per non dire invadenti), non ci lascerebbero dormire indisturbati se piantassimo la tenda in uno spazio pubblico.
La tappa successiva prevede l’arrivo a Mahwa, di nuovo attraverso 80 km di viuzze secondarie nelle campagne indiane.
A metà strada ci fermiamo a visitare l’incantevole Chand Baori di Abhaneri. Si tratta di un pozzo a tredici livelli di gradinate, disposte su tre lati, scendendo le quali si trova l’acqua, ad una profondità di 30 m. Sul quarto lato è incastonato un tempio dalle decorazioni finissime. Abbandoniamo di nuovo le rotte turistiche e torniamo a macinare chilometri nell’atmosfera rurale e tranquilla che tanto ci ha colpiti il giorno prima.
La strada è stretta e l’asfalto in condizioni mediocri, quindi impieghiamo diverse ore per percorrere gli 80 km della giornata.
Al nostro passaggio tutte le persone dei villaggi e i lavoratori dei campi alzano la testa, qualcuno saluta, qualcuno ci viene incontro e prova a comunicare, ma il loro inglese lascia spesso a desiderare e le conversazioni non vanno oltre a “what your country?” e “where you going?”. Tra i bambini quelli più audaci ci gridano “good morning”, mentre gli altri si limitano a fissarci esterrefatti.
A Mahwa ci rilassiamo nel giardino dell’hotel governativo senza alcuna intenzione di visitare la città: la sporcizia, il caos e i maiali visti all’arrivo ci sono bastati.
L’indomani ripartiamo presto in direzione di Fatehpur Sikri, un sito turistico interessante che intendiamo visitare in giornata, distante più di 80 km. Decidiamo, per rapidità, di prendere la Agra-Jaipur-Bikaner Road e ci stupiamo per il poco traffico e le buone condizioni dell’asfalto. Teniamo la media dei 22 km/h, pur facendo lo slalom dei motorini che ci vengono incontro contromano, dei carretti a trazione animale e dei loro escrementi. Siamo perfettamente consapevoli dei mezzi che sopraggiungono da dietro perché in India è consuetudine suonare il clacson per avvisare del proprio passaggio. Ci fa ridere che, sul retro di camion e furgoni, campeggi la scritta “blow horn” o “horn please”, come se ce ne fosse bisogno.
Con questa tappa abbandoniamo il Rajasthan ed entriamo nello stato dell’Uttar Pradesh.
Fatehpur Sikri è la “città fantasma” fatta costruire da un imperatore moghul nel 1570, delimitata da imponenti mura e con porte di accesso maestose, presto abbandonata per problemi di approvvigionamento di acqua. Quel che ne resta, però, è incredibile e perfettamente conservato. Una visita di un paio d’ore è d’obbligo.
Da Agra ci separano solo 45 km, di cui i primi venti sono di superstrada. Poi le condizioni dell’asfalto peggiorano e il traffico si infittisce in una sola corsia per senso di marcia. Siamo fortunati perché il primo ministro indiano è in visita ad Agra proprio in questa giornata e molte strade sono chiuse al traffico per l’occasione. Noi ne approfittiamo infilandoci tra le transenne, ma poi inevitabilmente raggiungiamo il centro di Agra, dove le bancarelle ambulanti e la quantità spropositata di moto, tuk tuk e rikshaw ci rallentano la pedalata. Visitiamo l’incredibile Taj Mahal, monumento all’amore fatto realizzare dell’imperatore Shah Jahan per la sua defunta moglie. L’imponente, candido colosso, per quante foto si possa aver visto, lascia impressionati e ammaliati i visitatori.
Dopo Agra ci dirigiamo a Bah, a circa 60 km in direzione sud-est, percorrendo la via n. 62. È trafficata e attraversa diversi villaggi dove siamo costretti a rallentare perché i camioncini caricano o scaricano merci, i tuk tuk raccolgono decine di persone che saltano a bordo di corsa e i venditori di frutta, vedura e cibo occupano la strada insieme alle mucche indisturbate, sacre per la religione induista.
Nei pressi di Bah è in fase di completamento il primo tentativo di itinerario ciclabile di tutta l’India, che, attraverso 190 km di campagne e riserve naturali, collegherà il Taj Mahal di Agra con la città di Etawah.
Non essendo ancora ultimata e provvista di indicazioni, ne percorriamo solo 15 km, riuscendo comunque a perderci, tra il Chambal Safari Lodge e i 101 templi di Bateshwar: una miriade di cupole bianche dedicate a Shiva sulla sponda del fiume Yamuna, incantevoli al tramonto.
Il villaggio intorno è un putiferio di sporcizia e confusione.
L’India che stiamo scoprendo è esattamente questo: luoghi dal fascino incredibile disseminati nel caos più destabilizzante.