Sensore di potenza o cardiofrequenzimetro? Andiamo a vedere cosa è meglio per allenarsi in bici.
Quando si parla di allenamento nel ciclismo, due sono gli strumenti più utilizzati: i sensori di potenza (chiamati anche sensore di potenza) e il cardiofrequenzimetro. Il costo ancora elevato dei primi li rende dei prodotti per ciclisti esigenti mentre la facilità di acquisto dei secondi ha permesso una larga diffusione di tali strumenti. In questo articolo andremo a vedere come utilizzare al meglio entrambe le soluzioni, al fine di ottimizzare la propria preparazione ed evitare errori e ossessioni tipiche di chi diventa “schiavo” di questi dispositivi
Funzione di cardiofrequenzimetro e sensore di potenza
Molto spesso i ciclisti sono convinti che cardiofrequenzimetro e sensore di potenza siano intercambiabili, cioè siano due dispositivi che “fanno le stesse cose”. In realtà la differenza tra le rispettive funzioni è abissale:
- Sensore di potenza: registra la variazione di potenza espressa nell’arco del tempo, cioè la forza muscolare dovuta alla contrazione che viene applicata al pedale in un dato momento;
- Cardiofrequenzimetro: indica la variazione della risposta del cuore allo sforzo impiegato per esprimere tale potenza;
Nel primo caso ci troviamo quindi di fronte a un dato oggettivo: la capacità dei muscoli di attivarsi in modo sequenziale e coordinato (grazie al lavoro di gestione degli impulsi da parte del cervello) genera una forza che, grazie a ossa e tendini, si applica sul pedale. Questa può variare sulla base dell’intensità della contrazione, dell’affaticamento muscolare, dell’accumulo di lattato nel sangue o della “rotondità” di pedalata, cioè la capacità di compiere un gesto il quanto più completo possibile.
Nel secondo invece il dato è la risposta allo sforzo muscolare: il cuore è la pompa che manda il sangue in circolo. Dal ventricolo destro il sangue viene mandato ai polmoni per ossigenarsi, per poi ritornare all’atrio sinistro e poi dal ventricolo sinistro essere mandato in circolo per il corpo. Più è alta l’attività fisica e maggiore l’impegno del cuore, che deve battere a ritmi più alti per sostenere la necessità di ossigenazione dei tessuti.
La risposta del cuore però non è univoca ed è influenzata dallo stato di forma fisica, dall’alimentazione, dalla temperatura esterna, dallo stress accumulato e da altre variabili esterne all’attività in bici.
Ad esempio su una salita un ciclista può esprimere 280 watt a 165bpm e una settimana dopo esprimere sempre 280 watt ma con una risposta del cuore a 158bpm. Questo perché il cuore si è adattato allo sforzo e quindi riesce a mandare in circolo la stessa quantità di sangue ma con minor impegno.
Bisogna certamente dire che i sistemi cardio hanno ormai un costo banale, alla portata di tutti, mentre i sensori di potenza sono ancora molto costosi e appannaggio solo di ciclisti esigenti che fanno gare, la cui attività giustifica il costo sostenuto.
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Soglie di lavoro a confronto
Il principio della variazione del carico (base della metodologia di allenamento della periodizzazione) afferma che lo sforzo deve continuare a variare nel tempo per consentire al corpo di adattarsi continuamente. Questa caratteristica meravigliosa del nostro organismo, cioè la capacità di modificarsi in base agli stimoli ai quali lo sottoponiamo, si chiama compensazione.
Esistono quindi diversi livelli di intensità e di sforzo, ognuno con il proprio obiettivo di allenamento: il termine tecnico di questi livelli è “soglia“.
Sia il sensore di potenza che il cardiofrequenzimetro permettono di definire diverse soglie di lavoro:
Sensore di potenza: le soglie sono calcolate come percentuale della FTP (functional threshold power), un test di controllo della potenza espressa che è stato creato dai PhD Allen&Coggan nel 2006;
Cardiofrequenzimetro: qui le soglie sono calcolate come percentuale della HRM, cioè della massima frequenza cardiaca sostenibile dal cuore. La HRM si calcola in modo approssimato con la seguente formula: 220-età (uomini) o 230 – età (donne);
Come usare sensore di potenza e cardiofrequenzimetro
La soluzione migliore sarebbe quella di utilizzare entrambi i dispositivi, per avere un’analisi completa della propria prestazione. Infatti è molto utile valutare come varia la risposta cardiaca allo sforzo: se per esempio il cuore inizia a lavorare in soglie diverse (con battiti troppo alti o bassi) a parità di watt, potrebbe essere sintomo di overtraining.
Un’altra interessante opportunità di utilizzo combinato dei due dispositivi è stata creata da Garmin: grazie all’uso dei sensori di potenza e della fascia cardio è possibile avere un dato della propria VO2max, con un errore del 2% rispetto al valore ottenuto con test con metabolimetro.
L’uso del solo cardiofrequenzimetro può essere limitante: si conosce solo la risposta del cuore ma non si può quantificare lo sforzo (a meno di non usare una scala di valore soggettiva, come descritto in questo articolo).
Anche il sensore di potenza da solo può non risultare la soluzione ottimale: si conosce la forza espressa ma non si può valutare se lo sforzo è sostenibile per il fisico o se si sta spingendo troppo ed è arrivato il momento di riposare. Può accadere anche l’esatto opposto: si pedalata a un wattaggio sempre costante quando invece si potrebbe spingere di più.
E’ quindi fondamentale incrociare i dati provenienti dai due dispositivi per controllare il proprio livello di forma: da una parte quanta potenza si riesce a erogare e dall’altra se lo sforzo necessario sia sostenibile o meno da parte dell’organismo.
Concludendo
Abbiamo visto la grande differenza che corre tra un sensore di potenza e un cardiofrequenzimetro. Si tratta di dispositivi utili a monitorare la prestazione ma il mio consiglio è sempre lo stesso: l’attività in bici, per essere performante, deve comunque essere divertente. Diventare schiavi dei dati è il primo passo verso l’ossessione e la riduzione del piacere in sella, che condurrà inevitabilmente a un calo della prestazione, nonostante tutta la perizia “scientifica” che sia possibile applicare.
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Articolo aggiornato a Luglio 2024
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