Ultracycling: pedalare il più a lungo possibile. Una tipologia di ciclismo che richiede la capacità di portare il proprio corpo oltre il limite della sopportazione fisica, mentale e psicologica. Ci si può preparare per questo? Se sì, in che modo? In questo articolo voglio esplorare le modalità di allenamento per l’ultracycling, con il supporto delle testimonianze di atleti e di massimi esperti del settore.
Il modello di prestazione dell’ultracycling
Per ultracycling s’intende quel tipo di attività in bici, che siano di viaggio o competitive, che coprono distanze maggiori di 200-300km senza pause nel mezzo. Qual è il modello di prestazione dell’ultracycling? Rispetto a una gara più corta, come una granfondo, troviamo delle peculiarità:
- Il metabolismo è prettamente aerobico, con un consumo elevato di grassi per la generazione di energia utile alla contrazione muscolare;
- La gestione del lattato è molto importante per poter pedalare per ore senza che vi sia un accumulo importante;
- La resistenza muscolare (detta anche resistenza alla forza) degli arti inferiori è fondamentale, poiché si deve continuare a pedalare anche in condizioni di notevole affaticamento del sistema nervoso;
- La percezione e la risposta cognitiva alla fatica è predominante, poiché nel lungo periodo l’affaticamento di tipo centrale e l’alterazione dell’omeostasi producono reazioni sempre più elevate da parte dell’organismo;
Il nostro corpo è programmato per fare 3 cose: riprodursi, risparmiare energia e scappare dal dolore. L’ultracycling espone l’atleta a sottoporsi a qualcosa che va contro tutti e tre i cardini della sopravvivenza, poiché si andrà incontro al dolore, al consumo incredibile di energia fisica e mentale e si andranno ad alterare stabilmente i sistemi responsabili del funzionamento dell’apparato digerente, riproduttivo e immunitario. Ciò accade perché quando pedaliamo fino l’85% del nostro sangue viene veicolato ai muscoli e ciò obbliga il corpo a “spegnere” altri sistemi che potrebbero sequestrare il sangue.
Il modello di prestazione dell’ultracycling presuppone quindi che l’atleta si alleni su diversi livelli: fisico, mentale-cognitivo e nutrizionale.
Come allenarsi per portare il corpo al limite
La preparazione all’ultracycling è di fondamentale importanza, poiché non è possibile improvvisare questo tipo di prestazioni. Come recita l’articolo “Participation and performance trends in ultracycling”(Journal of Sport Medicine, 2013), “tra il 26% e il 40% dei principianti non sono riusciti a portare a termine la competizione, la percentuale di donne finisher si attestava tra il 3% e l’11% e il 46% dei finisher erano atleti esperti”. Possiamo dire che l’ultracycling non si improvvisa.
Ma come possiamo allenarci per portare il corpo a fare qualcosa che va contro il suo stesso istinto di sopravvivenza? Ho chiesto un’opinione a Paolo Godardi, ultraciclista e primo italiano a coprire la RAAM (Race Across America) del 2023. La RAAM è una gara di ultraciclismo che prevede 4887 km e 50 mila metri di dislivello positivo, che Paolo ha coperto entro i 12 giorni previsti dal regolamento.
“I miei allenamenti prevedono almeno 500 km e 30 ore in bici a settimana, in qualunque stagione. Nei mesi più caldi posso arrivare a coprire 2000 km al mese” riporta Paolo. “L’obiettivo è abituare il corpo a pedalare in qualunque condizione atmosferica, caldo, freddo intenso, pioggia”.
Per un ultraciclista il volume di allenamento è la variabile più importante, da accompagnare però a un’elevata frequenza di pedalate. Non è possibile effettuare 200 km in un giorno, lasciare 4 giorni di stacco e poi farne altri 200km, perché tale allenamento non andrà a simulare le condizioni che si affronteranno durante l’ultracycling. La frequenza è importante poiché permette al corpo di abituarsi a stare in sella ore di fila, anche in condizioni di progressivo affaticamento e soprattutto a risalire senza che vi sia stato un recupero completo dall’allenamento precedente, aspetto che durante una gara è predominante.
Alti volumi ed elevata frequenza di allenamento sono, dunque, i principali strumenti per la preparazione all’ultracycling.
E a che intensità dobbiamo pedalare durante gli allenamenti? Per capirlo prendiamo a esempio lo studio “Pacing Strategies of Ultracyclists in the “Race Across AMerica” (International Journal of Sport Physiology, 2016) che ha valutato le strategie di pedalata dei partecipanti alla RAAM dal 2010 al 2014. Nello studio, viene indicato come “I primi 3 classificati sono partiti con un ritmo più veloce (~31,5 km/h) di tutti i finalisti (~27 km/h) e i non finalisti (~24,5 km/h), hanno raggiunto le velocità di picco più elevate (~ 34,5 km/h) e hanno mantenuto il loro picco velocità più a lungo (durante ~ 420 km) prima di rallentare, finendo
la gara con circa il 75% della loro velocità di partenza”. Se andiamo a prendere in esame l’intensità di pedalata, allora dovremmo cercare di passare più tempo possibile in una zona di intensità che si situi al limite superiore della Z2 (maggiori informazioni qui), che permette quindi di ottimizzare l’ossidazione dei grassi a scopo energetico, incrementa il volume dei mitocondri e consente all’atleta di abituarsi a tenere un ritmo medio per molti chilometri di fila, andando poi a ridurlo, per via dell’affaticamento progressivo, nel corso della gara di ultracycling.
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Ultracycling e la gestione cognitiva della fatica
Un altro aspetto fondamentale dell’ultracycling è il rapporto e la gestione con la fatica. Come afferma il professor Samuele Marcora, massimo esperto di fatica negli sport di endurance, la fatica è una percezione dell’organismo e non una sensazione definita.
La differenza può sembrare sottile ma è in realtà sostanziale. Una sensazione è uno stimolo nervoso che arriva al cervello, che può essere termico, doloroso o tattile (una carezza). La percezione è il significato che noi diamo a tale sensazione e dipende da numerosi fattori, come la predisposizione, l’umore, la paura.
In una competizione di ultracycling la fatica è una componente importante, direi preponderante. Il tipo di fatica è soprattutto di tipo centrale, cioè legata al sistema nervoso e cognitivo e non a quello muscolare. I nostri muscoli non sono in crisi anche dopo 500km, afferma lo studio “An ultra-cycling race leads to no decrease in skeletal muscle mass” (International Journal of Sport Medicine, 2009), ma lo è il nostro sistema nervoso, che perde capacità di contrazione muscolare perché non è in grado di attivare le unità motorie che compongono i muscoli. Da qui l’afferenza al cervello di sensazioni di fatica, cui l’atleta deve dare un significato.
E come fare? Ho chiesto a Omar Di Felice, probabilmente l’ultraciclista più famoso in Italia e reduce dalla conquista della Trans America Bike Race, come si prepara a gestire la percezione della fatica durante le competizioni di endurance.
“Io non faccio allenamenti specifici per le capacità cognitive” mi ha detto Di Felice “però mi alleno con la visualizzazione. Mi concentro a immaginare cosa troverò durante il percorso, l’obiettivo ma anche ciò cui andrò incontro, il limite che oltrepasserò. In questo modo riesco a prepararmi a ciò che troverò e a rimanere focalizzato sull’obiettivo, perché l’ho già visto nella mia mente”.
Anche Godardi sottolinea quello che ha affermato Di Felice: “Quando hai come obiettivo la RAAM sei consapevole dei sacrifici che devi fare, convivi con la stanchezza e ci fai i conti, non ci pensi e ti alleni”.
Diventa quindi importante il concetto di durability (che possiamo tradurre in italiano con “durabilità”). “È il momento in cui i vari parametri fisiologici iniziano a deteriorarsi a causa del fenomeno della fatica” riporta Elisa Pastorio, PhD student presso il British Cycling per un dottorato specifico sul tema della durability. “Misurare la durability in un atleta è importante sia come indicatore di prestazione tra chi è più resistente alla fatica e chi no ma anche come strumento per programmare l’allenamento. La fatica infatti riduce la critical power e quindi la capacità di espressione di potenza”.
Nutrizione per l’ultracycling
L’ultracycling e la sua preparazione richiedono un dispendio energetico impressionante. Nello studio “High energy deficit in an ultraendurance athlete in a 24-hour ultracycling race” (Proc, 2009) è stato visto che una gara di ultracycling di 24 ore non-stop produce un consumo energetico di 15mila chilocalorie, di cui l’atleta può reintegrare solo in parte (infatti gli atleti dello studio terminavano la giornata con circa 9000 kcal di deficit).
“Per quanto riguarda l’alimentazione, nel periodo antecedente alla gara assumevo pasti equilibrati, con carboidrati come fonte energetica”, riporta Paolo Godardi. “Durante la gara invece il mio team ogni 7 minuti mi passava una borraccia per l’idratazione e ogni 20-30 minuti assumevo piccole quantità di cibo per evitare di andare in stress e deficit calorico”.
“L’assunzione di carboidrati durante l’attività di endurance ha un effetto anche sulla durability”, conferma Elisa Pastorio.
Allenarsi per portare il corpo al limite è possibile?
È possibile allenarsi per portare il corpo al limite? La risposta è sì, si può fare. Partendo appunto dal modello di prestazione, dal concetto di durability e dall’approccio psicobiologico alla fatica, si può creare un piano di allenamento che ci porti ad abituare il corpo a gestire uno stress incredibile.
Ma una cosa è fondamentale per farlo: una forte motivazione. “Per partecipare alla RAAM del 2022 ho affrontato la Race Accross West di 930 miglia” dice Paolo Godardi. “Nel 2022 ho dovuto però interrompere la RAAM per problemi di salute (bronchite) a Washington. Così sono tornato a casa facendomi una promessa: avrei partecipato e concluso la RAAM 2023 a ogni costo”.
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