Noi genitori e l’ansia che il nostro pargolo diventi un campione

Immaginate questa scena: partita di calcio tra ragazzi juniores (13 anni). L’allenatore, un ragazzo di 30 anni che fa tutt’altro nella vita e che allena nel tempo libero, effettua una sostituzione. Il padre del ragazzino sostituito scende dalle tribune e malmena l’allenatore. Lo picchia con ferocia selvaggia, fino a mandarlo all’ospedale con un rene spappolato.

Non è una fantasia: è successo davvero durante una partita di calcio di ragazzini nel Lazio.

E non è un episodio isolato. Perché noi genitori viviamo con un’ansia costante: il nostro bambino deve essere un campione. Il che è un’idiozia: pensare che nostro figlio sia destinato a una fulgida carriera solo perché ha un minimo di bravura, è tra le cose peggiori che passano per la mente di un genitore.

Noi genitori

Lo vedo quando accompagno mio figlio Fabio, sei anni, a ginnastica artistica, dove qualche mamma si lamenta del fatto che la sua piccola stella della ginnastica non venga seguita a dovere dalla maestra (che ha 30 bambini scalmanati da seguire). Che invece di chiedere al bimbo “ti sei divertito?” fanno la lista degli esercizi “allora hai fatto la trave? E gli anelli? E quando impari il cavallo? E le gare? Ti ha parlato delle gare?”

Lo sento sulla pelle come un brivido quando un ragazzino viene da me a fare una visita biomeccanica e gli chiedo “cosa vuoi fare da grande?” e il padre risponde per lui “il ciclista!”. E il ragazzino si stringe nelle spalle.

Bambino in bici genitore

Non sto dicendo che non dobbiate mandare i vostri figli a fare sport. Fatelo senza esitazioni: che sia ciclismo, boxe, rugby, ginnastica, judo, poco importa. (Calcio? Boh, su quello scegliete voi). Impareranno che fare fatica non uccide ed è anche bello, che eleva lo spirito, che rende più forti e più sicuri. Scopriranno di non essere speciali come gli abbiamo fatto credere e che per riuscire ci si deve impegnare come e più degli altri.

Comprenderanno che non è così pericoloso uscire dalla gabbia dorata che noi genitori abbiamo costruito loro intorno.

Apprenderanno a perdere, a cadere al tappeto, a rialzarsi e a colpire più forte e non cadranno in depressione per un brutto voto o perché la compagna del primo banco non li guarda.

Così non arriveranno a 40 anni con corpi grassi e pieni di dolori, a imbottirsi di pillole per tenere a bada ipertensione e diabete come se fossero già vecchi.

Però fatelo con leggerezza, senza ansie.

Rassegnatevi: vostro figlio non è Roberto Baggio, non è Tadei Pogacar e nemmeno (per quel che mi riguarda come genitore) Yuri Chechi.

È solo un bambino.

Non permettete che le amarezze delle vostra vita rovinino anche la sua.

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