Umbria in bici lungo le strade degli antichi Naharki

È lungo oltre duemila anni il percorso che si può fare tra le province di Terni e Rieti, attraverso le antiche piste della transumanza, lungo le quali si spostavano i pastori Naharki (popolazione di stirpe umbra che abitava la valle del Nahar, oggi fiume Nera). Un tracciato che procede attraverso vallate ed alture disseminate di borghi, originatisi da quei villaggi che di stagione in stagione i Naharki, che con il tempo si trasformarono in Sabini, costruivano lungo i tratturi montani spingendosi, ogni anno, sempre più in là per arrivare infine sopra i sette colli e dare vita, con i primi insediamenti di capanne, all’embrione di quella che diventò, la “Città eterna”.

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Il punto di partenza per questo giro in mountain bike di circa 38 km è il centro nautico “Paolo D’Aloja” presso il lago di Piediluco. Da qui si prende la strada provinciale 79 in direzione Rieti e, subito dopo un chilometro, prima del confine tra le due province (Ponte Catenaccio), conviene fare una scorta di acqua fresca presso una fontana sulla sinistra della carreggiata, quasi sempre attorniata da una piccola folla di persone e di ciclisti. Superato il ponte, dopo la prima doppia curva, si procede lungo un rettilineo fino alla Madonna della Luce, una chiesetta di fronte alla quale si trova la deviazione per Colli sul Velino. Altro breve rettilineo fino ad arrivare alla prima salita del percorso, il cosiddetto “scatto dei falliti”, poco più di 400 metri con un piccolo dislivello del 3,8%, che finisce al segnale di stop da cui, svoltando a destra, si scende verso il piccolo lago di Ventina che si può vedere sulla nostra sinistra, proprio sotto la strada. Si prosegue oltre, e dopo un’altra doppia curva si gira a sinistra in direzione Rieti e poi a destra superando il passaggio a livello per continuare verso Terni – Marmore per meno di un chilometro dalla ferrovia, appena superata, fino a raggiungere, sulla sinistra, il bivio per Moggio.

Qui inizia la salita, l’unica vera salita di tutto l’intero percorso, circa 6 km di tornanti e rettilinei, quasi tutti all’ombra della fitta vegetazione di lecci, querce e arbusti tipici della macchia mediterranea, di cui si possono iniziare a respirare, a pieni polmoni, tutte le essenze mescolate al profumo del muschio e della terra che, nel sottobosco, ricoperta da uno spesso strato di foglie, rimane sempre umida, anche nei mesi più asciutti dell’anno.

Alla fine, però, la fatica è ripagata dalla veduta straordinaria che, dagli oltre 700 m s.l.m. di Moggio, si apre ai nostri occhi: un centinaio di chilometri di catena montuosa, a ridosso degli Appennini, proprio di fronte al nostro punto di osservazione, con il monte Terminillo che, con i suoi 2200 m, svetta tra tutti gli altri e che sovrasta la sottostante vallata, su cui risalta il lago di Ventina, già precedentemente incontrato lungo la strada, ed il fiume Velino che, con il suo corso sinuoso ricoperto di vegetazione spondale, procede attraverso i campi coltivati del fondovalle, prima di riversare le sue acque, nel sottostante fiume Nera, a formare la cascata delle Marmore. È la vallata attraverso la quale si spostava San Francesco,navigando con una piccola barca, durante i suoi primi viaggi missionari di cui rimangono, a testimonianza, i numerosi eremi e santuari della cosiddetta “Valle Santa”, tra cui, più importante di tutti, quello di Greccio a circa 5 km di distanza.

Durante la sosta, è possibile fare di nuovo rifornimento d’acqua, presso un altro fontanile, prima di affrontare l’ultimo difficoltoso tratto di salita che, da questo punto, inizia ad essere bianca e che ci costringe a procedere così lentamente tanto che può capitare di perdere l’equilibrio ed essere costretti ad appoggiare i piedi a terra, nel qual caso, la ripartenza sarà piuttosto difficoltosa per via del fatto che, il pietrame che si sfalda dalla montagna impedisce alla ruota posteriore di trovare la giusta aderenza a sviluppare la coppia necessaria,anche utilizzando il “rapportino”. Ancora qualche decina di metri e si arriva al valico, oltre il quale si comincia a scendere verso i prati di Stroncone poco prima dei quali, si svolta a destra seguendo la segnaletica della “GW del Nera” in direzione Marmore.

Da questo punto ci si addentra di nuovo nel fitto di una vegetazione di faggi e castagni, interrotta di tanto in tanto da radure assolate dove è possibile incontrare anche animali al pascolo e si continua così procedendo nel mezzo della montagna, intorno agli 800 m, prima di arrivare in località Cimitelle disseminata di piccole villette (altra piccola fontanella). Avanti così per qualche chilometro ancora, attraverso un percorso misto, molto divertente e particolarmente adatto per le uscite in gruppo,seguendo sempre la segnaletica fino a raggiungere il paese di Miranda che, dall’alto di un colle, sovrasta la conca Ternana. Da questo punto la strada è di nuovo asfaltata e si scende fino ad arrivare al bivio per Marmore, sulla nostra destra, da cui inizia un nuovo tratto sterrato che ci porta in località Rancio dove il fiume Velino, o meglio parte di esso, si ferma prima di iniziare la sua ultima discesa all’interno delle condotte forzate, per raggiungere la centrale idroelettrica di Galleto, il luogo in cui, da quasi un secolo, l’acqua diventa energia. Superato l’impianto di presa delle acque, ci si immette nella provinciale 79, entrando di fatto nel centro abitato di Marmore per voltare a sinistra, oltre la ferrovia, appena dopo il ponte “regolatore” per una sosta all’interno del parco “i campacci” nel quale, dall’alto della rupe, è possibile ammirare la sottostante valle del Nera, disseminata di antichi borghi arroccati sulle alture. Qui è stato inoltre allestito un parco di archeologia industriale dedicato agli impianti di produzione di energia elettrica che hanno segnato la storia di Terni, della sua acciaieria e del suo territorio. Una volta entrati in quest’area è possibile scendere, lasciando la bici, lungo i sentieri che portano in vari punti di osservazione, dai quali si può ammirare lo spettacolo straordinario del Velino che, con tre salti di 165 metri complessivi, si getta nel fiume Nera formando così le cascate più alte d’Europa.

Tornati sulla strada provinciale si procede, a questo punto, verso il luogo di partenza, ovvero il Lago di Piediluco, passando lungo lo sterrato che costeggia il Velino per riprendere poi la strada asfaltata lungo la quale si procede fino ad arrivare al bivio che dà accesso al paese. Si attraversa, a questo punto, il centro abitato dal quale si può ammirare il lago immerso nel verde delle colline che lo circondano e tra le quali spicca in particolar modo la “montagna dell’Eco” con la sua forma di piramide quasi perfetta facendo visita, volendo, al santuario di san Francesco costruito nel XIII secolo nel luogo in cui il santo si imbarcava per le sue missioni. Superato il paese, si arriva finalmente nel luogo di partenza, il centro nautico che ospita le Federazione Italiana di Canottaggio, dopo un percorso di circa 2 ore e mezza (al netto delle soste) attraverso millenni di storia, natura incontaminata, spiritualità e opere di ingegneria idraulica.

Piediluco 17 Settembre 2017- Alberto Carotti

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