VIBP (Vado in bici perché)

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La domanda più frequente quando la gente mi vede arrivare col fiatone (o sudato, se è estate, primavera o autunno) agli appuntamenti è senza dubbio:
Ma come te va?
Se sono in giornata polemica, la risposta più frequente è:
Ma come va a te di perdere tempo con parcheggi, traffico, multe, gente incazzata e benzina?
Se invece sono di buon umore, il più delle volte, rispondo:
Perché me piace.

Probabilmente si tratta di due diversi approcci al mondo e al vivere all’interno di una società: se siamo parte di un sistema, ognuno ha uno spazio e una quantità di risorse da dividere coi membri di quella comunità. Ogni cosa che faccio/facciamo ha un effetto e una ripercussione sul resto della collettività. Possiamo fregarcene e considerare i nostri bisogni personali più importanti di quelli del resto delle persone, come chi passa davanti agli altri in attesa alle file, chi favorisce l’assunzione del parente o dell’amico, o chi lascia la macchina in doppia fila, e quindi abusare del tempo e dello spazio di tutti; oppure possiamo sentirci legittimati da un sistema che compensa in maniera iniqua e monetaria questi “passaggi ai posti avanzati” di quella fila che è la società: una volta estesa la nostra corazza corporea fatta di carne, ossa e persona alla carrozzeria di un SUV bianco latte (mi si perdoni la generalizzazione grossolana, ma c’è troppo gusto a nominare la categoria, statece, è un fatto statistico), si sente in qualche modo giustificata anche l’arroganza che ne deriva.

Oppure possiamo adottare uno stile di vita più responsabile e rispettoso degli altri, e cercare soluzioni più alternative, magari più scomode a uno sguardo superficiale, e chiederci perché proprio così? Esistono altri modi?

Premetto che io non ho l’orto a casa, faccio la spesa nei grandi supermercati avvelenandomi quotidiamente con cibo prodotto con metodi e ritmi non naturali, a volte uso l’automobile e ieri me so’ pure comprato una coca cola. Quindi, lasciando la coerenza ai puri, la mia risposta prioritaria è quella in versione buonumore. Questo per dire che non intendo in nessun modo compiacermi delle mie scelte, e che non le reputo affatto alternative o rivoluzionarie, né tantomeno cariche di un qualsiasi senso estetico: non vorrei mai essere diverso dagli altri, mi piacerebbe piuttosto che gli altri fossero un po’ più uguali a me, almeno in questo, per citare le parole di un noto ex primo ministro davanti ai magistrati.

Tornando alla questione degli spazi comuni, possiamo però pensare al fatto che il telaio di una bicicletta è lungo poco meno di due metri, e la larghezza media di un manubrio 45 cm, che il suo peso oscilla più o meno tra i 7 e i 20 kg: ne tengo comodamente quattro in balcone, adagiate in piedi con la sola ruota posteriore a terra e il manubrio incastrato al parapetto, e c’è anche spazio per due cassette di vetro vecchio e un paio di vasi (senza piante dentro, solo terra).

Se penso di dover parcheggiare la macchina in balcone, sono frenato dal fatto che ne entrerebbe a malapena un terzo, e che dovrei chiedere ogni volta a qualcuno di aiutarmi a sollevarla sulle ruote posteriori, dato che peserà tra i 500 e i 1000 kg ed è lunga circa 4 metri. Dubito inoltre che entri in ascensore. Quindi sono costretto a lasciarla in strada, occupando suolo pubblico.

Certo, l’occupazione e l’usura di suolo pubblico vengono tassati tramite il bollo di circolazione: se Roma è piena di buche la responsabilità sono di quelle masse di acciaio e plastica da 500/1000 kg (senza contare camion e bus turistici, lì i chilogrammi sono un po’ di più) che schiacciano l’asfalto tutti i giorni. Qualcuno potrebbe obiettare che anche le biciclette schiacciano l’asfalto: io coi miei possenti 95 kg (80 + 15 di bici) contribuisco a rovinare il già precario fondo stradale, e manco ci pago tasse di circolazione sopra.

Nemmeno il parcheggio, pago.
E nemmeno la benzina, con le relative accise che ne gonfiano il prezzo.

Certo, è vero che ogni tanto mi ritrovo a gonfiare camere d’aria nuove quando le vecchie esplodono, magari proprio a causa di una di quelle buche causate da chi le paga e se le può permettere.

E che poi se ne lamenta, perché lavora, paga e pretende.

Mentre chi va in bici non ha certo tempo per lavorare, va a divertirsi. E poi manco rispetta il codice della strada, è sprezzante nei confronti di automobilisti e pedoni. Tale considerazione viene rivolta solitamente quando viene fatto loro notare che i cellulari alla guida o i limiti di velocità opzionali sono la norma: un patetico “e voi allora?” di chi si vuole così bene da decidere che lo smog che produrrà per sé lo respireranno tutti, che quei quintali di acciaio che sposterà occuperà suolo di tutti, che se li sposterà in modo irresponsabile, quei quintali di cui sopra, c’è ben poca possibilità che chi li riceve addosso sopravviva. Al contrario, l’unica volta che ho investito un grasso turista americano che mi è spuntato da dietro un bus fermo, traversando fuori dalle strisce, lui mi ha tenuto in piedi sulla bici preoccupato che non cadessi, si è messo a ridere e si è scusato per l’imprudenza. Senza scordare che il codice della strada è concepito per i mezzi a motore, sfociando nel grottesco nelle prescrizioni relative alle biciclette quando si tratta di applicarlo alla vita reale.

Ci hanno insegnato la meraviglia verso la gente che viola er codice, ora sappiamo che a volte è un delitto rispettarlo.

E comunque vado in bici perché me piace, e tutti i luoghi comuni e le ovvietà scritte qui sopra non dovrebbero mai essere necessari in un mondo come si deve.

Fonte | Abbondanti e Dozzinali

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