Iran in bici: le regioni azere e il Kurdistan

Iran in bici: le regioni azere e il Kurdistan

Entriamo in territorio iraniano a Nordooz, lungo il confine settentrionale del paese con l’Armenia. I controlli in dogana sono abbastanza rapidi perché questo passaggio di frontiera è poco utilizzato e non facciamo code.

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Il paesaggio è già incredibile, arido e aspro come non ne abbiamo mai visti. Le montagne ci circondano da ogni lato e sembra impossibile che le valicheremo. Intanto noi dobbiamo rispettare il codice di abbigliamento del paese, cioè abiti che non mostrino le forme del corpo e velo che copra i capelli per Chiara, calzoni lunghi per Riccardo. Le ultime città armene, dove avevamo programmato di munirci dell’occorrente, però, non offrivano molta scelta, quindi ci ritroviamo a sudare sotto strati di tessuti assolutamente fuori stagione e per niente adatti alla pedalata.

Mappa

Traccia gps | Mappa kml

Siamo diretti verso Tabriz e la rotta più gettonata (perché più piana) è quella che segue il confine azero fino a Jolfa e poi passa per Marand su stradone trafficate, per un totale di circa 250 km. Noi, invece, aspettiamo ancora visite da Cesena e abbiamo fretta di raggiungere Tabriz per incontrare Michela, la sorella di Riccardo. Decidiamo quindi di prendere la via delle montagne, lunga 140 km, ma con circa 3000 m di dislivello positivo. Lasciamo Nordooz in direzione Sud, sulla strada che si insinua in un intrico affascinante di monti e si perde continuamente dietro ad una nuova curva.

Il dislivello è immediato e ci troviamo a salire e scendere ripetutamente per centinaia di metri. È cambiato tutto rispetto all’Armenia: non ci sono più vegetazione, sorgenti d’acqua e venditori sulla strada. Ci fermiamo dopo 40 km e quasi 1400 m di dislivello positivo a Kharvana perché sono già le 3 di pomeriggio.
Il paesino costituisce il nostro primo faccia a faccia con la società iraniana, qui in una forma conservatrice: le donne indossano tutte un mantello nero che lascia scoperto solo il volto e in strada incrociamo quasi solamente uomini.

La gente del posto ci consiglia di raggiungere Tabriz, l’indomani, passando per Varzegan e non per Arzil, come era invece nei nostri piani, perché secondo loro questo percorso sale meno, anzi scende e poi rimane piano (ma si allunga di 40 km). Non troviamo connessioni internet per verificare online i dislivelli delle due opzioni e ci affidiamo a questo consiglio che riscuote il consenso generale. Partiamo prestissimo la mattina perché ci aspettano 140 km, in teoria di discesa e pianura. Lo scenario alle 7 di mattina è ancora più incredibile di come lo abbiamo lasciato al tramonto e sprofondiamo di nuovo nelle sue innumerevoli curve.

alba

Dopo una lunga discesa iniziale, però, le salite ricominciano a farla da padrone e ci troviamo a sfiorare i 2000 m. La strada per Varzegan è poco trafficata e l’asfalto in buone condizioni, ma le continue salite e discese ci rallentano molto. Alle 12:00 raggiungiamo il primo villaggio, distante 40 km da Kharvana.

Attorno alle 14:00 siamo a Varzegan e ci rifocilliamo dopo tanta fatica. Dopo questi 65 km è difficile pensare di farne altri 75 per Tabriz, con un dislivello incognito che ormai dubitiamo possa essere piano. Poco oltre la città fermiamo un pick up e ci facciamo caricare per 60 buoni chilometri perché dobbiamo assolutamente raggiungere Tabriz in giornata. Il paesaggio diventa molto meno affascinante e la strada decisamente più affollata, specie di pick up azzurri come quello su cui viaggiamo noi. Le vette aspre si diradano e, a parte qualche salita iniziale, il percorso è in lieve pendenza. Poco prima di Tabriz salutiamo l’autista (un folle, come tutti gli iraniani con cui saliremo in macchina) e rimontiamo in sella verso il centro per 15 km. Qui il traffico è impressionante e le regole della strada piuttosto deboli.

Controlliamo poi il dislivello e scopriamo con amarezza che la nostra prima opzione, per Arzil, oltre ad essere 40 km più breve, prevedeva 300 m di salita in meno. Ci piace pensare che, per quella strada, ce l’avremmo fatta solo con le nostre forze.

paesaggio-montano

A Tabriz, con Michela, facciamo una pausa di due giorni e cogliamo l’occasione per dare una sistemata alle biciclette, visto che scoviamo il quartiere dei negozi e delle officine per la bici. Poi visitiamo l’enorme bazar coperto e la moschea blu, le principali attrattive che la città offre.
La gente, o meglio chi parla un pò di inglese, ci ferma continuamente chiedendo da dove veniamo e se abbiamo bisogno di aiuto; qualcuno ci invita a casa propria per un thè, qualcuno ci dice di riferire in patria che qua non sono terroristi.

In uscita da Tabriz non esistono che grossissime arterie a tre o quattro corsie per senso di marcia; ci arrendiamo all’idea e imbocchiamo la n. 21 diretti verso Bonab, a 120 km di distanza. Il traffico è incredibile e, oltre alle macchine che sfrecciano alla nostra sinistra, dobbiamo fare molta attenzione a quelle parcheggiate a destra, che ripartono all’improvviso o aprono gli sportelli senza curarsi di noi.

Nonostante questo teniamo una velocità media superiore ai 20 km/h e all’ora di pranzo siamo già ad Ajabshir, con alle spalle qualche breve tratto di salita. Da qui ci restano solo 25 km pianeggianti e monotoni prima di Bonab. Il dislivello positivo della giornata è di circa 800 m e il traffico diminuisce parecchio dopo il bivio per Urmia, ma la tappa è sicuramente tra le meno piacevoli finora affrontate. L’Iran ha saputo offrirci, nel giro di soli 300 km, il paesaggio più remoto e poi quello più trafficato di tutto il viaggio.

Bonab è una città caotica, dove le attività rimangono aperte fino a tardi e le auto in coda sul viale principale sembrano non finire mai. Manca il concetto di piazza e tutto si svolge lungo le strade: gli incontri, il commercio e la passeggiata. Vediamo poche donne e quelle sono completamente coperte da un mantello nero.

Il giorno dopo non cambia nulla: altro stradone a due corsie per senso di marcia che attraversa un territorio arido, con poco dislivello e qualche centro abitato con parchi ben curati a lato della strada. Qui il pic-nic sembra un’abitudine diffusissima ed è comune vedere famiglie che si godono lauti banchetti subito a margine della carreggiata.

Percorriamo 50 km fino a Miyandoab e qui ci fermiamo per la notte. La tappa successiva ne prevede 60, di nuovo pianeggianti, ma la strada a 2 corsie per senso di marcia finisce e lo stesso traffico si condensa in una sola. Dove possibile sfruttiamo le nuove corsie in costruzione e passiamo tra i pastori con le capre al pascolo.

Attorno il paesaggio diventa meno piatto e ripetitivo, con rilievi tra cui la strada fa lo slalom. Ci fermiamo a Bukan e visitiamo la città, di quasi 200 mila abitanti. I curatissimi giardini sono il fiore all’occhiello di questo come di ogni altro centro abitato, oasi verdi in mezzo a un territorio aridissimo. Troviamo ovunque attrezzi per lo sport, giochi per bambini e fontane.

In questi 60 km salutiamo le regioni dell’Azerbagian (prima Orientale e poi Occidentale) ed entriamo nel Kurdistan. Lo capiamo, ancora prima di guardare la cartina, dagli abiti caratteristici che molti uomini indossano: calzoni larghissimi a pieghe, cinturona di stoffa in vita e camicia. Qualcuno, nonostante il caldo, indossa anche la parte sopra dell’abito, in tinta con i calzoni ed aperta a V sul petto.
La sera siamo invitati ad un matrimonio curdo e rimaniamo incantati a fissare gli abiti dai colori sgargianti che si muovono a ritmo di musiche tradizionali. Le donne, in queste circostanze, possono non indossare il velo e sfoggiare abiti estrosi.

Venerdì 16 settembre ripartiamo per una tappa di soli 32 km verso Saqqez, dettata dal fatto che qui salutiamo Michela, in partenza per Teheran. Dato il fortissimo vento contrario, non ci dispiace poi molto fermarci così presto. Il percorso prevede circa 400 m di dislivello positivo; la strada è a due corsie, piuttosto trafficata, ma con un buon margine laterale dove pedalare. Mohammed, un giovane di Bukan, ha insistito per accompagnarci nella tappa e poi, a Saqqez, ci porta in un bellissimo parco dove facciamo un pic-nic mischiandoci alle famiglie del posto. La città non offre molte attrattive; facciamo un giro per il bazar e le vie del centro, rifugiandoci di tanto in tanto nei vari parchi ombreggiati.

Salutata Michela, decidiamo di ritornare sulle strade secondarie e tra i villaggi remoti. Da Saqquez lasciamo la S-21 e imbocchiamo la n. 14 in direzione di Marivan. Il traffico finalmente è scarso e ritorniamo a pedalare tra le montagne, in un paesaggio arido ma piacevole. La strada è tutta una salita e discesa e procediamo piuttosto lentamente, anche a causa del forte vento contrario. Troviamo un market nei pressi di Bahram e poi due più avanti (aperti nonostante sia venerdì, giorno di festa per i musulmani) in un villaggio che non risulta da nessuna delle nostre mappe. Invece che fare la spesa, però, siamo invitati da una numerosissima famiglia al loro “pranzo della domenica”.

Ci guidano a casa loro, ci fanno accomodare nello stanzone da pranzo ricoperto di tappeti, dove stendono una tovaglia di plastica e preparano un gran banchetto a base di riso e zuppa di verdure, ceci e carne. Fino ad ora i pasti erano stati piuttosto monotoni: il 90% dei ristoranti qua offre esclusivamente kebab di pollo o manzo, cioè spiedoni con qualche pomodoro grigliato di contorno serviti all’interno del naan, il loro pane sottilissimo. Il tutto viene accompagnato da una strana bibita a base di yogurt, piuttosto acida per i nostri gusti.

Dopo questo pasto finalmente originale ci rimettiamo in strada, nell’intento di raggiungere Bastam, circa a metà strada tra Saqqez e Marivan. Il tempo cambia rapidamente e il cielo diventa scurissimo. Dopo poco, forse a causa dei lavori per la risistemazione della strada con tutto il materiale per la pavimentazione lasciato a bordo carreggiata, ci troviamo in mezzo ad una tempesta di sabbia. Non riusciamo a procedere perché a tratti non vediamo nemmeno la strada e il vento fortissimo ci spinge indietro. Cerchiamo un riparo e dopo poco troviamo un pick-up blu (la nostra ancora di salvezza di Iran) che ci porta sul cassone per gli ultimi 10 km, fino a Bastam, attraverso la tempesta, ad una velocità folle. Il dislivello totale della giornata è di circa 1350 m distribuiti lungo 65 km. Bastam è un paesino piccolissimo di poche case a margine della strada, due market e un ristorante. Ci fermiamo qui per la notte, ospiti di una coppia giovanissima, e proviamo a ripulire la sabbia che senza pietà si è infilata ovunque.

A 7 km da qui c’è il confine iracheno, con una situazione piuttosto instabile. Le persone del posto, però, con molta tranquillità, ci hanno assicurato che lgli spari sono ad almeno 5 km di distanza.
La polizia non manca di venire a controllare i nostri passaporti, rituale a cui ormai siamo abituati.
Ripartiamo di primissima mattina perché ci siamo convinti che il vento si alzi nel pomeriggio. Lasciamo Bastam insieme ai pastori che portano le greggi di pecore al pascolo e ci avviamo per la tappa di oggi: 70 km con circa 1000 m di dislivello positivo. Il profilo è inizialmente in salita, per una ventina di chilometri, attraverso il paesaggio del giorno precedente: montagne del colore della sabbia con vette rotonde e un fiumiciattolo povero di acqua che crea qualche oasi al centro della vallata.

paesaggio-arido

Sulla strada ci sono pochi servizi; facciamo rifornimento d’acqua e biscotti a Qamchiyan, poi per un pò non troviamo altro. Una volta arrivati al picco (2150 m slm) lo scenario cambia e iniziamo a vedere sempre più alberi sui pendii delle montagne. Scendiamo per parecchi chilometri e arriviamo lungo la sponda di un bellissimo fiume che si allarga formando uno specchio d’acqua blu davvero scenografico, con le montagne che lo lambiscono.

Al termine della lunga discesa restano 15 km per Marivan, che percorriamo rapidamente nonostante i continui dislivelli. Il paesaggio torna ad essere poco interessante e la città ci accoglie con una bella nuvola di polvere e sabbia. Ci riposiamo sfruttando l’accoglienza di un membro di Warmshowers, insegnante di inglese, davvero felice della nostra visita.

Nella parte di Iran finora visitata le persone dormono per terra, stendendo sui tappeti dei sottili materassini, quindi ci adeguiamo a questi usi e occupiamo di solito il salotto. Anche i pasti si consumano sul pavimento; per noi non è facile, ma cerchiamo di abituarci a stare seduti come loro e a non avvicinare il piatto alla bocca (lasciando a volte lunghe scie di riso).

La tappa successiva è in direzione di Sanandaj, il capoluogo del Kurdistan iraniano. Percorriamo spediti i primi 15 chilometri in uscita da Marivan, su un largo stradone a due corsie per senso di marcia. Poi la strada si fa più piccola e molto più tortuosa, un nastro a pieghe tra i versanti di tutte le montagne che ci circondano. Il traffico non è eccessivo. Saliamo di circa 1500 m, ma in maniera discontinua: le salite sono intervallate da tratti pianeggianti o di discesa. Attraversiamo Sarvabad, una città piuttosto grossa arrampicata sulla parete di un monte e poi procediamo risalendo il corso di un piccolo fiumiciattolo. Il paesaggio è decisamente più verde rispetto agli ultimi giorni, ma comunque il sole di inizio settembre rende afoso e secco il clima. Dopo 64 km ci fermiamo per il pranzo a Neqel, che offre qualche market e ristorante lungo la strada principale. Dopo un paio di ore partiamo per affrontare gli ultimi 25 km, non impegnativi, prima di Shuyesheh. Ci fermiamo per la notte in questo paesino di 500 abitanti e siamo di nuovo ospiti di una famiglia davvero felice di renderci parte delle sue tradizioni.

Continuiamo sulla 46, mentre la maggior parte del traffico diretto a Sanandaj è indirizzata verso destra al bivio prima di Shuyesheh. Ci troviamo quindi, di prima mattina, ad attraversare da soli un paesaggio montuoso dove il tempo sembra fermo. Solo il nostro passaggio dà attività alla scena.

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Dopo 11 km raggiungiamo i 2000 m circa e poi scendiamo reimmettendoci nel traffico, che comunque non è esagerato. Come ogni giorno le macchine ci suonano, chiedono da dove veniamo e se possono esserci d’aiuto. Dopo 45 km totali e 1100 m di dislivello positivo raggiungiamo Sanandaj, la più grande tra le città curde viste finora, ricca di parchi e con un grande bazar. Visitiamo la sua bellissima moschea e la casa dei curdi e poi troviamo finalmente dei ristoranti con un pò di varietà.

Dopo un giorno di pausa ripartiamo verso sud; la tappa per Kamyaran prevede 1100 m di dislivello positivo e circa 70 km sempre sulla S-21. Attraversiamo due brevi tunnel che, eventualmente, possono essere anche aggirati prendendo una piccola stradina sterrata. Durante la tappa una pattuglia della polizia ci dice per due volte di non stare sull’asfalto, ma nel margine stradale inghiaiato. Non li ascoltiamo, ma effettivamente la strada è parecchio trafficata e stretta, con molte bancarelle di frutta e fontanelle ai lati. Molte macchine suonano il clacson per salutarci, tre insegnanti accostano per offrirci delle fragole, altri per chiederci una foto e una ragazzina fa fermare la macchina dei genitori per farci compilare, sul suo quaderno, un format che sottopone a tutti gli stranieri, con dati anagrafici e firma. Ci sottoponiamo di buon grado a tutti questi riti, che in fondo ci divertono.

Il paesaggio attorno è montuoso e piacevole, ma molto simile a quello degli ultimi giorni.
Kamyaran, come quasi tutte le ultime città in cui abbiamo fatto tappa, si trova a 1500 m slm. Sulle nostre mappe è l’ultima città del Kurdistan, ma scopriamo che anche nelle prossime regioni troveremo una larga parte di popolazione curda. Ne siamo felici, perché non abbiamo mai trovato persone più ospitali di queste.