Una volta, mentre attraversavamo il Cammino di Santiago sotto una pioggia battente, un uomo più saggio di me mi disse che i viaggiatori hanno un demone e per quanto cerchino di soffocarlo, questi li spingerà a partire nuovamente. Forse è per soddisfare il mio demone che ho deciso di attraversare la Sardegna in bici in solitaria, lungo la costa ovest, in un viaggio che ho chiamato l’Occidentale Sarda. Viaggiando da soli ci si può permettere il lusso di avere tempo da passare a far nulla e le parole diventano superflue e si passano ore filate senza dire niente, in completo silenzio ed era quello che cercavo.
Il tragitto parte dall’aeroporto di Alghero – Fertilia: non appena si tocca la terra sarda si viene avvolti dagli odori della campagna, profumi di mirto, rosmarino e fico d’india, che inebriano il cervello e stordiscono. Si comincia a pedalare verso Stintino, attraversando una provinciale solitaria e battuta dal sole e dal vento. Il silenzio e la solitudine sono un aspetto predominante del pedalare in Sardegna, le strade sono poco trafficate, immerse in una campagna bruciata dal sole e affogata dal vento, avvolta dal frinire dei grilli e delle fronde degli alberi che sbattono. Un’altra componente è la conformazione del terreno, che fa della Sardegna una montagna avvolta dal mare. I tratti in salita si alternano a lunghi falsi piani e veloci discese, che non permettono mai di tirare il fiato, con il vento che spira contrario e appiccica i vestiti alla pelle e asciuga il sudore. Ma tutta la fatica si dimentica presto quando ci si trova di fronte al mare della spiaggia de La Pelosa:
Dal bel porto di Stintino (che merita un passaggio al mattino, quando le barche dei pescatori si allontanano) si ripercorre un pezzo di strada verso il paese di San Nicola e ci si dirige verso Porto Torres.
L’ingresso in città è anticipato da una brutta periferia industriale, che racconta di una città di passaggio, dove la gente parte o arriva, passa e va, poiché pochi si fermano a Porto Torres. Eppure non è così difficile ritrovarsi una domenica mattina sul lungomare a osservare scene come queste:
Una lunga pista ciclabile che costeggia il mare consente di uscire dalla città, dirigendosi verso lo stagno di Platamona. Si attraversa una provinciale silenziosa, attorniata da pinete fresche che odorano di resina e salsedine. La strada comincia a salire fino a scorgere in lontananza il profilo della rocca di Castelsardo, che da secoli scuta il mare di fronte.
La città vecchia, arroccata sulla collina, merita una visita, perdendosi tra le vie strette che sembrano carrugi liguri (la città in passato si chiamava Castelgenovese), dove è possibile incontrare vecchiette che discorrono in dialetto su usci consumati dal tempo.
Dopo aver cenato risalite le stradine e andate sulle balconate che danno sulla basilica e osservate il mare al tramonto, che assume colori magici, il famoso “mare colore del vino” cantato da Omero ne l’Odissea.
Da Castelsardo si risale lungo un’impervia salita, la prima di tante, che si dipana tortuosa nell’immenso entroterra sardo, un luogo silenzioso, fatto di vento, montagne e sole cocente.
Si passano paesi addormentati come Sedini, Sorso e Sennori, fino a giungere a Sassari. Il capoluogo di provincia ha un bel centro cittadino, ma essendo completamente lastricato dà l’impressione di percorrere la Parigi-Roubaix.
Una volta usciti da Sassari bisogna fare attenzione alle scarne indicazioni per la exStatale 191, per evitare di finire sulla superstrada Carlo Felice che, seppur poco trafficata, non regala certo momenti di gioia al ciclista che si trova a percorrerla. Dopo parecchi chilometri di saliscendi continui si arriva ad Alghero, la città catalana della Sardegna.
Nel Medioevo qui giunsero gli Aragonesi, che scacciarono i sardi nell’entroterra e costruirono un muro per dividere L’Alguer dal resto della Sardegna, creando un luogo dove si parlava e si viveva secondo i costumi della Catalunya. Ora la città vecchia è completamente votata al turismo ma una delle cose più emozionanti di tutta l’occidentale sarda è osservare il tramonto sul mare dai bastioni San Marco, evitando accuratamente i ristoranti dedicati alla clientela straniera.
Da Alghero si prende la statale 105, lungo uno dei tratti più belli e difficili dell’intero viaggio. La Statale serpeggia lungo una costa selvaggia, fatta di rocce che si tuffano nel mare.
Le salite di più chilometri si alternano a discese ripide fino a metà della statale, quando una salita spaccagambe permette di raggiungere l’elevazione massima, un culmine dove il vento è talmente forte che si dovrà scendere dalla bicicletta e spingere a piedi. La lunga discesa conduce a Bosa, uno dei borghi più belli d’Italia, le cui bellezze si devono condividere con frotte di turisti stranieri in gruppi organizzati, alla ricerca della mitica “pasta bolognese” conosciuta in tutto il mondo tranne che da noi.
Da Bosa la strada s’impenna notevolmente, su per uno strappo che conduce al paese di Suni, evitando di prendere la strada “alternativa” per Tresnuraghes, a meno di non voler finire così:
Una volta raggiunta Suni si prosegue in costa fino a Tinnura, un borgo arroccato che merita di essere fotografato per via dei murales di vita sarda che dipingono le facciate delle case.
La strada risale nuovamente, una serie di tornanti infiniti che conducono al punto più alto, la cittadina di Cuglieri, dalla cui basilica si domina l’intero Montiferru oristanese.
Finalmente si comincia a scendere e si torna a pedalare a fianco al mare, tra Santa Maria di pittinuri e Is Arenas, per poi addentrarsi nuovamente in un entroterra che è un trionfo di piante di fico d’india.
Passato lo stagno di Cabras e alcuni paesi facilmente dimenticabili, si giunge a Oristano, cittadina con un bel centro storico ma decisamente troppo trafficata. Se non siete allenati consiglio di dividere questa tappa in due tranche, usando Bosa come punto di sosta.
Da Oristano si prosegue per Arborea, percorrendo una statale piatta dove l’unica variazione di quota sono i dossi per ridurre la velocità.
Un tempo la zona era un’immensa palude infestata dalla malaria ma sotto il fascismo migliaia di contadini friulani e veneti vennero spediti qui a bonificare a colpi di pala e ad erigere la città di Arborea, costruita secondo i dettami squadrati dell’architettura fascista. Il silenzio intorno è rotto solo dal continuo cinguettio degli uccelli della laguna, mentre le strade sono attraversate dai trattori diretti alle fattorie. Nonostante il tasso di occupazione più alto dell’intera Sardegna, Arborea è una città triste e silenziosa. La strada è noiosa, la mancanza di dislivello tende a far spingere sui pedali, un errore che si pagherà caro. Infatti dopo aver attraversato il ponte di Marceddì la strada ricomincia a serpeggiare, battuta dal vento che viene dal mare.
La costa è unica nel suo genere: il suono delle onde che s’infrangono sulla battigia sono le uniche note in un silenzio generale, i paesi sono rari e sonnacchiosi. E’ la costa Verde, il tratto più incontaminato dell’intera costa sarda, un luogo dove il turismo di massa della Costa Smeralda non è che un brutto ricordo sbiadito.
Una discesa ripida conduce, dopo aver attraversato due villaggi turistici di una bruttezza esasperante, alla spiaggia di Piscinas, l’unica spiaggia europea con dune desertiche.
Il colore giallo della sabbia si fonde con l’azzurro accecante del mare, con il vento che solleva la polvere e brucia la pelle.
Per arrivare in spiaggia bisogna affrontare una strada sterrata con due piccoli guadi, per cui se non avete la mtb è meglio lasciare la bici e proseguire a piedi. Scendere fino a Piscinas e sedersi sulla riva di quel mare è un’emozione unica, tanto da pensare che se fossi stato Ulisse sarei voluto approdare proprio lì, per godermi quel luogo magnifico.
Da Piscinas si risale verso Arbus lungo uno dei tratti più solitari dell’intero viaggio. La strada sale, sale e sale senza mai smettere, infilandosi tra montagne brulle che sembrano Canyon americani, cosparse di bassi arbusti mediterranei e null’altro. Le auto non passano di lì perché non c’è nulla, nemmeno gli agriturismi di solito seminati per l’intero percorso: c’è solo silenzio, solitudine e colline bruciate, tanto che il rumore più forte è quello dei propri pensieri. Dopo una ventina di chilometri si raggiunge la vecchia miniera di Montevecchio e si sale ancora per Arbus.
Da Arbus la strada ricomincia a salire, come una condanna infinita a pedalare con la corona più piccola e il pignone più grande, con il fiato corto e il cuore a mille, fino al passo di Bidderdi, dal quale poi si scende per una discesa che sembra di volar giù dallo Stelvio.
Il termine della discesa è il borgo marinaro di Buggerru, che riposa di fronte a un mare così blu da mettere paura.
La strada poi risale nuovamente per raggiungere Masua, fino a trovare una vera e propria rampa dove le auto fanno fatica a salire, con pendenza media del 15%.
Il sole brucia la testa e la salita spacca i muscoli e ci si vorrebbe fermare a riposare ma non si può, non c’è uno spiazzo, ci sono soltanto sole, vento, silenzio e fatica. All’altezza del borgo di Masua s’incontra uno dei tratti più belli del viaggio, costeggiando un mare blu scuro punteggiato dai faraglioni e dallo scoglio di Pan di Zucchero.
La strada poi si distende fino a Carbonia e all’isola di Sant’Antioco, che si raggiunge attraverso un ponte che da l’idea di un cavalcavia.
La cittadina di Sant’Antioco ha una storia millenaria, prima nuragica, poi fenicia, romana, spagnola e infine italiana.
La strada nell’entroterra supera un dislivello leggero che dopo tutti quei chilometri da l’idea di affrontare il Mortirolo e si raggiunge la cittadina di Calasetta.
Fino al 1700 Calasetta non esisteva: è stata fondata da coloni liguri che ne acquistarono le terre. Calasetta è una piccola Genova, con il porto e i carrugi, con i citofoni dai cognomi “Parodi” e le case dipinte di bianco e azzurro che sembra quasi di stare in Grecia. Si può soggiornare alla Cà de Anna e mangiare al ristorante Palomar, sul porto.
E’ l’unico ristorante che nominerò, perché ho mangiato il miglior pesce della mia vita, cucinato in una maniera che mescola Liguria, Sardegna e Africa.
Calasetta è un posto magico e rimane nel cuore nonostante dopo tanto viaggiare ci si abitui a lasciare un luogo poche ore dopo averlo raggiunto.
Da Calasetta si torna indietro fino a San Giovanni Suergiu e si raggiunge Teulada.
Da qui s’inerpica l’ultima grande salita dell’occidentale sarda, fino al valico di Nuraxi de Mesu. Una salita squisitamente sarda, riarsa dal sole e battuta da un vento impietoso, fatta di tornati e contropendenze che bruciano i muscoli.
Ma quando si arriva in cima, ci si volta e si scorge Teulada in fondo alla valle, ci si vorrebbe mettere a piangere dalla gioia di avercela fatta, di esserci riusciti, di aver superato centinaia di chilometri di salite, discese e silenzio. La statale poi conduce a Pula, una ridente cittadina di mare, di quelle che vivono anche al di fuori della stagione estiva.
Da Pula il consiglio è di imballare la bicicletta e di raggiungere Cagliari in autobus, vista la pericolosità e il traffico dell’unica statale che conduce in città. Qui si lascia la bici al deposito bagagli dell’autostazione (che altro non è che un’edicola con uno piccolo spazio, 7 euro per 5 ore) e si risale l’intera città, fino a raggiungere la torre dell’Elefante e salirne gli scalini.
Dalla sommità si domina la città vecchia, Casteddu, e il cuore si riempie di gioia, di cose belle, di soddisfazione, di consapevolezza. L’occidentale sarda è finita, è tempo di tornare a casa. Il demone si acquieterà, almeno fino al prossimo viaggio.
Informazioni generali: Tappe e tracce GPS
Ho percorso l’occidentale sarda in sette giorni di pedalata per 705km complessivi, così suddivisi:
Tappa 1: Alghero – Stintino
Tappa 2: Stintino – Castelsardo
Dove dormire vicino a Castelsardo
Tappa 3: Castelsardo – Alghero
Tappa 4: Alghero – Oristano
Tappa 5: Oristano – Arbus
Tappa 6: Arbus – Calasetta
Tappa 7: Calasetta – Pula
Raggiungere la Sardegna
Alghero è facilmente raggiungibile con voli quotidiani Ryanair, così come Cagliari. In alternativa si può volare su Olbia e poi prendere l’autobus (sugli autobus sardi si possono trasportare massimo 2 bicicletta non smontate), oppure raggiungere l’isola coi traghetti che partono da Genova, Livorno e Civitavecchia
Difficoltà
L’occidentale sarda presenta numerose salite impegnative ma i problemi più importanti sono dovuti alla mancanza di servizi (molte strade sono isolate e non c’è anima viva in giro) e al gran caldo. In compenso le strade sono poco trafficate e tranne in alcuni punti dove il traffico veicolare si fa più presente, potreste quasi dimenticarvi del problema delle auto. L’asfalto è ben tenuto ma ci sono poche banchine dove fermarsi. Il sole e il caldo sono un problema, per cui evitate di pedalare nelle ore più caldi oppure usate dell’acqua per bagnarvi frequentemente e non dimenticate i sali minerali
Dislivelli
Ecco qui la mappa dei dislivelli delle varie tappe:
Cibo e acqua
Fate sempre rifornimento di acqua prima di affrontare le provinciali e le statali, poiché non ci sono fontane né alcun tipo di area di servizio e non è simpatico ritrovarsi senz’acqua con 30°C, il sole a mezzogiorno e 20km di fronte. Il costo della vita è lievemente più basso che nel continente, ovviamente lasciando stare le zone turistiche.
I vegetariani e vegani avranno vita difficile sull’isola, poiché ad eccezione del cesto di pane Carasau per il resto qualunque piatto sardo contiene latticini e cibi derivati da animali. Tutti i ristoranti accettano carte di credito e bancomat mentre nei bar è più difficile quindi prelevate quando potete poiché le banche non sono così diffuse al di fuori dei grossi centri abitati.
Assolutamente da provare i Culurgiones, ravioloni ripieni di carne e ricotta e le Seadas, tipico dolce di pasta ripieno di ricotta e guarnito con miele. Ad Alghero si possono mangiare le aragoste ma state all’occhio ai ristoranti per turisti. A Calasetta bisogna assaggiare gli affumicati di mare e il “cuscuso” (detto anche pilau), una specie di couscous marocchino cucinato però secondo i dettami della cucina ligure, quindi con una base di pesto.
Per il bere non potete non prendere “Sa Ichnusa”, la buona e fresca birra sarda oppure se preferite il vino il mio consiglio è di assaggiare il Vermentino oppure la Vernaccia di Oristano, che molti fanno in casa. Ovviamente non ci sarà ristorante che a fine pasto non vi offra un mirto ghiacciato.
Accoglienza
I sardi sono persone schiette e sincere ma molto disponibili. Il cicloturismo non è ancora molto in voga per cui parecchie persone s’intratterranno con voi per chiedervi cosa state facendo, dove andate e perché. Il mio gps era rotto e ho chiesto svariate volte indicazioni stradali e le persone sono sempre state gentili e affabili. Anche i proprietari degli hotel sono sempre stati molto disponibili (tipo farmi portare la bici in camera) e vogliosi di saperne di più su un continentale che girava l’isola in bici. Ovviamente bisogna “saper stare al mondo” quindi evitate i bar con personaggi un po’ ambigui e tenete sempre con voi le vostre cose. Per il resto non vi sono problemi a pedalare da soli in Sardegna, neppure per le donne, gli uomini sardi sono gentili e a parte qualche classico “spaccone” non si corrono pericoli.
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Piste ciclabili
A parte la pista ciclabile di Porto Torres e le incredibili piste a tre corsie di Arborea la Sardegna è priva di passaggi dedicati ai ciclisti. Lo scarso traffico però le rende quasi superflue.
Negozi e assistenza
I negozi di biciclette sono pochi e di solito sono “gommista, elettrauto, vendita motocicli e assistenza cicli”, insomma fanno un po’ di tutto. Portatevi camere d’aria, catena di ricambio e gli attrezzi. Se dovete recuperare un cartone per imballare la bicicletta prendete i numeri di telefono di più negozi e telefonate qualche giorno prima per organizzare la cosa, poiché i negozianti non sono abituati a questo tipo di servizio. Inoltre non vi smonteranno la bici, per cui dovrete arrangiarvi da soli. Io sono andato in una ferramenta e con 15€ ho comprato scotch, film da imballaggio, forbici e fascette elettriche e ho imballato la mia bici usando un cartone recuperato dal negozio Probikeshop di Pula. L’unico Decathlon per ora è a Sassari, è prevista l’apertura di un punto anche a Cagliari ma per ora non c’è.
Grazie ottimo percorso in una Sardegna diversa dallo stereotipo della Costa Smeralda.
Sono di ritorno dopo aver seguito questo percorso eccetto per qualche aggiustamento visto che arrivavo in traghetto a Porto Torres e non in aereo.
La mia prima tappa è stata pertanto Porto Torres-Stintino-Porto Torres-Castelsardo.
Note positive:
1. Ho visto una Sardegna che sta investendo in piste ciclabili. Quelle più recenti sono una parallela alla statale per arrivare a Stintino, una pura meraviglia di qualche km.
Bellissima ciclabile che collega anche Carbonia all’isola di Sant’Antioco di recente realizzazione convertendo una vecchia ferrovia dismessa
https://it.m.wikipedia.org/wiki/Ferrovia_Siliqua-San_Giovanni_Suergiu-Calasetta#:~:text=Nel%20luglio%202020%20%C3%A8%20stato,tracciato%20ferroviario%20dismesso%20nel%201974.
Infine anche nella zona di Teulada c’è una ciclabile parallela alla statale dove ci si può rilassare.
2. Il vento è stato un grande assente e non ho sentito la mancanza. Usavo questo sito regionale per trackare il vento
https://www.sar.sardegna.it/servizi/meteo/ventosardegna_new.asp
3. La rete ferroviaria non è così terribile come immaginavo. Sono riuscito a raggiungere Nuoro da Cagliari. Ho scoperto che ARST (la società di trasporti regionale) gestisce alcune tratte che non appaiono in altri siti e bisogna comprare due biglietti separati.
Mappa delle ferrovie in Sardegna
https://it.m.wikipedia.org/wiki/Rete_ferroviaria_della_Sardegna
Aspetti da migliorare
1. La tappa 6 Arbus-Calasetta ha la traccia sbagliata. Non si passa da Bugerru come descritto. Me ne sono accorto tardi. Andrebbe modificata
2. La tappa 2 ha un loop strano intorno a Sorso
Cosa avrei fatto di diverso
1. Mi sarei preso un giorno per girare l’isola di Sant’Antioco. Sembra un posto perfetto con 50-60km di loop per un giorno easy
Bel tour, complimenti….anche le raccomandazioni son pertinenti, io passo l’estate a Bosa e so bene cosa vuol dire pedalare in queste zone.
Un consiglio spassionato: evitate di affrontare i percorsi lunghi (e per lunghi intendo superiori ai 50 km.) nelle ore più calde, ogni anno sulla Alghero-Bosa qualche cicloturista deve ricorrere all’autolettiga, e quasi sempre per superficialità nel valutare la difficoltà del percorso.
Buone ruote a tutti
Complimenti per il bel giro, descritto molto bene. Applausi