La grande novità di Eurobike

È settembre ed è tempo di fiere di settore: a Las Vegas è in corso Interbike, in Germania si è appena conclusa Eurobike, quest’anno più gigantesca che mai.

Anche quest’anno le novità presentate sono state moltissime: dall’annuncio del nuovo deragliatore Campagnolo a trasmissione elettronica, alla nuovissima bicicletta da pista Cinelli progettata negli anni ’80, dal nuovo triciclo reclinabile e pieghevole della Gekko Trike, per arrivare all’edizione 2012 della World Traveler della Koga insignita con il Golden Award ed equipaggiata con ruote da 29” per i veri amanti dell’avventura (la vera avventura sarà trovare i pezzi di ricambio).

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Tutte cose di cui non si sentiva esattamente la mancanza. Il punto è che la ruota è già stata inventata ed è difficile pensare che nel 2011 l’industria del ciclismo possa portare qualche idea davvero innovativa, eppure…

Eppure qualcosa quest’anno è successo dietro le quinte dei coloratissimi stand della fiera.
Il giorno di apertura si è tenuta una conferenza avente a tema la responsabilità d’impresa delle aziende del settore, ovvero l’impegno che queste hanno nei confronti della salute dei propri lavoratori, dei loro salari, dell’impatto sull’ambiente dei loro prodotti.

Aver letto la notizia di un evento simile mi ha lasciato perplesso: l’industria del ciclismo nel terzo millennio si basa ampiamente sulla terziarizzazione della produzione, il made in Italy lascia sempre più spazio al designed in Italy, mentre la produzione viene sempre più de localizzata in paesi asiatici dove i veri produttori si fanno concorrenza sul filo del centesimo di euro alla faccia dei diritti dei lavoratori e della salvaguardia della loro salute e dell’ambiente. Fatta questa premessa mi chiedo: è davvero possibile e credibile un impegno delle aziende del settore su questo fronte? E se si, perché? Siamo davvero così ingenui da pensare che aziende che esistono per massimizzare il proprio profitto all’improvviso diventino buone e gentili nei confronti del mondo che le circonda solamente per renderlo un posto migliore in cui vivere?

I produttori di biciclette generalmente rientrano già per definizione all’interno della categoria di aziende etiche perché producono prodotti etici che fanno bene all’ambiente e alle persone. I prodotti connessi con il mondo della bicicletta sono durevoli, ben lontani dal concetto di usa e getta: rispetto al beneficio che apportano al pianeta e a chi li usa, quale può mai essere il danno ambientale o sociale causato dalla produzione di un manubrio, di un telaio o di una pedivella?

Viene il dubbio, quindi che la scoperta della Responsabilità d’Impresa possa coincidere con una mera esigenza di marketing: fare leva sulla fascia di mercato degli “eco fighetti” alla costante ricerca della carota più bio e della bicicletta più eco delle altre, costi quel che costi.

Sul mercato è già possibile trovare aziende che hanno fiutato il business e ci provano: Eco2Bike produce biciclette con il telaio realizzato in acciaio RICICLABILE (l’alluminio è riciclabile per definizione!!!) e fa di questo il proprio cavallo di battaglia.

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Probabilmente a breve potremo vedere sul mercato le prime biciclette che promettono di piantare un albero o di costruire un pozzo in Ruanda per ogni 100 pezzi venduti e con tanto di certificato appeso al sellino.

Mentre in una stanza si spiegava la responsabilità di impresa ai più, in un’altra stanza alcune tra le maggiori aziende produttrici (ACCELL, DT Swiss, Schwalbe, Selle Royal, SRAM, Trek) creavano il Cycle Industry Club, un’associazione con il preciso compito di sponsorizzare attività di lobbying per la promozione della ciclabilità. Il CIC si è già preposto l’obiettivo di raccogliere un milione di € per supportare la European Cycling Federation allo scopo di triplicare il numero di ciclisti sulle strade europee entro il 2020.

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Credo che proprio questa sia la reale innovazione emersa dall’ultima edizione di Eurobike: la presa di coscienza da parte degli operatori del settore che il tema della ciclabilità è una questione politica e che per convincere le persone a salire in bici non servono i Lance Armstrong, le alley cat clandestine o la lotta al doping, ma interventi specifici da parte di chi amministra la cosa pubblica. Fare pressione sugli amministratori della cosa pubblica è l’unica vera responsabilità d’impresa per gli operatori del mondo della bicicletta; fare fronte comune contro le lobby dei costruttori di automobili e dell’industria del petrolio per avere città meno inquinate e più vivibili.

Noi, nel nostro piccolo, ci cureremo della nostra responsabilità individuale continuando a pedalare, a fare massa critica e a monitorare l’operato dei nostri amministratori.

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