Finalmente in bici, di nuovo.
Negli ultimi mesi la bicicletta è stata per me un ideale, uno strumento rivoluzionario, un grimaldello politico, un concetto romantico, una macchina perfetta. In questi mesi per me la bicicletta è stata tutto fuorché l’oggetto fisico che è: ruote, tubi in acciaio, sellino, freni, catena, pedali e semplicità.
Però domani partiamo per un brevissimo viaggio.
Saranno 5/6 giorni di bici, strada e tenda. Per dormire sulla spiaggia e buttarsi in acqua appena aperti gli occhi, trascorrere regolarmente la prima parte del pomeriggio all’ombra di un albero a leggere un libro, mangiare frutta e sonnecchiare. Poca acqua, poco sapone, tanto sudore e tanti sorrisi di sconosciuti che incroci e ti invitano a bere un tè anche se non sanno neppure se parli la loro lingua oppure no (qui funziona così).
Un breve viaggio, quel tanto che basta per ricordarsi che l’importante nella vita è non prendersi troppo sul serio e che il mondo è pieno di cose veramente belle che attendono solamente di essere scoperte.
È un modo per sentirsi infinitamente piccoli ma perfettamente in armonia con un mondo gigante là fuori. È difficile da spiegare.
Non so di preciso dove sto andando. Verso sud, dice Pinar, alla scoperta di una delle mille penisole di questa costa stupefacente tutta in salita.
Non importa dove sto andando. L’importante è ritrovarti nuovamente lì, faccia a faccia con la strada, per vivere nuovamente una delle tante storie che sa inscenare. Svegliarti all’alba e andare a dormire poco dopo il tramonto, viaggiare al ritmo che ti suggerisce il cuore e ti permettono le gambe, fermarsi quando te lo impongono gli occhi e seguire i pensieri che girano esattamente con la stessa frequenza delle gambe.
E ogni tanto avere la sensazione che il senso della vita sia tutta lì. Enorme.
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