E’ durato appena pochi mesi il provvedimento “storico” che in Corea del Nord, dallo scorso agosto, consentiva finalmente anche alle donne di andare in bicicletta. E’ di pochi giorni fa, infatti, la notizia che tale provvedimento è stato reintrodotto dal dittatore Kim Jong-un, terzo figlio e successore di Kim Jong-il, il “Caro Leader”, che ha governato la Corea del Nord dal 1994 al 2001 e che nel 1996 ha sancito per la prima volta il divieto alle donne di utilizzare la bicicletta.
La Corea del Nord non è l’unico stato asiatico in cui vige un divieto simile, anche in Iran ed Arabia Saudita, ad esempio, la situazione è analoga. Ma mentre nei paesi islamici la causa ha radici religiose, in Corea del Nord la motivazione, almeno quella ufficiale, è che usare la bici per le donne sia indecoroso, una pratica contraria alla morale socialista. Secondo alcune fonti non ufficiali, in realtà, dietro questa spiegazione di facciata ci sarebbe un’altra causa, ovvero un incidente nel quale è rimasta uccisa la figlia di un esponente del governo nordcoreano di allora, mentre pedalava per le strade della capitale Pyongyang.
Dallo scorso 10 gennaio quindi, sono nuovamente scattati i controlli in strada della polizia nordcoreana, che sarà incaricata di multare le donne che trasgrediscono il regolamento (anche in caso si siedano dietro una bici guidata da un uomo) e confiscare loro il mezzo.
La decisione ovviamente non è piaciuta a ragazze e signore nordcoreane, sia perché le pone in una condizione sociale di svantaggio, sia soprattutto per motivi pratici ed economici.
In un paese come la Corea del Nord infatti, la bicicletta rappresenta un mezzo fondamentale per spostarsi e per compiere tutte le attività quotidiane, dalla spesa nei mercati, all’accompagnare i figli, fino al trasporto anche di grossi carichi. Vietare la bici ad una parte della popolazione, insomma, rappresenta oltre che un’ingiustizia sociale anche un grave danno per lo sviluppo dell’economia locale.
Foto | Il Post
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