Una piccola rivoluzione annunciata con un tweet, in perfetto stile Renzi, dall’assessore ai trasporti Lubatti: “Dal 20 luglio 2014 le biciclette entrano in metropolitana! Parte la sperimentazione, a breve i dettagli! @BikePride @GTT_Torino #sipuofare”.
Il si può fare finale (con tanto di hashstag) non è messo a caso. Il progetto di trasporto delle bici sulla metropolitana di Torino è stato sempre bollato come irrealizzabile e le resistenze da parte dei tecnici sono ancora tante. Ma l’Amministrazione pungolata dalle associazioni di ciclisti si è impuntata e vuole andare avanti.
Una prova non facile effettivamente, perché seppure la metro di Torino sia una delle più recenti al mondo non è stata assolutamente pensata per l’intermodalità. Lo stesso sistema VAL (Véhicule automatique léger) scelto, data l’alta automazione e la ridotta dimensioni delle carrozze, non prevede il trasporto bici.
Un grave errore commesso a monte che l’Amministrazione sarà costretta a portarsi dietro per sempre: cambiare il sistema oramai è impensabile e la seconda linea della metro, se mai sarà realizzata, per la necessaria interoperabilità dovrà prevedere lo stesso sistema.
Come sempre quando si deve adattare a posteriori un sistema i problemi da affrontare sono tanti. Nel caso specifico a cominciare dagli accessi (scale e tornelli stretti), per finire con carrozze piccole e per giunta completamente automatizzate.
Il primo problema si può aggirare utilizzando gli ascensori (le canaline per le scale sebbene siano diffuse e utilizzate, in Italia pare non siano regolate da nessuna legge) e utilizzando il tornello dei disabili (che però sta aperto più tempo alzando il rischio di evasione). Gli ascensori non sono enormi ma possono permettere di portare una bici. Per regolare l’apertura dell’accesso disabili invece saranno previsti degli appositi biglietti (dal costo di cinquanta centesimi a tratta da sommare all’euro e mezzo del normale biglietto, di cui sinceramente si poteva fare a meno). Ma fin qui tutto bene.
Il secondo problema sembra più serio: le porte dei convogli si chiudono automaticamente . Bisognerà prestare molta attenzione a non salire all’ultimo istante lasciando la bici mezza dentro e mezza fuori (non è detto che la fotocellula la percepisca) sennò sarebbero grossi guai (per la bici soprattutto). Lo spazio all’interno delle carrozze è l’altra questione fondamentale. La metro di Torino è formata da 4 carrozze larghe poco più di due metri, che occupano l’intera banchina, per cui aggiungerne è impossibile. Allargarle evidentemente anche. La sola possibilità (a costo zero) è quella di utilizzare lo spazio per i disabili già presente. Le bici sono più lunghe ma anche meno ingombranti. Per questo sarà possibile portare la bici solo sulle due carrozze provviste di spazio per i disabili e solo due per carrozza. Nessuna critical mass sul mezzo, insomma.
Per spiegare tutte queste limitazioni è prevista durante la sperimentazione – che andrà avanti sino a novembre -, oltre la segnaletica dedicata, la presenza di due steward per stazione che indicheranno ai ciclisti come comportarsi (in Italia se non ti muovi in auto pare tu sia considerato un minorato).
La sperimentazione sarà solo la domenica mattina dalle 8 alle 14, ma anche a regime, come nelle altre città, sicuramente gli orari di apertura ai ciclisti saranno quelli di ultra morbida, mattina presto e sera tardi.
Evidentemente rispetto ad una metro costruita prevedendo il trasporto bici avrà delle criticità ma resta il fatto che la possibilità di trasporto permetterà a quei pendolari (mattinieri) ai margini della zona fornita dalla metro o chi la sera si ferma in centro un po’ di più, di approfittare di un servizio che di fatto gli consente di rinunciare all’auto.
Tutto dipenderà da come andrà la sperimentazione. Evidentemente la grossa partita non è tecnica (come è pericolosa una carrozzina in un vagone è pericolosa una bici), ma culturale. L’intelligenza e l’educazione dei ciclisti permetterà di spostare l’ago della bilancia da una sperimentazione riuscita ad un completo fallimento. Sarà chiaramente cura dell’utente non creare disagi e insicurezza nel vagone, ma questo fa parte di ogni convivenza civile.
Però almeno stavolta bisogna dire che l’Amministrazione ci ha provato. Sfidando burocrazia e istinti conservatori.
La strada è ancora lunga (e tanti i problemi non ancora affrontati). Ma questo è già qualcosa.
Foto | nuovasocieta.it
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