In un viaggio lungo mesi, anni, capita di pedalare in tratti di strada che non hanno nulla di accattivante, chilometri da percorrere solo per raggiungere una determinata meta. Tratti in cui il motto “l’importante non è la meta, ma il viaggio” trova la sua smentita, e l’unica cosa che si desidera è arrivare il più in fretta possibile alla fine. Questo è quanto succede nel tratto di Alaska Highway che da Fort Nelson conduce a Grande Cache, 769 chilometri attraverso la terra del petrolio e del gas. Siamo nello stato del British Columbia, famoso al mondo per le foreste, le montagne, e le vaste aree selvagge, meno famoso per la grande produzione di gas e petrolio tramite il discusso fracking. Filari e filari di alberi nascondono alla vista i pozzi ed i campi di estrazione, che sono però traditi dal forte odore acido che a tratti permea l’aria.
Mappa
Il tratto di Alaska Highway che da Fort Nelson conduce a Fort St John, primo posto dove è possibile rifornirsi di cibo, sono 381 chilometri ondulanti, tra alberi palesemente piantati, riserve e boschi. Il paesaggio non ha molto da offrire ma si pedala comunque piacevolmente. A 56 chilometri da Fort St John tutto cambia. Un passo, Pink Mountain, segna la linea di confine tra un pedalare piacevole ed il delirio! Gas e petrolio qui sono in fase di sviluppo, nuovi pozzi, nuovi campi per i lavoratori e di conseguenza un via vai spaventoso di camion e 4×4. Per fortuna la presenza di una corsia laterale minima ci permette di pedalare quasi al sicuro, anche se al sicuro non ci sentiamo. La frenesia è tale che quasi nessuno rallenta per superarci, ci sentiamo davvero vulnerabili.
L’apice della pericolosità si raggiunge 20 km dopo Fort St John, a Taylor. Un ponte di ferro attraversa il fiume Peace, le sue acque marroncine e flautolente tanto si distaccano dai fiumi cristallini delle Northern Rockies che avevamo attraversato solo qualche giorno prima. Superato il ponte cominciano 2 chilometri di salita ripidissima. I 2 chilometri più lunghi del viaggio. Due corsie strette a salire ed una stretta a scendere, nessuna corsia laterale. Curve cieche e tratti molto ripidi. Una combinazione da brividi. La strada è trafficatissima, non abbiamo mai visto tanti camion assieme in vita nostra. Per fortuna la strada è ripida anche per loro che ci passano “ad un pelo” ma lentamente. Le jeep invece si comportano come se non esistessimo, sfrecciandoci accanto, arrivando a strombazzare per intimarci di levarci di mezzo. Stentiamo a credere di trovarci qui, in questo caos, considerando che non c’è nessuna grande, ma nemmeno piccola, città nel raggio di centinaia di chilometri. Ed è incredibile vedere la quantità di animali selvatici che pascolano serenamente a bordo strada, nonostante l’enorme quantità di veicoli ed il rumore assordante.
Riprendiamo fiato 21 chilometri dopo Taylor. Un detour di qualche decina di chilometri ci permette di abbandonare la strada principale ed andare a visitare un famoso ponte di legno sul fiume Kiskantinaw. È un tratto della vecchia Alaska Highway ed il ponte è datato 1942. Interamente in legno, la particolarità è che è stato costruito in un tratto in curva. Non è certo un monumento imperdibile, ma ha il suo fascino ed in più questa visita permette di riposare le orecchie ed i nervi dal caos della strada principale.
Ancora 30 chilometri ed entriamo a Dawson Creek, centro urbano medio dove inizia ufficialmente l’Alaska Highway. Per un normale turista le attrazioni del posto sono il chilometro zero dell’Alaska Highway e la vecchia stazione ferroviaria, per noi è un mega supermercato fornito di qualsiasi leccornia. Ospiti di un’amica di amici, ci concediamo quindi qualche giorno di pausa per riposare dal caos e rifocillarci adeguatamente.
40 chilometri dopo Dawson Creek si entra nello stato dell’Alberta, ma siamo ancora in pieno territorio di gas e petrolio. Fortunatamente le distanze tra i vari punti di riferimento si sono accorciate e si può viaggiare più leggeri. 87 chilometri dopo Dawson Creek si trova la cittadina di Beaverlodge, conosciuta nell’area per una scultura gigante di castoro, oggetto di molte foto di gruppo e selfie. Ma il vero gioiello del posto è il centro turistico e culturale. Il centro si trova all’interno di un vecchio ospedale, forse datato primi del secolo scorso, ed è gestito da un’amabile signora inglese, Liz, che si prende cura di tutti i visitatori offrendo loro caffè, tè e biscotti nella vittoriana sala da tè del centro. Un piccolo paradiso nell’inferno stradale.
42 chilometri da Beaverlodge comincia Grande Praire, il centro urbano più grande dell’area. Con i suoi 50.000 abitanti è per noi il centro urbano più grande da quando siamo arrivati in Canada. Non riusciamo infatti a trovare un posto dove mettere la nostra tenda e passare la notte, data la presenza continua di reti, divieti e case. Fortunatamente una giovane coppia del luogo ci invita a campeggiare nel loro giardino. Da qui ci attendono ancora 188 chilometri fino a Grande Cache, dove inizieranno nuovamente le montagne e, speriamo, la pace.
I primi 100 chilometri dopo Grande Cache, sono ancora pesantemente trafficati. Poi, ad un certo punto, come per magia, il traffico di jeep e camion scompare e ci si ritrova nuovamente nel nulla canadese. La strada ricomincia a salire verso le montagne attraverso fiumi e valli. Dal gas ed il petrolio, si entra nella regione del carbone. Qualche chilometro prima di Grande Cache, nella valle del fiume Smoky, una enorme miniera di carbone, attualmente in disuso, rompe il paesaggio.
Ancora 4 chilometri di salita ripida e siamo finalmente a Grande Cache, di nuovo immersi nelle montagne.
—
Se volete saperne di più sul nostro viaggio, potete seguirci su Facebook, Instagram e sul sito becycling.net.
Per supportare il nostro progetto è possibile inviarci una donazione su Paypal.
Il 50% verrà devoluto a World Bicycle Relief.
I commenti che non rispettano queste linee guida potranno non essere pubblicati