Quantificare i costi (ed i benefici) di ogni tipo di attività non è semplice e questo vale in particolare per il caso di beni e servizi che non sono scambiati sul mercato e che non hanno quindi un prezzo, come l’ambiente e la salute.
Esistono però delle tecniche, dette di valutazione economica, che permettono di trasformare variabili ambientali, biologiche e fisiche in una misura monetaria. È un argomento controverso, ma vorrei consideraste due punti importanti.
Il primo è che queste misure ci permettono di usare metriche comuni per confrontare progetti (as esempio nel caso di una analisi di costi e benefici o altre tecniche simili), e soprattutto ci permettono di includere una vasta gamma di aspetti (di salute, ambiente, entrambi importantissimi per l’economia) nelle decisioni politiche.
Il secondo, altrettanto importante, è che questi metodi non intendono assegnare un prezzo all’ambiente come tale o alla salute o la vita umana, ma piuttosto monetizzare le variazioni della qualità ambientale, o le variazioni del rischio per la vita umana, ed il loro conseguente impatto sul benessere degli individui.
In alcune tecniche, questionari ci permettono di misurare la “disponibilità a pagare” di un campione della popolazione per un miglioramento ambientale o per evitare un peggioramento (o la disponibilità ad accettare compensazione per un peggioramento, o per un miglioramento non avvenuto). Queste misure sono considerate riflettere le preferenze della popolazione per i beni ambientali e di conseguenza il loro valore.
In altri casi, le preferenze vengono calcolate considerando il prezzo degli immobili in una particolare zona, o misure di felicità o benessere riportate dalla popolazione, che vengono poi analizzate congiuntamente alla qualità ambientale. Sono esperimenti molto interessanti, utilissimi a livello locale, ma richiedono tempo e risorse (vi devo segnalare un conflitto di interessi: io ho spesso usato alcune di queste tecniche nel mio lavoro e le insegno anche all’università…).
Per questa ragione, per esempio per le variabili ambientali, spesso si usano banche dati esistenti, i cui valori sono poi adattati alle situazione locali. Anche l’Unione Europea, e il MIT in Italia, forniscono valori per i vari costi esterni, e questi possono essere utilizzati nella valutazione di progetti infrastrutturali (la Commissione Europea ha appena rivisto questi valori).
Quando si parla di costi esterni del trasporto privato, molti si chiedono se gli stessi non siano coperti dalla tassazione (internalizzati), soprattutto in un paese come l’Italia dove questa è piuttosto alta. Un rapporto del Fondo Monetario Internazionale (FMI) del 2014 sosteneva questa tesi. Tuttavia non tutti i costi erano considerati, e l’assunto cambia se si guarda ad una ricerca più recente secondo la quale il gasolio sarebbe sottotassato in tutti i paesi europei (diverso il caso benzina, che sarebbe sovrattassata in alcuni paesi, ma non in Italia). Studi ancora più recenti, e la rivalutazione al rialzo appena fatta da parte dell Unione Europea fanno certamente pensare che in passato si siano comunque sottostimati questi costi.
Restano altre considerazioni da fare, che valgono per tanti paesi, non solo l’Italia. Dettagli importanti, come la non sempre completa inclusione nei calcoli di costi piuttosto rilevanti, come l’uso della terra (pensate allo spazio dedicato ai parcheggi, di cui vi parlerò in futuro), e il costo dell’inattività fisica. Inoltre, l’incertezza su certe stime, per esempio quelle relative al costo sociale del CO2.
È sicuramente interessante cercare di capire quale sarebbe il livello corretto delle tasse sui carburanti, ma come ho già detto, queste non sono comunque lo strumento più efficiente per affrontare il problema costi esterni (lo stesso vale per il bollo auto). L’impatto sulla domanda è in generale minimo e, soprattutto, un’adeguata internalizzazione dovrebbe anche garantire che il ricavato venga utilizzato per attività che abbiano un ‘valore aggiunto’ (e possibilmente non per sussidi alle fonti fossili).
Non ho parlato dei costi di costruzione e manutenzione delle strade non essendo questi costi esterni (anche se ne producono). L’ Unione Europea però li considera nel suo ultimo studio (non tra i costi esterni ma in discorso più generale dei costi del sistema trasporto), ed un’altra domanda che spesso ci si pone in tanti paesi è: chi paga per le strade? Magari prossimamentene tratterò il tema. Prima però, nel mio prossimo articolo, vi parlerò dei benefici della mobilita attiva, e delle tecniche per calcolarli.
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