DOVE IL TEMPO TRASCORRE IN SILENZIO
Quando qualcosa suscita un’emozione viene naturale condividerla con agli altri perché possano sentire anche loro ciò che provi e questo è chiaramente tanto più vero se lo fai con chi ha le tue stesse passioni. La bicicletta, e chi la ama davvero questo lo sa bene, non è solo sport o tecnica e non è semplicemente un mezzo di trasporto che ti permette di raggiungere la meta ma è piuttosto una macchina che ti concede di completare te stesso colmandoti delle tante meraviglie che il percorso può offrire prima di arrivare a destinazione. L’area geografica in cui è ambientato questo mio racconto è quella Appenninico-carsica dei Monti Reatini in particolare delle valli dei fiumi Nera e Velino la cui confluenza forma la cascata delle Marmore, alle porte di Terni.
La cascata, la più alta d’Europa (165 mt), oltre ad essere uno spettacolo meraviglioso è anche una straordinaria opere di ingegneria idraulica realizzata in epoca romana per consentire la bonifica di una vasta area nella quale il fiume Velino aveva formato un bacino lacustre molto esteso.
Il lago di Piediluco è, insieme ad altri piccoli specchi d’acqua, ciò che rimane di quell’antico bacino.
Al suo posto oggi resta una pianura delimitata dai monti Sabini ad ovest e dai monti Reatini verso est con il Terminillo che, solenne, dai suoi 2200 metri di altezza sovrasta quella che oggi è anche conosciuta con il nome di “valle santa” , ovvero la conca reatina.
Sono molti i percorsi da cui si può mirare dall’alto, questa fantastica vallata segnata dal corso sinuoso del fiume Velino che, con la sua vegetazione spondale, si distingue nettamente dal resto della fertile pianura suddivisa in una moltitudine di aree coltivate. Solo la bicicletta può consentire di penetrare a fondo questo territorio e scoprire luoghi fantastici, quasi surreali, di quelli che solitamente sfuggono dalle laconiche e commerciali guide turistiche ma che ancora riescono ad infondere stupore. Voglio segnalare qui, tra i tanti, due percorsi accomunati da una storia di culti e devozioni la cui memoria si perde in un passato lontanissimo, quando gli antichi Naharki celebravano i loro cerimoniali pagani presso delle rocce maestose dove successivamente, in epoca cristiana, sono stati edificati un santuario dedicato alla Madonna e un altro a San Michele Arcangelo.
Madonna dello scoglio, dove contemplare la Valnerina tra natura e silenzio
Il primo percorso lo si può iniziare partendo, ad esempio, dal centro nautico “Paolo D’Aloja“ di Piediluco procedendo in direzione Marmore. Qui, giunti al parco dei “campacci”, sul ciglio della cascata, si scende in Valnerina percorrendo il sentiero 6 fino a raggiungere il fiume Nera iniziando, a questo punto, a costeggiare la sua sponda sinistra percorrendo uno sterrato fino a Castel di Lago da cui inizia una bella arrampicata fino al santuario della “Madonna dello scoglio”.
Sorge ai piedi una vistosa rupe che si staglia decisa tra folta vegetazione della macchia mediterranea, nel versante più assolato di un’ altura dalla quale si può ammirare il panorama bellissimo della sottostante valle del Nera, fino al punto in cui questa si apre nella conca Ternana, delimitata a Nord dalle propaggini meridionali dei monti martani. A guardare bene quello sperone di roccia, sembra quasi che proprio lì ci sia il punto di convergenza delle energie telluriche che incontrandosi hanno sollevato, sotto la loro spinta, la superficie terrestre, trasformando quell’area in un luogo magico, di quelli in cui i naharki potevano compiere quei passaggi iniziatici per cui si diventava dei veri uomini, dei veri guerrieri oppure si immolavano in un sacrificio mortale, preludio indispensabile per una vita nuova. In epoca cristiana, secondo la legenda, la chiesa cinquecentesca è stata edificata in seguito ad un evento miracoloso di cui avrebbe beneficiato, per intercessione della vergine, il proprietario del terreno. Dopo la sosta rigeneratrice si riprende la strada affrontando l’ultimo tratto di salita fino ad arrivare al valico e voltare a sinistra per scendere verso la provinciale SP4 che collega Arrone a Piediluco. Di nuovo nel punto di partenza dopo circa due ore e 23 chilometri di pedalata lungo i quali si arriva ad una altitudine massima di 600 metri superando un dislivello di 303 metri in salita.
Eremo di San Michele Arcangelo, forza ed energia dal ventre della terra
Ripartendo ancora da qui si può fare un secondo giro attraverso un luogo altrettanto magico. Si procede in direzione Rieti, percorrendo un breve tratto della statale 79 fino al confine tra le regioni Umbria e Lazio e, superato il cosiddetto “ponte catenaccio”, si volta a sinistra per una stradina di fondo valle – in realtà ce ne sono due, ma è indifferente scegliere l’una o l’altra – e si continua a pedalare passando sotto il paese di Labro che dall’alto di un colle domina la sottostante “Valle Avanzana” . Si continua così per qualche chilometro lungo una strada sterrata disseminata di fontanelle di acqua buonissima e fresca tra i boschi rigogliosi di carpini e querce, fino ad arrivare nel punto in cui inizia la salita per il paese di Morro reatino. A questo punto si volta ancora a sinistra seguendo le indicazioni per l’eremo di “San Michele Arcangelo” per una strada che passa attraverso un piccolo isolato di case e si continua fino ad una piccola area dove conviene lasciare la bici per continuare a piedi l’ultimo tratto di sentiero sottobosco.
Ancora uno sperone maestoso di roccia sotto il quale c’è il piccolo eremo che, come quasi tutti quelli dedicati all’ Arcangelo Michele, è stato ricavato all’interno di una caverna la quale, anche in questo caso, probabilmente era già stata usata come luogo di culto dagli antichi Naharki. Come tutti i popoli di origine indoeuropea, infatti, essi entravano nelle viscere della terra, nel suo utero, come fosse quello di una grande madre che i sacerdoti avevano insegnato loro a rispettare e ad amare.
Il buio ottenebrante della caverna è simbolicamente rappresentato dal drago trafitto dalla spada di San Michele che, in epoca cristiana, ha sostituito all’archetipo luminoso ovvero il dio della luce delle religioni pagane. Si entra sfilando il catenaccio dalla porta facendo attenzione durante l’apertura dei battenti poiché questi non sono perfettamente fissati alle cerniere e una volta all’interno della piccola caverna ci si trova di fronte ad un altare sopra il quale è raffigurata la scena dell’Arcangelo che combatte contro il drago. Il dipinto, che è vistosamente danneggiato, non è l’unico ma ce ne sono altri su una parete rocciosa che tuttavia non si distinguono bene, mentre le ossa racchiuse in una teca di vetro sono probabilmente dei monaci che sono vissuti lì nei secoli scorsi. Ovviamente è importante richiudere i battenti della porta, prima di lasciare l’eremo, al fine di evitare che si trasformi in una tana per i tanti animali selvatici che vivono in questi boschi.
Scesi di nuovo a valle si può risalire verso Morro seguendo una salita che termina sulla SR521 ovvero la strada che da Rieti sale verso Leonessa. Da qui si può scegliere se scendere verso la pianura passando per le fonti di Santa Susanna o più brevemente tornare a Piediluco passando per Labro. Se si preferisce questa seconda strada la scelta sarà ripagata dalla magnificenza di questo paese che oltre ad essere bello di suo è reso ancora più affascinate dal panorama che vi si può ammirare. Vedere il lago di Piediluco dai tetti di Labro è uno spettacolo che difficilmente si potrà dimenticare.
Si scende di nuovo verso il punto di partenza dopo aver fatto un giro ad anello che richiede una modesta preparazione fisica con un dislivello complessivo di 821 metri e lungo al massimo 40 km asseconda delle varianti al percorso. Io sono Alberto Carotti e amo questo territorio perche è qui che ci sono le mie radici, chiunque lo volesse mi può contattare tramite il mio profilo fb ed io sarò felice, se posso, di accompagnarlo alla scoperta dei suoi angoli più nascosti e misteriosi tra una natura e una storia che il tempo non è riuscito a cancellare
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