Era il 18 Luglio del 1914 quando, a Firenze, venne alla luce Gino Bartali, da sempre considerato come parte indissolubile del suo eterno rivale, Fausto Coppi, il campionissimo.
Ma se l’astro di Coppi, con la sua morte prematura, aveva finito in qualche modo per eclissare la gloria di Ginettaccio, sempre più il ricordo del campione della Legnano ha finito per surclassare quello del più giovane Coppi. Bartali è stato un campione dello sport, ma è stato, se possibile, ancora di più, un campione della vita.
Nel centenario della sua nascita, lo vogliamo ricordare soprattutto per il contributo da lui dato alla storia del nostro paese.
Durante il periodo della guerra, Bartali non fu mai impegnato in operazioni belliche, tuttavia a partire dal 1943 si distinse per l’importante contributo dato nell’opporsi all’antisemitismo dilagante dell’epoca. Grazie alla propria popolarità (dopo le vittorie al Giro del 1936 e 1937, ma soprattutto dopo quella al Tour de France del 1938 Bartali era una vera star), poteva allenarsi a proprio piacimento lungo le strade del centro Italia senza il timore di subire controlli e, proprio per questo motivo, utilizzava il telaio della propria bicicletta come nascondiglio per documenti falsi destinati alla città di Assisi. Qui aveva sede un’organizzazione clandestina che offriva rifugio agli ebrei all’interno dei conventi toscani in modo da evitare loro i rastrellamenti e le persecuzioni delle leggi razziali.
A causa dell’impegno civico dimostrato, nel 2006 fu insignito dall’allora Presidente della repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, della medaglia d’oro al Valor Civile alla memoria “per avere, Gino Bartali, aiutato e salvato nel corso dell’ultima guerra decine di ebrei braccati in Toscana dai nazifascisti”.
Proprio Bartali fu, tra tutti i grandi ciclisti della storia, quello che maggiormente incarnò un’importante valenza politica: anche conosciuto come Gino il pio, Bartali era un fervente cattolico, militante dell’Azione Cattolica, figlio di genitori socialisti, si rifiutò sempre di prendere la tessera del partito fascista. Non solo, ma dopo la vittoria del Tour de France del 1938, questi si rifiutò anche di indossare la maglia nera per evitare di offrire la possibilità al regime di strumentalizzare la sua vittoria. Non solo, ma grazie a lui, la chiesa ebbe la possibilità di presentare alla società un modello di antifascista cattolico in aperta contrapposizione alla retorica antifascista di stampo comunista e socialista che andavano per la maggiore.
Al termine del conflitto, le contrapposizioni tra schieramenti (monarchici e repubblicani, comunisti e cattolici, nostalgici ed antifascisti) erano tanto forti che anche il ciclismo non ne poteva rimanere immune: poiché Bartali “il Pio” era il campione dei cattolici, per necessità di cose il suo avversario, Fausto Coppi si ritrovò ad essere identificato come comunista (nonostante fosse anch’egli un fervente democristiano), mentre il “terzo uomo”, Fiorenzo Magni (ex repubblichino) era considerato un residuo del fascismo e pertanto avversato se non odiato dai tifosi degli altri campioni.
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Ma più che in ogni altro momento, fu nella metà di luglio del 1948 che il ciclismo entrò prepotentemente nella questione politica: in Francia era in corso di svolgimento il Tour de France. La tappa del 7 Luglio con arrivo a Lourdes fu vinta da Bartali che, fedele al proprio personaggio, non mancò di omaggiare la statua della Madonna nella grotta di Bernadette con i fiori ricevuti sul podio di premiazione. Nonostante la vittoria, Bartali era evidentemente fuori forma. Aveva 34 anni ed erano passati 10 anni dalla precedente vittoria al Tour; il Francese Louison Bobet guidava saldamente la classifica generale ed alcuni dicevano che il corridore toscano fosse in procinto di lasciare la corsa.
Il 14 luglio, Palmiro Togliatti, leader indiscusso del Partito Comunista Italiano, fu colpito da tre proiettili: uno alla testa e due al petto. Il PCI a quei tempi poteva contare su una base di oltre due milioni di membri che per l’occasione scesero in piazza dando vita a scioperi e dimostrazioni. A seguito degli scontri che ne derivarono, quindici persone furono uccise e centinaia furono i feriti. In alcune parti d’Italia la protesta si tramutò in un’insurrezione che portò all’occupazione di fabbriche, caserme e stazioni di polizia; ci furono scontri a fuoco con i carabinieri e furono assaltate le prigioni. A Piombino fu instaurato una specie di soviet, a Genova fu dichiarato il coprifuoco, mentre a Roma si tentò di occupare Palazzo Chigi.
La leggenda vuole che in questo contesto, Alcide DeGasperi, Presidente del Consiglio e segretario della Democrazia Cristiana, alzò il telefono e chiamò Bartali: “Gino, pensi di farcela? Sai per noi, qui, per tutti, sarebbe importante. Ma tanto per dire, ce la faresti a vincere la tappa di domani?”
“La tappa di domani? Il Tour non lo so ancora, ma via… la tappa di domani gli è sicura eccellenza…”
“Bene Gino, grazie e in bocca al lupo.”
Il giorno dopo Bartali non solo vinse la tappa, ma riconquistò diciannove dei 21 minuti che lo separavano dal capoclassifica Bobet. Il 16 luglio Bartali si aggiudicò un’altra tappa e con essa la maglia gialla. Il 17 luglio il campione toscano entrava a Parigi come vincitore assoluto con oltre 26 minuti di vantaggio sul secondo.
Sempre secondo la leggenda, fu la notizia della vittoria di Bartali al Tour a placare gli animi e a far tornare la calma in un paese sull’orlo della guerra civile: Le Monde riportò storie di barricate abbattute mentre i rivoltosi si assiepavano nei bar per ascoltare la radiocronaca del tour. La Chiesa sostenne che Gino con la sua vittoria “non solo avesse compiuto un miracolo, ma avesse volontariamente salvato l’Italia”, De Gasperi inviò un telegramma dicendo che con la sua vittoria aveva aiutato a superare “divisioni e avversioni”.
Al suo rientro in Italia, Bartali fu ricevuto dal Papa, dal Presidente della Repubblica e dal Presidente del Consiglio che si congratularono per la vittoria e, pare, per il suo ruolo nella storia dell’Italia.
Tratto da: Pietro Pani, “Salva i ciclisti, la bicicletta è politica“, 2012 Edizioni Chiarelettere
Per ulteriori approfondimenti su Gino Bartali:
“La strada del coraggio. Gino Bartali, eroe silenzioso”
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